Sono stato suo amico dalla fine degli anni ’70 e ne ho costantemente condiviso idee e valutazioni, anzitutto sul processo di unificazione europeo nella prospettiva del federalismo. Mi limiterò qui a richiamare solo alcuni momenti, dei quali conservo un ricordo diretto, dei suoi contributi fondamentali alla creazione della moneta unica.
L’Europa aveva avviato, dopo la seconda guerra mondiale, un articolato processo di integrazione che veniva però sottoposto – a partire dagli anni ’70 – a difficili crisi divenute acute dopo la decisione degli Stati Uniti di abbandonare (nell’agosto del 1971) la convertibilità del dollaro in oro, mettendo in crisi il sistema di Bretton Woods. La formulazione, da parte di Padoa-Schioppa, della tesi del “quartetto inconsistente” – ossia l’impossibilità di avere libertà di circolazione delle merci e dei capitali mantenendo, nel contempo, l’autonomia della politica monetaria e dei rapporti di cambio tra le valute – dimostrò che la realizzazione della moneta unica era una tappa necessaria per progredire nell’integrazione europea. Egli si impegnò caparbiamente nell’impresa nonostante fosse consapevole che per gli economisti il progetto era molto difficilmente realizzabile.

Padoa-Schioppa aveva però, accanto alla capacità di analizzare e capire i fatti, un eccezionale senso dell’importanza dell’organizzazione per conseguire il risultato. Alla fine del 1991, tra l’incredulità di molti, la creazione della moneta europea era divenuta l’obiettivo preciso del Trattato in discussione a Maastricht. Alla vigilia della partenza della delegazione italiana guidata da Giulio Andreotti, di cui avrebbe fatto parte, Padoa-Schioppa incontrò a Roma Gianni Ruta, allora segretario della sezione di Roma del Movimento federalista europeo, ma anche direttore finanziario della Stet; società che aveva da poco emesso il primo titolo obbligazionario in Ecu. Ruta gli fece notare che la proposta sottoposta al Consiglio europeo prevedeva sì la creazione della moneta europea, ma non ne indicava la data dell’entrata in vigore.

Padoa-Schioppa condivise subito l’importanza di quel “dettaglio” e durante il volo convinse Andreotti a proporre l’inserimento della data, utilizzando l’immagine della “ciliegina” sulla torta.

Arrivati a Maastricht, Andreotti incontrò il presidente francese François Mitterand e il cancelliere tedesco Helmut Kohl e li convinse della necessità di fissare una data ultimativa per l’entrata in vigore dell’euro. Il leader della Cdu chiese tuttavia ad Andreotti se si rendesse conto di quel che avrebbe comportato il Trattato per l’Italia. Andreotti rispose di sì, ma aggiunse di voler procedere perché questo sarebbe stato nell’interesse degli italiani. La data ultima fu quindi fissata al 1999.
Domenica sera, finito il vertice, Padoa-Schioppa mi telefonò: «Abbiamo la moneta europea, è andata bene! Ma il colpo sparato è talmente forte che bisogna fare attenzione all’effetto rinculo: bisogna non stare dietro al cannone, ma prepararsi a reagire». Infatti poco tempo dopo (settembre 1992) partì l’attacco sul mercato alla sterlina e alla lira, mettendo in crisi il Sistema monetario europeo, il cui funzionamento era una delle condizioni per il passaggio all’euro.
La sterlina usci dal Sistema, mentre la lira restò formalmente nell’accordo di cambio allargando però la banda di oscillazione dal 2,25% al 15 per cento. La forma fu salva e il faticoso tragitto verso la moneta europea potè proseguire.
Nel 1999, all’atto della creazione della Banca centrale europea, Padoa-Schioppa venne chiamato nel suo Comitato esecutivo. Mi disse: «Non punto alla delega ai rapporti internazionali (quella alla politica monetaria andava ovviamente al membro tedesco), ma all’organizzazione, perché è assolutamente necessario attivare un sistema di clearing (compensazione) tra le banche centrali dei Paesi partecipanti», come avevano fatto le banche centrali dell’Ecu. Padoa-Schioppa aveva a suo tempo sostenuto il progetto, come direttore generale della Commissione europea. E alla Bce creò e mise in atto il sistema poi denominato “Target 2“.
Nel momento più difficile per l’euro, quando esplose la crisi greca, questo sistema consentì, senza la necessità di alcuna delibera formale, di rifinanziare la fuoriuscita di capitali dalla Repubblica ellenica.
Sono stati mesi preziosi che permisero all’allora primo ministro greco Alexis Tsipras, all’allora presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker e alla cancelliera tedesca Angela Merkel di raggiungere il difficilissimo accordo che evitò non solo ad Atene la dichiarazione di insolvenza restando nell’euro, ma impedì anche l’estensione della crisi ad altri paesi, tra cui l’Italia, con la conseguente probabile fine della moneta unica.

Dalla creazione del clearing dell’Ecu al Rapporto Delors, dalla redazione del Trattato di Maastricht alla strutturazione tecnica della Bce, il contributo di Padoa-Schioppa alla creazione della moneta europea è stato di importanza storica e resterà inestimabile.
Gli aspetti della sua opera straordinaria e della sua figura professionale e umana sono multiformi. Non mi è possibile ricordarne altri in questo breve intervento.
Non posso tuttavia non richiamare l’ultimo grande progetto da lui concepito: la riforma del sistema monetario internazionale, avviata nel 1944 da John Maynard Keynes e poi tramontata. Padoa-Schioppa l’ha ripresa nel 2010 con la conferenza The Ghost of Bancor, creando con Michel Camdessus un qualificatissimo gruppo di lavoro con il quale ha interagito sino agli ultimi giorni di vita.


Articolo pubblicato sul Sole 24 Ore del 17 dicembre 2020

  

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