Perché c’è una soluzione, la rivoluzione, l’unica, dettata dalla forza della risorsa migliore, anzi ancora, l’unica risorsa, “il ritorno del coraggio e della chimica potente dei sogni”.

Bernard-Henri Lévy in “Looking for Europe” (La nave di Teseo, 2019) ha una convinzione, che per sconfiggere i “demoni”, i montanti totalitarismi e nazionalismi, artefici della miseria, aggiungerei morale, oltre che politica ed economica, dobbiamo raggiungere la nostra Europa.

Si mette alla ricerca di questo patrimonio, arroccato nella storia del continente, fatta di guerre perché è dalla guerra più recente, quella che ha ferito profondamente la nostra Europa che vuole esorcizzare il particolarismo autodistruttivo, in quella Sarajevo ad “onorare i miei morti della guerra in Bosnia”.

Chiuso in una stanza di hotel alla ricerca delle giuste parole per difendere questa Europa, perché senza non potrebbe cercare quella nuova Europa che deve delle risposte; ma intanto è lui, con un appuntamento davanti che deve delle risposte, ai morti. L’Europa morta a Sarajevo di Izetbegovic, presidente bosniaco, con la voglia di cantare la gloria di un’altra Europa, ma con la mente che è affollata d’immagini in cui non credono neanche più gli europei forse più vicini a Trump, con uno scorrere nella memoria di scene di vergogna e tristezza.

Ma cosa è successo? “abbiamo smesso di avere a cuore, così allegramente, l’internazionalismo e le preoccupazioni per il mondo”; già, abbiamo, in modo disincantato abbandonato l’altro al proprio destino, perché diverso del nostro.

L’Europa è fatta di corpi e di volti”. Perché l’Europa è un corpo, può definirsi tale, ma non ha un volto. Lévy lo cerca, spasmodicamente, tra una Berlino tranquillamente eccitata e una Budapest dalla carezzevole voce. Ma davvero è un volto di donna? Sì, di una giovane donna… Giunta magari, da una traversata pericolosa fino alle rive di quella che oggi chiamiamo Europa.

Chiuso in una stanza di hotel alla ricerca delle giuste parole per difendere questa Europa, perché senza non potrebbe cercare quella nuova Europa che deve delle risposte; ma intanto è lui, con un appuntamento davanti che deve delle risposte, ai morti. L’Europa morta a Sarajevo di Izetbegovic, presidente bosniaco, con la voglia di cantare la gloria di un’altra Europa, ma con la mente che è affollata d’immagini in cui non credono neanche più gli europei forse più vicini a Trump, con uno scorrere nella memoria di scene di vergogna e tristezza.

Ma cosa è successo? “abbiamo smesso di avere a cuore, così allegramente, l’internazionalismo e le preoccupazioni per il mondo”; già, abbiamo, in modo disincantato abbandonato l’altro al proprio destino, perché diverso del nostro.

L’Europa è fatta di corpi e di volti”. Perché l’Europa è un corpo, può definirsi tale, ma non ha un volto. Lévy lo cerca, spasmodicamente, tra una Berlino tranquillamente eccitata e una Budapest dalla carezzevole voce. Ma davvero è un volto di donna? Sì, di una giovane donna… Giunta magari, da una traversata pericolosa fino alle rive di quella che oggi chiamiamo Europa.

Nelle riflessioni di Lévy la guerra non è solo quella nella memoria, è quella che si vive ogni giorno rifiutando le persone che arrivano a Lampedusa, tra poveri e dannati, che ostinatamente “non vogliamo distinguere nella notte”. Ed accende il riflettore sull’Italia, così intollerante. Quando è la politica a diventarlo. Con la “tecnica post-moderna del colpo di Stato”, “sornione e palese, scaltro e spettacolare, placido e violento” entra in scena Salvini, e Lévy “scomoda” Malaparte, pensando di aver appreso, da lui, tutto “sul modo in cui un ambizioso (…) riesce a far vacillare una democrazia”. Quindi cosa fare? Sembrerebbe dire, facciamo come il profeta Geremia davanti allo sbandamento del popolo, tagliamo la corda! Ma la “ragione” davanti ai “maniaci del natio, del nazionale, del naturale” come nel programma di Husserl di fronte a tutti quei “farabutti”, ci trascende con la volontà dell’”idea” che l’Europa è una identità in più. E ai migranti che cosa diciamo? Che scelgono l’Europa per vincere con la ragione contro l’istinto. E alla signora della porta accanto? Che non è con l’idea-Europa che arriva alla fine del mese… Lévy pone una serie di domande che nascono dalle difficoltà. L’Europa inventa l’Universale? Kant parla di umanità aperta, e non pronuncia la parola Europa nemmeno una volta! Però vuole credere ad Husserl che sia “l’Europa a inventare questa idea che siamo figli dell’Idea prima di essere figli del natìo, del nazionale o del naturale, supponendo che sia l’Europa dentro ciascuno di loro a permettere all’hindu, al bantù, al buddhista, all’arabo, all’egiziano, al mongolo, all’azteco, al persiano… di elevarsi al di sopra delle tre “n” e di accedere al regno della fraternità – allora gli europei sono ovunque, ma l’Europa non è da nessuna parte; allora l’Europa è così “eroica” da non avere più frontiera né territorio”.

 

  

L'Unità Europea

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