Per il giornale del MFE è ovvio che si parli spesso e sotto molti aspetti di federalismo, ma questo numero è particolarmente dedicato a questa forma costituzionale di organizzazione politica dei territori, con l’esercizio della sovranità ripartita, mirata all’integrazione e alla permanente collaborazione pacifica.

Come Europei siamo particolarmente interessati al processo di unificazione europea attraverso il processo comunitario sfociato nell’Unione Europea, con un mercato unico, politiche comuni, una cittadinanza europea, l’euro, e infine il disegno di una unione finanziaria e sociale che dovrebbe caratterizzare “l’Unione europea di nuova generazione” (Next Generation EU); inizialmente funzionerebbe a Trattati vigenti, e poi dovrebbe sfociare nella vera e propria Federazione europea. Di questi obiettivi dovrebbe discutere la prevista Conferenza sul futuro dell’Europa, che da un lato dovrà completare il disegno della nuova fase dell’Unione (in particolare con l’emissione ripetibile di debito europeo che intervenga per orientare la liquidità in eccesso verso gli investimenti e i consumi anticongiunturali e sociali rispetto alla tesaurizzazione e la speculazione a breve) e sviluppare una adeguata politica di bilancio e fiscale con la convergenza delle politiche sugli obiettivi economico-sociali selezionati dalle istituzioni comunitarie per l’Unione e gli Stati membri; dall’altro, la Conferenza dovrà indicarne lo sbocco federale, con la adozione del voto a maggioranza nelle decisioni in particolare sulla politica estera e di difesa, anche per garantire un nuovo ordine internazionale, con gli opportuni strumenti d’integrazione a livello continentale e governo della globalizzazione[1].

L’Ufficio del dibattito del 17-18 ottobre non a caso è stato dedicato a “Il federalismo e i concetti di potere politico, potenza, statualità e sovranità”. Dato il rapporto tra spesa pubblica dell’Unione (1-2% del PIL) e quella degli Stati membri (attorno al 46%) anche gli Stati dovranno perseguire gli obiettivi comuni, anche adottando le migliori pratiche europee, così come definite nei piani europei di politiche poliennali integrate. Questo dovrà consentire ai federalisti di partecipare da protagonisti ai dibattiti e confronti che tra diversi protagonisti si svolgono sempre più intensi per definire le linee di azione necessarie a superare positivamente le carenze che, anche grazie alla pandemia e alle resistenze alle politiche imperiali bipolari sono state rese evidenti. Il federalismo in Europa, per come si viene costruendo a lunghe tappe dalla fine della seconda guerra mondiale, dovrà avere forme originali che rappresentino un’innovazione rispetto a quelle realizzate come stabili nelle democrazie, che oggi sono confrontate dagli autoritarismi. Fino a pochi anni fa poteva sembrare che il federalismo europeo fosse un’utopia, coltivata da pochi adepti, di cui i politologhi più accreditati potevano parlare solo come ricordo storico; gli eventi recenti hanno riportato in evidenza l’insufficienza delle sovranità nazionali e i limiti dell’attuale costruzione europea, così da richiedere una NGEU e il superamento della evanescente gestione nazionalizzata della globalizzazione col conseguente disordine internazionale. Questo ha avviato un ampio dibattito tra studiosi, opinionisti e cittadini. Quindi i federalisti devono impegnarsi ad aggiornare il loro pensiero e la loro azione, confrontandosi con tutti, per tornare protagonisti del dibattito intellettuale e politico su come contribuire, insieme ai cittadini responsabili e saggi, all’evoluzione pacifica e progressiva del sistema europeo e mondiale. Usciranno così da un isolamento, splendido sul piano concettuale, ma operativamente debole nei contatti con le forze politiche che concorrendo al potere determinano il potere nelle istituzioni sia nazionali sia dell’Unione.

Il processo di costruzione dell’Unione federale europea è un’evoluzione nel senso darwiniano del termine, nel senso che genera novità rivoluzionarie che trasformano strutturalmente e permanentemente la realtà politico-sociale europea e globale, sino a una nuova evoluzione secolare, oggi del tutto imprevedibile nel come e nel quando. Quelle che siamo chiamati a concorrere a disegnare e promuovere saranno novità comunque irreversibili, perché tornare indietro diverrà inconcepibile per i costi e i sacrifici che la restaurazione comporterebbe. Il processo comunitario d’unificazione europea è storicamente giovane rispetto all’inizio dell’elaborazione intellettuale, ma le difficoltà degli euroscettici sovranisti dimostrano che ormai sono consolidati i risultati delle prime fasi del processo comunitario: 1) la ricostruzione postbellica condivisa [piano Marshall][2], 2) la pace interna come fondamento dei rapporti tra i membri dell’Unione grazie alla condivisione delle risorse strategiche [CECA], l’unione doganale, la libera circolazione di tutte le risorse economiche, delle persone e delle imprese (mercato comune) [Trattati di Roma], le politiche comuni, l’unione monetaria, il mercato unico, la cittadinanza europea [Trattato di Maastricht e seguenti sino a quello di Lisbona]. Ora si propone una UE di nuova generazione cioè con obiettivi e strumenti prima trascurati o troppo ridotti: la finanza, la fiscalità, l’ambiente, la salute, la politica estera e di sicurezza, che per essere avviati subito, come la situazione richiede, dovranno essere perseguiti nel quadro dei Trattati esistenti o con accordi intergovernativi transitori, ma che solo con un’evoluzione federale delle istituzioni potranno essere consolidati e gestiti efficacemente. Per questo deve essere avviato un processo che porti la nuova fase appena iniziata dall’UE a sfociare, grazie anche alla Conferenza sul futuro dell’Europa, in quel processo costituente, che approfondisca le forme federali necessarie per raggiungere gli obiettivi desiderati, consolidarli e gestirli secondo le esigenze che via via emergeranno. e saranno democraticamente tempestivamente individuate e perseguite.[3]

Il dibattito sul federalismo nel mondo

 

Un patto federale è basato sulla libera volontà dei contraenti, il che significa che alla base c’è la fondata valutazione che l’unione basata sul diritto [Kant e seguaci] genererà e continuerà a generare vantaggi che possono essere condivisi tra tutti i contraenti e i loro eredi; quindi un patto costituzionale permanente per la gestione e condivisione crea istituzioni fondate su un diritto comune che consenta a tutti di essere cittadini che condividono le stesse libertà, senza minare quella degli altri, ponga tutti su una base egualitaria (senza privilegi personali, di gruppo o nazionali), senza discriminazioni soggettive; in modo che le differenze che permangono per ragioni comunitarie e sociali possano essere progressivamente affrontate e ridotte grazie a forme di fratellanza e solidarietà pubblica e privata. Liberté, égalité, fraternité sono i tre principi illuministi alla base esplicita della rivoluzione francese, ma anche di quella americana e inglese e della filosofia cosmopolitica di Kant. Sotto questi ideali, c’è il concetto di unica razza umana e di diritti universali dell’uomo, animale sociale che porta a considerare gli interessi delle comunità più ampie come superiori , pur mantenendo anche le comunità inferiori e il valore stesso dell’individuo. Basti ricordare il famoso pensiero di Montesquieu: “Se conoscessi qualcosa che fosse utile a me, ma dannoso alla mia famiglia, cercherei di togliermelo dalla mente. Se conoscessi qualcosa utile alla mia famiglia, ma dannoso alla mia patria, tenterei di dimenticarlo. Se conoscessi qualcosa utile alla mia patria, ma dannoso all’Europa, oppure utile all’Europa e dannoso al genere umano, lo considererei un delitto”. Secondo Montesquieu la libertà e il governo basato sulle leggi è una caratteristica dell’Europa, mentre in Asia prevale il dispotismo [e il confronto tra modello politico occidentale e quello cinese è al centro anche del confronto attuale] . Oggi chiamiamo stati di diritto quelli in cui i poteri pubblici e privati sono disciplinati da leggi approvate da collegi eletti con voto libero e generale e nel quadro di patti costituzionali e nel rispetto dei diritti umani sanciti dalla Dichiarazione universale (1948).

Il federalismo ha anche una base economica che deriva dai classici a partire da Adam Smith (la ricchezza delle singole nazioni non sono conflittuali) e David Ricardo, che ha mostrato che gli scambi internazionali generano un sovrappiù che ben distribuito genera un guadagno per tutti i partecipanti e quindi la pace e il diritto e l’integrazione economica (come conferma Timbergen, econometrico olandese premio Nobel per l’Economia) sono il metodo migliore di distribuire questo sovrappiù. Molti altri autorevoli economisti hanno mostrato che l’economia è mondiale e quelle nazionali sono interdipendenti e le integrazioni continentali sono utili per percorsi atti a ridurre le incertezze e aumentare la governabilità. Da queste premesse nasce il percorso di integrazione economica europea come base di quell’unione politica che non può che divenire federale[4]

Le federazioni per essere vitali devono limitare l’egemonia dei paesi più forti (si veda il caso degli USA dove California e NY State non sovrastano la federazione, al contrario di Russia e Serbia che con l’egemonia hanno portato alla dissoluzione perniciosa di URSS e Jugoslavia).

Nella visione liberale della democrazia la ripartizione delle sovranità non è solo verticale tra i diversi livelli di governo, ma anche tra amministrazioni pubbliche e comunità sociali (sussidiarietà) e orizzontale tra operatori economici concorrenziali. La cittadinanza federale consente a tutti di operare in questi tre ambiti e di curarne l’integrazione orizzontale.


[1] Guido Montani, Il governo della globalizzazione. Economia e politica dell’integrazione sovranazionale, Piero Lacaita Editore, Manduria, 2000.

[2] Severino Saccardi, Ernesto Rossi: la pace è possibile se cresce l’Europa unita

In Ernesto Rossi, Abolire la guerra, a cura di Antonella Braga, Nardini editore, Firenze, 2020

[3] Guido Montani, Il futuro dell’Europa senza tabù, su Euractiv

[4] Lionel Robbins, il federalismo e l’ordine economico internazionale, Il Mulino, Bologna, 1985.

  

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