Antonio Padoa-SchioppaPerché l’Europa. Dialogo con un giovane elettoreLedizioni, dicembre 2018 Parlando d’Europa con i giovani In mezzo a un dibattito pubblico inquinato dalla narrazione parziale e deformata dei media rispetto all’Unione Europea, è sempre più urgente saper rispondere a questa visione sul piano dei contenuti e in una forma non accademica. È a partire da questo presupposto che Antonio Padoa-Schioppa concepisce la forma di un vero e proprio dialogo, strutturato in domande e risposte, con Marco, un giovane elettore al suo primo appuntamento elettorale con le Europee. |
Marco è in linea di principio favorevole all’Unione Europea, ma è desideroso di capire cosa davvero rappresenti, come funzioni, quali siano le sue competenze, e allo stesso tempo si fa portavoce delle domande e delle obiezioni di altri giovani provenienti da «tanti mondi distinti»: chi disprezza la politica e si concentra solo sul raggiungimento del successo personale; chi ritiene che politica e sovranità debbano rientrare esclusivamente nella sfera dello Stato Nazionale; chi è attivo nel volontariato ma è sfiduciato rispetto agli strumenti della politica; chi crede che l’idea di un’Europa unita sia un’utopia; chi critica il modello consumistico-capitalista e, allo stesso tempo, le istituzioni nazionali ed internazionali; chi ha una visione mondialista, pacifista, cosmopolita, sostiene l’operato delle ONG come Amnesty International e Medici senza frontiere e, per questo, ritiene superata la battaglia per l’unione politica europea.
Il dialogo si articola in 6 macro-capitoli (Rischi e opportunità; La grande crisi europea; Strutture, politiche, storia dell’Unione; Prospettive dell’Unione; Luci ed ombre d’Europa; Il mondo di domani), che si snodano a partire da interrogativi e riflessioni su argomenti di stringente attualità per dimostrare come solo l’istituzione di un’unione federale europea ci permetterà di fronteggiare le grandi sfide globali: i cambiamenti climatici, la minaccia nucleare, la lotta alla povertà, l’immigrazione, il degrado ambientale, le conseguenze dell’innovazione tecnologica. Un progetto, quello della federazione europea, che prefigura (da Kant, fino ai Padri Fondatori) un’unione politica di livello planetario. Non dobbiamo dimenticare che l’Europa costituisce già ora, in parte, un modello per altri continenti: un domani potremmo quindi diffondere con successo il modello federale.
L’Unione Europea può essere paragonata a una grande cattedrale in costruzione. Ciò significa che una parte di essa è già presente, cosa della quale spesso non si ha piena consapevolezza. Solo la conoscenza di ciò che c’è già consente di capire e di agire per ciò che ancora manca: «una costruzione grandiosa, accogliente, ma ancora priva della copertura della volta, senza la quale rischia non solo i danni delle intemperie ma il crollo». «Completare la cattedrale (…) dipenderà in gran parte da voi giovani, dalla vostra generazione. Per riuscire ci vorrà non solo la pressione degli interessi pro-europei, non solo la forza della ragione, ma la passione di chi crede che un futuro di pace e di benessere per tutti, in Europa e nel mondo, siano ideali raggiungibili, nei quali e per i quali vale la pena di credere e di lavorare».
Riportiamo qui sotto alcuni brani significativi del libro su tre temi centrali per il “completamento della cattedrale”: immigrazione, sviluppo sostenibile, difesa.
Immigrazione
…Ciò che dovrebbe essere disciplinato al livello europeo è anzitutto il flusso delle immigrazioni. Occorre istituire una frontiera esterna all’Unione, regolata da una normativa comune non semplicemente volontaria ma obbligatoria. Occorrono regole comuni sui criteri di accoglienza. Secondo molti osservatori dovrebbe essere superata anche la distinzione tra il diritto d’asilo (per chi è discriminato o perseguitato nel proprio Paese d’origine) e chi fugge per ragioni di guerra o per ragioni di sussistenza, per carestia, per fame e per sete, rimodulando così la Convenzione di Ginevra del 1951. Occorrono valutazioni e regole uniformi sui numeri accettabili, in termini di possibilità di occupazione, sulla base di dati obbiettivi forniti dai singoli Paesi. Occorrono interventi comuni per stabilire i criteri per l’accoglienza e per l’inserimento, da effettuare nei Paesi d’origine ma anche in quelli di transito, oltre che naturalmente nei Paesi europei di primo ingresso. E ci vogliono le risorse per farlo. Alla Commissione europea vanno conferiti i poteri esecutivi necessari. Infine, dopo un certo periodo di residenza stabile e al termine di un adeguato processo di integrazione e di formazione civica si dovrebbe accordare agli immigrati il diritto di cittadinanza.
Sviluppo sostenibile
… L’Unione, sotto la spinta della crisi, si è posta un obbiettivo fondamentale, quello di dar vita ad una effettiva unione bancaria. La decisione è scaturita dal Consiglio europeo di fine giugno 2012 che ha recepito il cosiddetto Documento dei quattro Presidenti, una sorta di Roadmap per il futuro dell’Unione, nel quale si prospettavano le quattro unioni da realizzare progressivamente: bancaria, fiscale, economica e politica. L’unione bancaria, che già da tempo si era rivelata necessaria, è così finalmente decollata a livello europeo. Il progetto dell’unione bancaria comprende tre principali obbiettivi: l’istituzione di un potere di vigilanza sovranazionale, perché le grandi banche sono attive contemporaneamente in più Paesi; un meccanismo condiviso per intervenire in caso di default di una o più banche; una garanzia comune sui depositi bancari. Ad oggi, la vigilanza sovranazionale è stata completata e il meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie è partito, seppure incompleto, mentre sul meccanismo europeo dei depositi manca ancora l’accordo. Questo ritardo lascia i sistemi bancari nazionali ancora esposti al rischio di instabilità e può produrre conseguenze negative per le banche, per i risparmiatori e per lo sviluppo dell’economia e del mercato unico…
…Nel 2010 Tommaso Padoa-Schioppa aveva espresso in modo breve e pregnante una strategia per contrastare la crisi con efficacia: “il risanamento spetta agli Stati, l’Europa intervenga per la crescita”. Su questo fronte l’Unione è stata carente. Solo con la Commissione uscita dalle elezioni europee del 2014 è stato promosso, per iniziativa del Presidente Juncker, un piano che ha portato alla creazione del Fon do europeo per gli investimenti strategici (Feis) – per il triennio 2015-2018 sono previsti 315 miliardi di euro, che arriveranno a 500 miliardi entro il 2020 – ed ha permesso di raccogliere capitali per investimenti già attivati per 335 miliardi di euro (Juncker, Discorso sullo stato dell’UE, 12 settembre 2018). Per l’Italia sono stanziati dal Piano 8 miliardi, che con l’apporto degli investitori incentivati dalle garanzie europee potrebbero arrivare a ben 50 miliardi.
Con questi soldi si sta facendo molto, ma questo ancora non basta. Ed agire sarebbe possibile, in quanto l’Unione non soltanto potrebbe avvalersi di nuove risorse proprie ma non avendo sin qui neppure un euro di debito potrebbe inoltre, mantenendo il bilancio in condizioni di sicurezza, emettere quote di bonds destinate ad investimenti. Ma non si tratta solo di spendere più soldi per la crescita. Il grande punto di forza economico dell’Unione europea, che è il mercato unico, andrebbe completato nei servizi, soprattutto i servizi a rete, e nella creazione di un autentico mercato unico per i servizi digitali. Così si potrebbero mobilita re ingenti investimenti privati e creare posti di lavoro nei campi delle nuove tecnologie.
Difesa
…È stato dimostrato, cifre alla mano, che se si gestisse in comune la spesa odierna per la difesa dei 27 Paesi dell’Unione (esclusa la Gran Bretagna), l’efficacia militare sarebbe di gran lunga maggiore (The Cost of non Europe in Security and Defense, Parlamento europeo 2017). Naturalmente, una difesa autonoma richiederebbe investimenti ulteriori, che tuttavia (come dimostra l’esempio degli USA) avrebbero ricadute importantissime anche sulle tecnologie non militari e sulla stessa ricerca scientifica.
…La creazione di una difesa europea, necessaria per le ragioni che abbiamo detto, verrebbe realizzata progressivamente e non comporterebbe, quanto meno per un periodo non breve, l’abolizione delle forze militari nazionali. Queste rimarrebbero, ma da una parte la standardizzazione degli armamenti le renderà molto meno costose, d’altra parte e soprattutto vi saranno corpi militari gestiti al livello europeo, sia per difesa sia per missioni di pace: peace enforcing, peace keeping, rispettivamente per costringere alla pace tra belligeranti o per mantenere la pace stipulata in territori già in guerra. Un tale doppio livello – nazionale ed europeo – può sembrare contraddittorio; ma sembra l’unico possibile. L’esempio che si può richiamare è quello degli Stati Uniti, dove i due livelli militari – quello degli Stati e quello della Federazione – sono rimasti in vita per buona parte dell’Ottocento (Domenico Moro, 2018).
…Per l’Unione europea potrà applicarsi il principio di sussidiarietà, del quale parleremo: si ricorrerà al livello europeo solo quando necessario. Inoltre, si dovrà prevedere che il livello federale possa in caso di necessità, con le dovute garanzie di legittimazione democratica, utilizzare anche le forze militari nazionali, per scongiurare minacce esterne o atti di guerra di un singolo Stato membro verso altri: anche qui va considerato il modello americano. D’altra parte, è chiaro che non può esistere in un regime di democrazia un esercito non sottoposto all’autorità politica, e ciò vuol dire che lo stato maggiore per la difesa e l’esercito europeo agiranno sotto il controllo del Consiglio europeo e del Parlamento europeo.