Le crisi in Medio Oriente e Nord Africa dimostrano che l'Europa non può più essere un consumatore di sicurezza, com’è stata dal 1945, ma deve dotarsi degli strumenti per divenire produttrice della propria sicurezza. 

Le crisi in Medio Oriente e Nord Africa mostrano l’impotenza e l’irrilevanza degli europei. Esemplificate dal rinvio della missione in Libia inizialmente annunciata dall’Alto Rappresentante e dai ministri degli esteri dei Paesi europei più coinvolti che dovevano accompagnarlo; e dal fatto che gli USA abbiano informato vari alleati Mediorientali, ma non gli europei, prima del raid per uccidere il generale Suleimani. Aggiungiamo l’azione militare turca in Siria e in Libia, contro il parere di europei e americani, ed è difficile non pensare alla riflessione di Macron sulla “morte cerebrale” della NATO come alleanza e luogo di coordinamento politico-militare.

Con il fracking gli USA hanno sostanzialmente raggiunto l’indipendenza energetica e la lotta per l’egemonia mondiale è tra loro e la Cina. Ciò comporta uno spostamento irreversibile del loro focus strategico verso il Pacifico e una perdita di rilievo dell’Europa, dell’Africa e del Medio Oriente. Non si può fingere che l’alleanza atlantica e la garanzia americana della sicurezza europea siano solide come in passato. In un anno elettorale Trump ha risposto alle immagini delle proteste vicino all’ambasciata USA a Baghdad, perché gli ricordavano quelle di Teheran del 1979 che costarono la rielezione a Carter. Ma non cambia la strategia. La destabilizzazione del Nord Africa e del Medio Oriente è frutto del disimpegno americano, che resta l’opzione strategica prevalente. Interventi occasionali – come in Libia o in Iraq - possono solo acuire i problemi, i cui effetti restano poi in capo al Medio Oriente e all’Europa.

L’Europa non può più essere un consumatore di sicurezza, com’è stata dal 1945, e deve dotarsi degli strumenti per divenire produttrice della propria sicurezza. L’attuale debolezza europea è auto-inflitta e non inevitabile. Il fatto che un gigante economico - analogo a USA e Cina - sia sostanzialmente sprovvisto di capacità militari è storicamente un’anomalia, non un dato immodificabile. Dovuta al fatto che in materia di politica estera, di sicurezza e di difesa gli europei restano sostanzialmente divisi. Il motto secondo cui l’Unione è “un gigante economico, un nano politico e un verme militare” indica che gli europei sono forti dove le competenze e i poteri sono stati affidati, almeno in buona parte, all’Unione e deboli (nani o vermi) dove sono rimasti nazionali. Ciò non riguarda solo l’Italia – la cui debolezza è particolarmente evidente – ma tutti gli Stati membri, inclusi Francia, Regno Unito e Germania. Quando Francia e Regno Unito hanno attaccato la Libia, hanno finito le munizioni di precisione in pochi giorni e sono stati costretti a chiedere aiuto agli USA! Per non parlare dei disastrosi risultati di quell’azione, priva di una strategia di stabilizzazione post-Gheddafi.

Non è una questione di risorse. Gli europei nel loro insieme hanno la 3° spesa militare mondiale dopo USA e Cina: cioè spendono per la difesa più della Russia, della Turchia, dell’Iran, dell’Arabia Saudita, di Israele, dell’Egitto, che pure sono attori rilevanti e attivi nella nostra area di vicinato. I Paesi UE spendono per la difesa l’1,2% del PIL, quando tutto il bilancio dell’UE è lo 0,9%! Ma con 27 difese nazionali, senza standardizzazione dei sistemi d’arma, e una struttura della spesa militare inefficace, a tale spesa non corrisponde una capacità militare adeguata. Domenico Moro (Verso la difesa europea, Il Mulino, 2018) mostra che è possibile creare un’efficace difesa europea anche senza abolire gli eserciti nazionali, con il modello della “dual army”, che ha caratterizzato gli USA inizialmente, con un piccolo esercito federale e delle milizie degli Stati, mobilitabili da parte federale in determinati momenti e condizioni. E va sfruttata al meglio l’esperienza europea nelle missioni civili, in una concezione della sicurezza e della difesa in cui gli elementi civile e militare sono integrati in maniera strutturale. L’UE non sarà una super-potenza militare, ma deve dotarsi di quelle capacità minime indispensabili a garantire la propria sicurezza e a favorire la stabilizzazione dell’area di vicinato.

Von der Leyen ha colto che nel pericoloso contesto globale la sicurezza è la sfida cruciale, il bisogno essenziale dei cittadini cui l’UE deve rispondere, sia nei termini tradizionali della difesa esterna e della sicurezza interna, che di quella ambientale. Ma l’idea di una Commissione “geopolitica” si scontra con l’assenza di competenze e poteri adeguati, nonostante i primi passi avanti della Cooperazione Strutturata Permanente sulla Difesa. Se dalla crisi mediorientale emergerà una seria volontà di procedere all’unione politica, riformando i Trattati, procedendo verso una politica estera, di sicurezza e di difesa europea affidate ad un vero governo federale – per cui in missione andrà il Ministro degli esteri europeo, senza bisogno di essere accompagnato dai ministri nazionali per far vedere che quello che dice sarà davvero seguito dagli Stati membri – torneremo rilevanti e in grado di tutelare i nostri interessi e valori. Il resto sono parole vuote e gesti simbolici  per ingannare i cittadini e fingere che gli Stati nazionali possano provvedere alla loro sicurezza. L’ipocrisia degli Stati membri è evidente quando da un lato chiedono soluzioni europee e poi si muovono autonomamente – con Francia e Italia in feroce competizione sulla Libia, spingendo Borrell a delegare la Germania a parlare per l’UE alla Conferenza di Berlino - e rifiutano la proposta di passare al voto a maggioranza qualificata in materia di politica estera. Anche l’Italia, con il Ministro degli Esteri che al mattino chiede che l’UE parli con una voce sola sulla Libia e al pomeriggio promuove un trilaterale Russia, Turchia e Italia: due attori e un osservatore.

Il risultato è che il vuoto di potere lasciato dagli USA non viene colmato dall’UE, ma da Russia e Turchia nel Mediterraneo, e da Iran e Arabia Saudita in Medio Oriente. Dopo essersi spartite la Siria, Russia e Turchia faranno lo stesso con la Libia, se gli europei continueranno a guardare. Con la Turchia che invia truppe e fa un accordo per lo sfruttamento dell’area marittima esclusiva, che cerca di espandere più dell’attuale andando ad intaccare gli interessi degli Stati mediterranei dell’UE. E la Russia che invia mercenari e vende armi in Libia. Il che oltre alla debolezza europea mette in luce la necessità di reimpostare i rapporti con Russia e Turchia.

La Russia ha un’economia in grave crisi, non è più un potenziale egemone mondiale, ma ha una significativa capacità militare e la disponibilità ad usarla. È in grado di creare molti problemi, ma non di risolverli. Essendo scaduti i trattati sul disarmo in Europa tra USA e Russia, e avendo Trump dichiarato che l’indipendenza dei Paesi baltici non è un suo problema, è chiaro che l’UE ha bisogno di creare un nuovo quadro di relazioni con la Russia che ha bisogno della collaborazione europea sul piano economico, e che in cambio può contribuire a garantire la sicurezza dell’UE e smettere di destabilizzare l’area di vicinato. Con la Turchia va tenuta aperta la porta dell’adesione all’UE nel momento in cui la tendenza a riforme volte a creare una democrazia liberale tornasse a prevalere, come accaduto fino alla chiusura della prospettiva dell’adesione all’UE da parte della Francia, che ha favorito la svolta autoritaria di Erdogan.

La situazione internazionale mostra l’urgenza di completare l’unificazione politica dell’Europa con la creazione di un governo federale responsabile della politica estera, di sicurezza e di difesa – oltre che delle migrazioni e della cooperazione economica – per tentare di risolvere le crisi e stabilizzare l’area di vicinato. L’alternativa è tra unirsi e divenire un attore, o rimanere divisi ed essere un osservatore o il campo di battaglia per gli attori globali. La Conferenza sul futuro dell’Europa dovrebbe partire da qui.

 

  

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