Un maiale che corre… Mai fidarsi dell’Europa… Inizio e fine del prologo sembrano anticipare l’argomento del libro di Robert Menasse (La capitale, Sellerio, pag. 445, 2018) che segna, senza reticenza, la fatica letteraria col suo essere viennese, germanista, al tempo del divenire europeo, in crisi, perché perso – l’accusa dei più – nelle sue faccende amministrative tanto da aver smarrito anche la propria spinta emotiva. E allora cosa fare?

La risposta viaggia tra le vicende dei protagonisti immaginari, ma che sono orchestrati ad arte per comprendere meccanismi, gelosie, ritrosie sempre presenti negli “affari”. Aprono il palcoscenico del romanzo, dove tutto ha una relazione, perché tra le cose ci deve essere, altrimenti “tutto si disgregherebbe”. E lo scenario è Bruxelles, la Capitale, dell’Europa.

Ma c’è un maiale che si aggira per l’Europa… a caccia per le vie di Bruxelles si trova Emile Brunfaut, non solo del maiale. Perché in tutto gioca un ruolo fondamentale il ritrovamento di un cadavere, un omicidio commesso nelle stanze dell’Hotel Atlas. Nessuna stranezza, eccezion fatta per il maiale, lì a scorrazzare al momento del fatto criminale, “un maiale così non arriva a Bruxelles come un turista, a bordo di un aereo, e poi se ne va a spasso per le vie del centro”. Un uomo è alla finestra… chissà, avrà visto tutto? Ma soprattutto c’è un nesso tra l’omicidio e il maiale?

Il primo vero “confronto” sul valore di quella città, popolata di burocrati e funzionari dell’Unione, si ha tra Kai-Uwe Frigge e Fenia Xenopoulou, quest’ultima destinataria di una “promozione” che sa di siluramento presso la Commissione europea, perché messa alla guida della Direzione C, Direzione generale cultura… La cultura, quasi a dire il nulla. Già, un dipartimento insulso, senza budget, senza alcun peso in Commissione, senza influenza e senza potere. L’altro, Frigge, o “Fridsh”, a Bruxelles da dieci anni, tra intrighi vari, ha fortuna, è a capo di gabinetto della Direzione generale del commercio.

Nella Direzione cultura anche Martin Sausman, austriaco, dirige il dipartimento programmi e misure a sostegno della cultura, quella che viene chiamata “Arca di Noè”, perché non ha meta da raggiungere se non salvare se stessa e il proprio carico, la cultura…

La cultura alla Grecia, una commissaria greca, perché il paese ellenico ha perso ogni credito a causa di una crisi economico finanziaria che non finisce più, costretto ad accettare una divisone senza, appunto, portafoglio. Martin non sopporta Fenia, che accetta quel ruolo, senza nasconderlo, controvoglia. Cosa li “indispone”? il Big Jubilee Project. L’ideatrice Mrs Atkinson (neo direttrice generale della Direzione comunicazione) ben cosciente della necessità di smuovere i sonnocchianti uffici informativi davanti all’evidente calo di popolarità della Commissione, al minimo storico che condanna tutto il lavoro realmente prodotto, giudizio fondato su cliché e pregiudizi. Una Commissione in mezzo a due opinioni dei cittadini, tra loro in contraddizione: da una parte ritenuta troppo invadente sulle questioni nazionali (59 per cento) e dall’altra ritenuta incapace di svolgere i propri compiti (5 per cento). Il compito di Mrs Atkinson quindi non può essere altro che occuparsi dell’immagine della Commissione. Favorita da un bicchiere di champagne, apre Google e cerca: “Commissione europea fondazione”. Ecco l’idea: “non basta vendere nel modo migliore il lavoro quotidiano della Commissione, bisogna festeggiarla… perché bisogna celebrarla invece che limitarsi a elemosinare consensi”. Stabilire una data non è facile. E per farlo, sceglie un più attraente cinquantenario, la data di fondazione della Commissione è quella relativa al dopo trattato di fusione delle Comunità europee. Sia Fenia sia Sausman, sono così protagonisti dell’evento celebrativo. Martin avrebbe voluto affrontare il problema è lasciarsi tutto alle spalle. Ma il fratello, Florian, entra in scena, da macellatore di suini che aspira ad un commercio europeo in grado di competere negli accordi con la Cina. Capofila di una protesta, dettata dall’evidenza dei fatti nelle trattative che coinvolgono le Direzioni generali, nel confronto tra colleghi anche: “perché è assurdo che gli europei costruiscano un mercato comune, ma nel commercio estero non creino nessuna comunanza di scopi”.

Nel giallo bruxellese si intrecciano le vite e le istituzioni. Menasse si sofferma sui particolari che riempiono decisamente di valore un romanzo scritto con attenzione e nel rispetto delle diversità tra le nazionalità dei vari personaggi. Con la “Storia” protagonista. Come nel caso di Alois Erhart che si trova sulla tomba di Armand Moens (1910-1972), economista caduto nell’oblio. Aveva sviluppato una teoria sull’economia politica postnazionale da cui aveva tratto la necessità di fondare una “Repubblica europea unita”. Al grido di “chiudete i parlamenti nazionali”! Sulla tomba insieme ai fiori freschi e una bottiglia di grappa, maialini (ancora?) portafortuna di misure diverse e diversi materiali…

Ma il dilemma di fondo è come legare la Commissione in modo saldo ai cittadini europei? Con la cultura. “Se potessi ricominciare con la costruzione dell’Europa, comincerei dalla cultura” disse Jean Monnet (ma non è certo che abbia realmente pronunciato questa frase). Chi la cita però ironicamente ribatte: “Cantare l’Inno alla gioia e solo in un secondo momento fondare la CECA?”. Cultura come conoscenza della Storia. Martin Sausman lo sa, e dall’occasione del giubileo della Commissione bisogna passare all’idea. E l’idea è porre al centro della celebrazione Auschwitz, perché c’è un prima e un dopo, e quello che la Commissione è (o dovrebbe essere) si è potuto pensarlo soltanto dopo Auschwitz.

Un sana riflessione sul valore della Commissione e su Auschwitz, ma il “burocrate” ha bisogno di un aiuto, perché lo sa, nel mezzo c’è sempre qualcuno che appare convinto, vende un prodotto al “presidente” e poi attende un fuoco incrociate per far precipitare il progetto nel “nulla di fatto”. La prima è un’istituzione non internazionale ma sovranazionale, non fa da tramite alla nazioni ma sta al di sopra di esse, rappresenta gli interessi comuni dell’Unione e dei suoi cittadini, non cerca il compromesso tra gli Stati, vuol superare i conflitti e le contraddizioni nazionali, nella prospettiva di una evoluzione postnazionale. “L’aspetto importante è ciò che unisce i cittadini di questo continente e non ciò che li divide”. Ecco perché il simbolo si fa sostanza, Auschwitz, le cui vittime provengono da tutti i paesi d’Europa “portano la stessa divisa a righe, vivono nell’ombra della stessa morte e tutte, nella misura in cui sono sopravvissute, hanno lo stesso desiderio: la garanzia del riconoscimento dei diritti umani valida per il futuro. Nella storia niente ha unito tanto le varie identità, mentalità, culture d'Europa, le religioni, le cosiddette razze diverse e le ideologie in guerra fra loro, niente ha creato una comunanza così profonda tra tutti gli esseri umani come l’esperienza di Auschwitz”. Nazioni e identità. Il superamento del sentimento nazionale. La Commissione, un azzardato “noi”, di funzionari “illuminati”, senza audire un referente politico, senza coinvolgere le altre Istituzioni, perché loro sono custodi di questa idea: per la sicurezza di una vita dignitosa, la felicità, i diritti umani; da Auschwitz in poi sono aspirazioni eterne! E la Commissione è l’istituzione che tutela questo desiderio, questo “patto valido in eterno”; “mai più”, questa è l’Europa, la Commissione “l’etica della storia”.

Un doppio graffiante giallo, da un lato istrionico (e ironico) nel risolvere il caso del maiale errante, degli eventi mediatici che crea, e dall’altro istituzionale alla ricerca di una soluzione al dramma di una caduta di consensi di un’istituzione fondante il carattere sovranazionale della costruzione europea.

Chissà se sarà proprio una donna, il neo-presidente della Commissione, a riuscire nell’impresa?

 

  

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