Si tratta di capire se oltre a multare Google, la Ue sarà in grado di esprimere una politica di difesa, sostegno e propulsione dell’industria delle piattaforme digitali, sulle quali si gioca gran parte della competizione globale oggi e nel prossimo futuro.
La vicenda è nota: la Ue ha deciso di comminare a Google una multa da 4,3 miliardi di euro per abuso di posizione dominante.
L’economista austriaco Joseph Alois Schumpeter ha scritto interi volumi per spiegare che solo l’innovazione crea crescita, proprio tramite il temporaneo allontanamento da una posizione di concorrenza, ossia dalla creazione di una posizione di monopolio (quella definita “dominante”) che permette di remunerare lo sforzo innovativo; e che quindi essa non va punita ma sostenuta, aiutata a manifestarsi e trovare sul mercato le risorse finanziarie atte a garantirla. Perché se non ci fosse l’aspettativa di poter sfruttare un monopolio, e quindi profitti in misura superiore alla remunerazione media di mercato, nessuno avrebbe incentivi ad investire.
D’altronde, come Schumpeter stesso ricordava, l’innovazione e la posizione di monopolio che ne consegue dovrebbero essere riassorbite una volta che altri si appropriano delle tecnologie ed entrano sul mercato, diminuendo i margini di (extra)profitto iniziali, fino a quando diventa “common knowledge”.
Questa dovrebbe essere la valutazione da compiere ogni volta che siamo in presenza di un monopolio generato da innovazione: se sia garantita la libertà di altri concorrenti di entrare sul mercato. Naturalmente, decidere se la “posizione dominante” è dettata dallo sfruttamento dell’innovazione o da altri comportamenti atti ad escludere o ritardare l’ingresso di altri concorrenti sul mercato è questione difficile, ed essenzialmente politica.
Ed è qui che s’innesta la considerazione più interessante per il caso in oggetto. Ha perfettamente ragione Trump (o almeno lo speriamo vivamente): questa multa è (si auspica) il segnale di una risposta politica dell’Unione Europea al comportamento protezionista della nuova amministrazione Usa. Mentre gli Usa si possono sbizzarrire ad imporre dazi sui vari beni e servizi che importano dal resto del mondo, Unione Europea compresa, tra i pochi beni davvero importanti che in Europa importiamo dagli Usa ci sono proprio le tecnologie. Ed è una partita da milioni di euro/dollari, che oltretutto veicola altre battaglie strategiche per la sicurezza e la privacy dei cittadini. La “guerra dei dazi” si può insomma articolare in vari modi… non necessariamente con l’imposizione di dazi.
La questione semmai è un’altra. Cancellato ormai dalla storia (e dalla entità colossale degli investimenti necessari a sostenerne i settori e le innovazioni strategiche) il sovranismo digitale a livello di micro-Stati quali sono quelli europei (le grandi partite si giocano oggi fra Usa, Cina, India e recentemente anche Russia), si tratta di capire adesso se oltre a clamorosi gesti di natura tecnica e pubblicitaria (la multa a Google), la Ue sarà anche in grado di esprimere una politica di difesa, sostegno e propulsione dell’industria delle piattaforme digitali, sulle quali si gioca gran parte della competizione globale oggi e nel prossimo futuro. Con quali risorse (che ad oggi non esistono) intende farlo (magari con i soldi incassati dalla multa?); con che tipo di governance (se la solita logica intergovernativa, diplomatica, di semplice cooperazione volontaria fra governi che ha mostrato tutta la sua inefficienza; oppure con un governo effettivo)?
Questa è la vera domanda che ci dobbiamo oggi porre, per evitare che la multa a Google sia una semplice operazione di difesa della concorrenza (ottima, per carità, ma probabilmente tardiva e tutto sommato di scarsa rilevanza) o invece, come ci suggerisce Trump, un’operazione squisitamente politica volta a scalzare il monopolio Usa sui sistemi operativi degli smartphone e su tutto ciò che gira intorno ad essi.
Perché se fosse solo una manovra tecnica, per quanto apprezzabile (nella difesa della concorrenza, dove le competenze sono state pienamente spostate dagli Stati nazionali all’Unione, la Ue funziona eccome), ci esporrebbe semplicemente al rischio di ulteriori ritorsioni commerciali americane. E il pericolo (tanto per cambiare) è che a pagare il conto di tutto questo, alla fine, sarebbe il semplice cittadino-consumatore europeo.