Le elezioni europee sono state una battaglia vinta dall’Europa. L’affluenza è aumentata, le forze nazionaliste non hanno sfondato e continueranno ad essere marginali nel Parlamento. L’Italia è in contro-tendenza con affluenza in calo e i nazionalisti in maggioranza. Ciò non sposta gli equilibri europei in modo decisivo, ma rafforza l’isolamento italiano.

Nella campagna elettorale si è consolidata la volontà di collaborare tra le forze europeiste. E quelle che si erano mostrate più pronte a difendere lo status quo che a riformare l’UE si sono indebolite, a vantaggio di quelle che hanno chiesto una profonda riforma dell’Unione. La campagna elettorale e l’attenzione per i temi europei che può essere ancora considerata come insoddisfacente, ma è stata enormemente maggiore che in passato. I nazionalisti hanno presentato le elezioni europee come un referendum sull’UE e l’hanno perso.

Ciò è avvenuto anche perché la battaglia si è svolta sul terreno europeo, nelle elezioni per il Parlamento europeo, luogo dello sviluppo della democrazia europea, condizione per la definitiva affermazione di un governo federale nella fiscalità e nella sicurezza. Il Parlamento ha ora un mandato forte per riformare l’UE. La creazione di gruppi di lavoro tra popolari, socialisti, ex-liberali e verdi per delineare un’agenda condivisa e dar vita ad una coalizione di maggioranza (ampia) al Parlamento è un inizio. Ai cinque gruppi tematici - su ambiente e cambiamenti climatici; politiche economiche, fiscali e del commercio; digitale e intelligenza artificiale; stato di diritto, confini e migranti; l’Europa nel mondo - partecipano due parlamentari per ciascun gruppo politico (ma tre socialisti in quello sull’Europa nel mondo). Già durante la campagna elettorale e i dibattiti tra gli Spitzenkandidaten sono emerse alcune proposte avanzate su cui sono possibili convergenze, specialmente sul tema della fiscalità europea, collegata ai vari temi specifici. È chiaro che sarà compito dei federalisti mettere in rilievo le implicazioni istituzionali delle scelte politiche, cioè l’impossibilità di realizzare effettivamente determinate politiche senza una riforma dei Trattati che attribuisca all’UE adeguate competenze, poteri e meccanismi decisionali democratici, di tipo federale.

Un primo test della forza e della volontà dei partiti di battersi nel Parlamento per rafforzare l’UE in senso federale si vedrà nella scelta del Presidente della Commissione. Aldilà del metodo degli Spitzenkandidaten il nodo è se la scelta sarà fatta dal Parlamento o dal Consiglio europeo. Nel primo caso si rafforzerà l’evoluzione verso un sistema di governo parlamentare dell’Unione, nel secondo verso un sistema più dominato dal metodo e dalle istituzioni inter-governative. Se il Parlamento si lascerà imporre il Presidente, difficilmente avrà poi la forza per promuovere una riforma organica dei Trattati, inclusa la creazione di un potere fiscale europeo, di una difesa europea, e la generalizzazione del voto a maggioranza qualificata nel Consiglio, anche su fiscalità e sicurezza. Non va dimenticato che nella scorsa legislatura la Commissione ha avanzato alcune proposte in tal senso, senza trovare una sponda forte nel Parlamento e trovandosi sola contro i governi nazionali.

Al contempo il quadro si sta chiarendo rispetto ad alcuni dati. Il processo della Brexit ha mostrato la forza, l’importanza e la resilienza dell’UE, e perfino una notevole capacità dei suoi Stati membri di non lasciarsi dividere. Senza il Regno Unito l’eurozona costituisce quasi il 90% del PIL dell’UE. I Paesi fuori dall’euro - privi della guida che il Regno Unito ha storicamente offerto a tutti coloro che volevano frenare il processo di unificazione – non hanno la forza politica di fermare un avanzamento se ci sarà una forte volontà politica di procedere. Al contempo occorre però osservare che le posizioni non univoche dei Paesi dell’Eurozona mostrano che è difficile immaginare un’iniziativa dei governi che miri, sin dall’inizio, a dividere l’Unione tra chi vuol andare avanti e chi stare fermo. D’altronde anche in passato, dall’elezione diretta del Parlamento alla moneta unica, le negoziazioni sui grandi avanzamenti hanno sempre visto la partecipazione di tutti gli Stati membri – anche quelli palesemente contrari, come il Regno Unito – e la rottura si è avuta solo alla fine una volta chiariti i termini di fondo, cioè il contenuto e la portata effettiva dell’avanzamento, inventando di volta in volta formule nuove per permettere a chi voleva andare avanti di procedere e a chi non era pronto di rimanere fuori.

Da questo punto di vista è utile riflettere sulle recenti esperienze del Fiscal Compact e del Meccanismo Europeo di Stabilità. Avviati inizialmente nel quadro dell’UE, il negoziato si è spostato al di fuori quando il Regno Unito (premier Cameron), che comunque non avrebbe aderito, ha chiesto contropartite su altri dossier per dare il suo assenso e permetterne l’adozione nel quadro UE. Vista l’urgenza è stata prevista una procedura di ratifica ad hoc: dodici Stati tra venticinque firmatari, purché membri dell’eurozona, ovvero i 2/3 dell’eurozona, ma una minoranza degli Stati firmatari. Un precedente che potrebbe tornare utile per una norma transitoria e finale sulla ratifica nel quadro della prossima riforma dei Trattati. Così come la posizione elaborata dal MFE e dall’UEF ai tempi della Convenzione: la proposta di un referendum europeo con doppia maggioranza. Anche questo uno strumento efficace per superare l’unanimità delle ratifiche con un metodo che garantisce il massimo della legittimità democratica e l’espressione della volontà del popolo europeo. Al contempo il precedente del Fiscal Compact e del MES ci ricorda che le iniziative dei governi hanno sempre esiti intergovernativi, non federali, dal punto di vista delle scelte istituzionali. Per questo è auspicabile che la proposta di riforma organica parta dal Parlamento, che ha un interesse oggettivo a rafforzare gli aspetti sovranazionali e federali dell’UE.

Il dibattito e il contesto non sono mai stati così avanzati. Si parla esplicitamente di costruzione di una sovranità europea su una serie di competenze fondamentali. Ciò è stato reso possibile dalla necessità di offrire ai cittadini alle elezioni europee delle risposte rispetto alle grandi crisi. E sulla base del fatto che i pezzi di sovranità europea costruiti finora - gestiti dalle istituzioni sovranazionali di carattere federale - funzionano: la moneta affidata alla BCE, il commercio e l’anti-trust alla Commissione. Perciò l’UE continua ad essere il quadro per la lotta per la federazione europea e mondiale: perché nella procedura legislativa ordinaria ha un legislativo bicamerale di tipo federale (Parlamento e Consiglio, che decide a maggioranza qualificata); ha un ordinamento giuridico federale garantito dalla Corte di Giustizia (che ha i poteri di una Corte Suprema federale); ha la BCE; sta rafforzando il legame di fiducia tra Parlamento e Commissione, cosa che può favorire la trasformazione di quest’ultima nel governo parlamentare dell’Unione. Per essere una federazione mancano cose fondamentali: l’abolizione completa dell’unanimità (anche su modifica e ratifica dei Trattati ovvero di una nuova Costituzione), l’attribuzione di poteri fiscali e di difesa, la creazione di una chiaro legame tra il governo federale e i cittadini. Sono tutti temi entrati all’ordine del giorno: si parla di Carbon tax, digital tax, e financial transaction tax; la Commissione ha già proposto di usare le clausole passerelle per superare l’unanimità su fiscalità e politica estera; e Fiscal Compact e MES mostrano che anche sui trattati il tema è stato posto e affrontato in certi casi. Siamo dunque in una fase in cui, sulla spinta delle politiche da fare per risolvere i problemi - dalla lotta per la salvezza ambientale all’immigrazione, dalla difesa alla politica estera e fino alle questioni che riguardano la democrazia e i diritti dei cittadini – il gradualismo costituzionale può raggiungere obiettivi su diversi fronti per far avanzare il processo verso un assetto federale dell’Europa.

La spinta di Macron è stata efficare e ha portato a risultati parziali, ma importanti, che possono costituire una breccia da allargare e una base su cui costruire: lo strumento di bilancio dell’eurozona nel quadro del bilancio dell’UE e gestito dalla Commissione, su cui si è accordato di recente l’ECOFIN. La capacità dei federalisti di interloquire con la classe politica – in primis il Parlamento europeo – e la società civile per favorire l’emergere di un’iniziativa ambiziosa per una riforma di tipo federale, che possa avviare un processo di natura  sostanzialmente costituente, in cui la presenza di una leadership occasionale europea può rivelarsi decisiva.

 

  

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