1° ottobre 2019 - Mentre a Pechino l’esercito sfila per le celebrazioni del settantesimo anniversario della Repubblica Popolare Cinese, a Hong Kong viene ferito il diciottenne Tsang Chi-kin, e contestualmente arrestato perché sospettato di aggressione a pubblico ufficiale. Si tratta dell'ennesima vittima della polizia negli ultimi mesi, più precisamente dal maggio scorso, quando sono iniziate le manifestazioni da parte dei cittadini per difendere le particolari condizioni di autonomia della Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong dal Governo centrale cinese. Ad oggi si contano oltre 1500 arresti e la domanda sorge quasi spontanea: perché i cittadini di Hong Kong mettono a rischio la propria vita?

La posta in gioco è alta! La scorsa primavera, il capo dell'Esecutivo di HK, la governatrice Carrie Lam, rappresentante del governo di Pechino, ha tentato di introdurre una nuova legge che prevederebbe la possibilità di estradare nella Cina continentale tutte le persone accusate di reati gravi, ovvero di crimini punibili con una pena superiore ai sette anni di detenzione, suscitando la forte opposizione della popolazione che è sfociata dapprima in manifestazioni pacifiche, poi trasformatesi in una vera e propria guerriglia urbana.

La grande paura dei cittadini è giustificata dal rischio di perdere un sistema giuridico liberale, ereditato dalla dominazione inglese e fondato sul modello occidentale, che rende HK una realtà unica nella Cina comunista. Si tratta solo dell’ultima goccia di una campagna di “cinesizzazione” della città-isola, che ha implicato un rigoroso controllo sociale in materia di giustizia, informazione, istruzione ed economia e la repressione di ogni dissidenza. Nel lungo termine, questa politica di assimilazione non poteva che avere conseguenze estreme: cinesi che bloccano l’intera ex colonia britannica, invocano l’aiuto dell’Europa per difendersi dalla loro stessa Patria. I resistenti, infatti,  definiscono questa "l'ultima lotta per Hong Kong".

Hong Kong, sotto il dominio britannico dal 1842 (in seguito alla vittoria inglese nella gurerra dell'oppio) al 1997 - quando è stata ceduta alla Repubblica Popolare Cinese -, gode di particolari autonomie e libertà tipiche di uno Stato di Diritto, assenti nel resto della Cina: ad esempio una lingua, uno statuto e una bandiera autonomi, il libero accesso a Internet, la libera stampa, un sistema giuridico di ispirazione britannica basato su un ordinamento di common law.  Inoltre, qui la pena di morte è stata abolita nel '93; nella restante parte del Paese è ancora praticata.

A questa particolare situazione fa riferimento la famosa espressione “una Cina, due sistemi”. In base a questo principio, Hong Kong possiede un sistema politico diverso dalla Cina continentale. Il funzionamento dell'indipendente magistratura del paese funziona secondo il modello di ordinamento giuridico del Common law. La Hong Kong Basic Law, il suo documento costitutivo, stabilisce che la regione goda di un alto grado di autonomia in tutti gli aspetti, tranne che nelle relazioni estere e nella difesa militare.

 Sulla base di questa ‘diversità’ i cinesi di HK, che cominciarono a sentirsi anche un po' hongkonghesi a partire dagli anni ‘70, e svilupparono - dal 1997 - una complessa identità culturale slegata da quella cinese. Da queste radici nasce la generazione che oggi è protagonista della grande protesta che ha occupato le strade e, per qualche giorno, anche l'aeroporto internazionale della città.

Le principali richieste dei manifestanti, includono - oltre al ritiro, concesso all'inizio del settembre scorso (per calmare le acque), della legge sull'estradizione (fino ad allora solo sospesa) - l'avvio di un'indagine sull'operato della polizia da parte di una commissione indipendente, l'amnistia per gli arrestati a seguito delle proteste, la non catalogazione delle pubbliche dimostrazioni come "sommosse" e il tanto atteso suffragio universale. In merito a questi punti la Lam ha fatto solo una parziale apertura: le indagini ci saranno, ma saranno svolte dall'organo di vigilanza che gli hongkonghesi non considerano indipendente. La governatrice ha fatto sapere, però, che sarà inviato un comitato di esperti per esaminare i problemi della città.

Due sistemi, dunque, tenuti assieme dalla forza e mascherati dal contraddittorio benessere di un'economia che decolla: la Cina è la seconda economia del mondo, con una crescita rapidissima dal 1978 a seguito di importanti riforme; Hong Kong, inoltre, è un centro cruciale del settore finanziario a livello globale. Un altro campo dove il Paese più  popoloso al mondo sta dimostrando la sua forza è quello del neoimperialismo, che lo vede primo protagonista in Africa.   

Sono ormai 9 anni che la Cina ha superato gli Stati Uniti come primo partner commerciale del continente africano. I grandi progetti di infrastrutture sono quasi tutti cinesi: è il caso, per esempio, dello stato dittatoriale di Djibouti, che ha costruito negli ultimi anni infrastrutture grazie a finanziamenti cinesi (tra cui 470 miglia di ferrovia per collegarsi alla vicina Etiopia). Il Djibouti ha anche autorizzato la costruzione di una base militare cinese, la prima nella storia in territorio extracinese.

In questo complesso panorama geopolitico, notiamo il sostanziale silenzio dell'Unione Europea, la cui politica estera è ancora sostanzialmente appannaggio dei singoli Stati nazionali, sia pur con il coordinamento dell’Altro Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune.   

La difesa dei diritti politici e civili è sempre una questione complicata, in campo internazionale, cioè in un mondo di Stati che vedono gli spazi di libertà e giustizia come ‘territori’ sui quali continuare ad esercitare la loro pretesa di sovranità assoluta.

E lo è ancor più complicata per un’Unione che spesso non riesce ad esercitarla perfino nei confronti di qualche stato membro, quali l’Ungheria e Polonia, già deferiti alla Corte europea di Giustizia.  .

Eppure, occorre prendere consapevolezza politica del fatto che è nello stesso interesse dell’UE rivendicare la tutela dei diritti civili anche al di fuori dei propri confini. Dovrebbe essere considerata una condizione essenziale, ad esempio, per la conclusione di trattative commerciali con i Paesi terzi. L'Unione riveste un ruolo essenziale nel contesto commerciale globale e, per questo motivo, può permettersi di pretendere di più dai propri partner: non solo condizioni economiche e qualitative paritarie, ma anche il rispetto di diritti e libertà fondamentali. Ciò avviene già per la valutazione di una richiesta di adesione da parte di un Paese terzo. La Cina, soprattutto in questo momento di difficoltà dovuto ai dazi americani, avrebbe enorme interesse ad avere buoni rapporti con l'UE ed è interesse di quest'ultima preservare il proprio "stile di vita" attraverso vincoli contrattuali più rigorosi anche sotto il profilo della salvaguardia dei diritti della persona.

C'è un popolo, quello di Hong Kong, cresciuto da 150 anni anche con i valori delle democrazie occidentali, che ci chiede di non rimanere indifferenti. Come pure c’è un continente, quello africano, che merita di più, merita di ricevere - anche dagli europei - gli strumenti per perseguire l'obiettivo di un sviluppo civile, basato sul rispetto della dignità umana.

Di fronte a queste situazioni l’Europa, unita e solidale, lasciandosi ispirare dai valori che l'hanno generata, può e deve fare la sua parte.

È necessario che il Parlamento europeo faccia sentire la sua voce e che la nuova Commissione europea affronti anche la questione della tutela dei diritti della persona in tutte le sedi internazionali. Anche in quelle commerciali.

 

  

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