Fabio Masini pone tanti interrogativi nel suo lavoro che titola “Riformare l’euro” (pubblicato da Giubilei Regnani, 2018), ma anche tante idee e proposte.

La “paura”. Tra il 2002 e il 2012, cioè dall’entrata in circolazione dell’euro all’apice della crisi dei debiti sovrani nella zona euro, le famiglie hanno visto dimezzare il loro potere d’acquisto, come anche la capacità di risparmio. Assuefazione generale e perdita della speranza nel futuro, sono finiti in pasto alla propaganda politica. E le soluzioni radicali sono sbarcate sullo scenario della riforma o distruzione, dovrebbe dirsi del conquistato in questi anni del processo di integrazione.

Tutta colpa delle nostre classi politiche (nazionali), a stretta visione temporale, per affrontare problemi a livello europeo e mondiale?

Se si legge l’evoluzione dei rapporti di forza internazionali, sott’ordinati all’equilibrio bipolare USA-URSS, si noterà un aspetto nuovo, la prospettiva è radicalmente cambiata, oggi questa si regge sulla contrapposizione “multipolare”.

Dalla fine della guerra fredda siamo giunti a un “unico villaggio globale”. Mondi completamente diversi sono entrati in contatto. E diversa è stata anche la costruzione dello stato sociale, avallando un conseguente dumping dal quale non è possibile difendersi. La concorrenza del mercato globalizzato ha però possibili soluzioni, Masini è chiaro: “le uniche risposte possibili all’aumento della concorrenza sono l’innovazione, lo spostamento verso settori più promettenti, oppure la protezione”. La domanda, spesso rilanciata, è legata al recupero della sovranità monetaria nazionale, come se questa avesse come  diretta conseguenza un incremento della protezione sociale. “L’idea è che con la svalutazione possano aumentare le produzioni interne e con essa l’occupazione”, tutti avrebbero un lavoro, tutti così potrebbero acquistare di più e con la manovra di politica monetaria finanziare i servizi. Idea fuorviante e falsa, perché la trasformazione dell’economia reale in finanziaria ha fatto saltare i canoni di valutazione; basti pensare che “alla fine del 2013 la ricchezza finanziaria nel mondo era pari a 13 volte quella reale” con un bel 70% di “scommesse”.

Davanti a questa trasformazione gli Stati dove sono? Crisi demografiche e sostenibilità ambientale ed energetica, si intrecciano con le capacità di influire di questi vecchi stampi nazionali sulle nuove regole del gioco. I cambiamenti climatici (“entro il 2050, 250 milioni di migranti climatici ossia persone in fuga da contesti” dove la vita è impossibile) determineranno logiche nuove di approccio alle questioni.

Masini pone l’accento sulle “esternalità” che è facile rinvenire nel percorso di unificazione europea. Sono necessarie scelte da prendere collettivamente senza remore rispetto alla soluzione: “creazione di sistemi concentrici” con una valorizzazione decisionale che deve superare gli elementi che hanno caratterizzato il primo vero modello di integrazione (ancora in divenire senza, appunto, una governance economica come contraltare) ovvero il modello euro.

Consapevoli di questi limiti (dell’euro, con i compromessi diplomatici continui che hanno reso vulnerabile il cammino di condivisione della sovranità, ndr) non rimaneva altro da fare che sperare nella tenuta dell’impegno politico sottostante alla creazione dell’euro ed affidarsi al funzionamento di tre meccanismi di aggiustamento”.

Qui Masini affronta criticamente il percorso dalle aree monetarie ottimali al comportamento ottimistico dei mercati finanziari  fino all’intervento della disciplina fiscale come motore di crescita. Meccanismi che non hanno funzionato! La debolezza strutturale delle istituzioni europee e la crisi economico-finanziaria del 2008 hanno decisamente fatto il resto, erodendo la fiducia nella moneta unica e nella possibilità di integrare altri settori.

Passando dalle dicerie e dalle “invenzioni” sulle motivazioni delle crisi multiple, dove l’euro sembra essere il “male assoluto”, Masini le analizza tutte (dall’utilizzo della svalutazione, leggi le “bizzarre tesi” dei cugini d’oltralpe, al ritorno all’ECU, passando ai “due euro”, da Zingales a Stiglitz). Nelle valutazioni sull’efficacia degli interventi possibili, ogni apprezzamento andrebbe fatto, come suggerisce Masini, partendo dalla centralità dei “beni collettivi europei”, almeno minimi per superare le diseguaglianze e sviluppare un ciclo virtuoso, tutelando il welfare e avendo sempre ben presente quali siano i costi della “non-Europa”. Come fare? Riduzione delle spese che sono previste dai bilanci nazionali mediante una “revisione delle competenze costituzionali”, “ridimensionando tutte quelle voci relative alle spese trasferite a livello sovranazionale”. Con quali risorse? “Si tratta – conclude Masini – di dotare l’Unione europea (o parte di essa) della cosiddetta fiscal and borrowing capacity, ossia la capacità di contare su entrate fiscali autonome e di potersi indebitare sui mercati”.

Per quanto riguarda le risorse proprie, servirebbe una tassa sulle transazioni finanziarie da utilizzare non  solo, come è oggi in alcuni Stati, all’interno della fiscalità nazionale per ridurre il debito pubblico nazionale, ma per dare forza al bilancio europeo. Una carbon tax che possa dotare di € 50 miliardi potenziali le risorse dell’UE. Questi sono gli elementi cardini per rafforzare e determinare la capacità d’azione dell’UE.

Altra questione sulla quale si sofferma Masini è la possibilità di mutualizzare il debito pubblico nazionale. Ma la domanda che si fa è d’obbligo: “ci sono le condizioni politiche?”. “Tutto è negoziabile. Ma il costo … potrebbe essere troppo alto perché ne valga la pena (che cosa chiederebbe la Germania per accettare…?)”. In realtà, la migliore prospettiva potrebbero essere gli eurobond, che “dovrebbero funzionare esattamente come i Treasury Bonds emessi dal Tesoro americano”, questo amplificherebbe il ‘potenziale di fuoco’ e aprire la prospettiva per un bilancio federale.

Masini però certifica che senza un reale cambiamento nella macchina decisionale dell’Unione, senza modifiche di natura istituzionale/costituzionale, senza una vera cittadinanza europea svincolata dalle cittadinanze nazionali resteremmo ancora al palo. Per superare questo ostacolo “occorre riprendere la strada già battuta di un’assemblea costituente, evitando gli errori della passata esperienza” In che modo? Due le possibili vie: o una “convenzione costituente” (ex art. 48 del Trattato sull’UE, condizionato dal metodo di decisione all’unanimità) o con un’assemblea ad hoc convocata all’esterno dei trattati incaricata dai cittadini europei, con un mandato a tempo per redigere una “Costituzione o Legge Fondamentale”.

Uno dei paragrafi, tra quelli conclusivi, Masini lo titola “La speranza”. Già, contro l’idea di Lester Thurow del 1980 di una società “a somma zero”, dove non ci sono vincitori e vinti, perché oggi adottare questo diffuso ragionamento aumenta il pericolo delle contrapposizioni e accentua le differenze. Se tutte le ‘anime’ della società venissero travolte da questa logica non vi sarebbe crescita. “L’idea della società a somma-zero è funzionale ad un certo modo (autoreferenziale) di concepire la politica, proprio perché deresponsabilizza la classe politica (che è invece responsabile delle scelte compiute in una società), instillando l’idea del ‘è inevitabile: o questo o quello’”. Come per il politico così per l’economista è in atto una sfida che si basa anche sulla capacità di fare “comunicazione”, utilizzata come strumento di strategia.

C’è una velata “utopia” nel finale e lasciamo il lettore alla visione di Masini, ottimismo o pessimismo? Buona lettura.

 

  

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