L’Europa sta vivendo momenti drammatici, assediata dall’ondata nazionalista che ormai apertamente sfida la sopravvivenza del modello dell’Unione europea. Il Consiglio europeo del 28-29 giugno, che ha visto in scena lo scontro tra i governi e si è concluso con un nulla di fatto (vi rimando a a questo proposito al Comunicato stampa pubblicato in questa stessa pagina) ne è un esempio sin troppo evidente. A maggior ragione pensando alla gravissima crisi in Germania che l’ha accompagnato e che è ulteriormente esplosa in seguito alle sue non-conclusioni.
Impossibile non vedere il vicolo cieco in cui quest’Unione si è infilata, per le ragioni che abbiamo tante volte analizzato anche su queste pagine. Una grande Europa-mercato – per quanto integrata – che lascia la politica e la legittimazione democratica nelle mani degli Stati, non può funzionare di fronte alle sfide poste dal mondo di oggi. Servirebbe una politica europea forte, autorevole nel mondo ed efficace all’interno, per costruire quello che gli Stati europei non sono in grado di fare: giocare un forte ruolo internazionale a protezione degli interessi europei (ruolo che passa soprattutto dalla capacità di creare stabilità, cooperazione, sviluppo condiviso, commercio regolamentato ma aperto), assumere la leadership nella crescita sostenibile e nello sviluppo industriale e tecnologico, riuscire a rinnovare il welfare per renderlo più forte e più equo. L’Unione europea non può fare queste politiche, né può avere il necessario peso internazionale; è stata lasciata impotente dagli Stati membri, che non hanno voluto costruire una sovranità europea. A questo si aggiunge l’aver realizzato una moneta unica senza aver creato né l’unione fiscale ed economica, né quella politica, complementi indispensabili per avere un sistema in equilibrio. Siamo così arrivati al paradosso per cui, nonostante i sondaggi spieghino che il sostegno dei cittadini all’Unione europea è in realtà di nuovo tornato a crescere, e persino in un paese come l’Italia si conferma una maggioranza a favore del rimanere nell’Euro e nell’UE, il nazionalismo aggressivo guadagna voti in maniera impressionante; e il saldarsi dei diversi movimenti e partiti in maniera trasversale, minaccia ormai apertamente di voler paralizzare l’Unione, che essendo incentrata sul dominio del Consiglio europeo, può procedere solo sulla base del consenso di tutti.
In questo scenario che si fa via via più drammatico sono ancora due, a ben vedere, i punti di resistenza che il progetto europeo mantiene: uno è il fatto che le ricette nazionaliste non possono funzionare, e che se possono mettere in ginocchio l’UE, mettono al tempo stesso in ginocchio anche gli Stati membri. Questo le rende meno credibili nel tempo e alla lunga può mettere in difficoltà i partiti che le sostengono. L’altro è la resistenza della Francia di Macron e della Germania della Cancelliera Merkel, i veri baluardi rimasti contro la follia nazionalista. Non è un caso che solo pochi giorni fa i due governi abbiano trovato un primo accordo siglato a Meseberg dove, in particolare, hanno fissato alcuni punti per una riforma dell’Eurozona, indicando anche strumenti ad hoc: un bilancio per investimenti e uno strumento di stabilizzazione contro la disoccupazione. E’ la prima volta da molti anni che la Germania ammette che l’Euro e l’Unione europea non sono, e non lo saranno per molto, due quadri coincidenti; è un’ammissione fondamentale, perché rompe il tabù dell’inviolabilità del quadro a 27 dietro cui sinora si era barricato il rifiuto anche tedesco ad ogni vero cambiamento dell’attuale assetto europeo.
Questo tabù della monolitica unicità del quadro comunitario paralizza, infatti, ogni possibilità di rafforzare l’Unione europea, a maggior ragione oggi che la maggioranza dei paesi è contraria al cambiamento e che Francia e Germania possono contare sul supporto solo di una minoranza di partner. L’unica possibilità, pertanto, che hanno i due paesi (se Berlino non si avvita in una crisi mortale) per salvare il progetto europeo è quello di rilanciarlo, proponendo un’iniziativa di avanguardia che realizzi tra un primo nucleo di paesi una maggiore unità e un sistema più solido, più coeso, più legittimo per i cittadini e più efficace. E’ chiaro, infatti, che nel quadro comunitario a 27 l’impasse è destinata a perdurare nel Consiglio, e rende così impensabile una riforma graduale dell’Unione partendo dai Trattati vigenti, dove tutti gli strumenti di flessibilità presenti implicano l’accordo per andare avanti da parte di quelli che non lo vogliono fare, e quindi un ruolo comunque costruttivo da parte di chi è contrario. Al tempo stesso un progetto costituente per cambiare i Trattati a 27 è improponibile nell’attuale situazione. Torna allora come unica via d’uscita quella di un’iniziative di un’avanguardia, disposta a sperimentare un approfondimento che gli altri partner non sono ancora pronti a condividere. Un’iniziativa – ovviamente aperta – per creare una sovranità comune con chi è disposto, in almeno due settori chiave: quello della politica migratoria e quello della politica economica. Si tratterebbe, sul primo tema, di creare un quadro unico con il controllo condiviso delle frontiere esterne e con una politica migratoria genuinamente comune; sul secondo punto invece si dovrebbero avviare l’unione fiscale ed economica. In entrambi i campi bisognerebbe trovare le modalità di governo condiviso, coinvolgendo le istituzioni dell’Unione perché supportino questo primo embrione di unione politica, prevedendone la successiva estensione.
Si tratta solo di un’indicazione, che dovrà essere approfondita e valutata a fondo. Quello che è certo, però, è che Francia e Germania devono riprendere il cammino interrotto con la nascita dell’Euro – ossia con la creazione di una prima porzione di sovranità europea pensata per rendere molto più forte l’unione e per permetterle di resistere alle scosse che il nuovo quadro internazionale ed europeo avrebbe sicuramente provocato dopo la fine dell’equilibrio bipolare e con la riunificazione tedesca. Come allora bisogna riprendere l’idea di un nucleo duro di paesi che funga da magnete per contrastare le spinte centrifughe; come allora bisogna creare condizioni effettive di forte integrazione che leghino gli uni agli altri i destini degli Stati; come non è stato fatto allora, bisogna che la natura politica dell’iniziativa si traduca anche in cambiamenti istituzionali che facciano nascere una sovranità politica europea.
Solo se sapranno perseguire questo tipo di progetto Francia e Germania potranno invertire il trend; e tutti i paesi in grado di sostenerli devono schierarsi senza indugio al loro fianco, nella consapevolezza che solo in questo modo si lancia una sfida che mette in crisi le forze nazionaliste. L’Italia per il momento potrebbe restare fuori; o forse potrebbe spaccarsi e in nome di questa scelta trovare la forza di liberarsi dall’incantesimo leghista. La sola cosa certa che possiamo dire a noi stessi e ai nostri partner europei è in ogni caso che l’Italia non si salva senza l’Europa; ma l’Europa non si slava senza costruire la Federazione europea. Andate avanti, dunque, anche senza di noi, ma anche per noi.