Sospesi tra passato e futuro: questo sono oggi gli Europei. E questa è la ragione dello scontro in atto tra “nazionalsovranisti” e sostenitori della necessità di una nuova sovranità europea; uno scontro squisitamente politico, come spiega con la consueta lucidità Joschka Fischer nel suo intervento di pochi giorni fa su Social Europe (Brexit and the European Order). Non bisogna farsi ingannare dai mille risvolti della crisi in atto; la scelta fondamentale che oggi muove politici e cittadini è tra la nostalgia del meglio che ci ha dato il passato – che per alcuni paesi ha anche significato l’esercizio di un grande potere nel mondo, e che per tutti ha comunque coinciso anche con uno straordinario sviluppo economico e sociale – e la capacità di accettare la sfida sul futuro. Nel primo caso si pretende di ripristinare la sovranità nazionale, condizione alla base di quel mitico passato; nel secondo si capisce che serve una sovranità europea condivisa, associata al rafforzamento delle istituzioni internazionali volte a regolare in modo cooperativo i rapporti globali.
In realtà, per gli Europei, come ben sappiamo, si tratta di una finta alternativa. I rapporti di potere nel mondo non lasciano molti spazi di manovra: uniti ci si può attrezzare per conservare spazi di autonomia e libertà nel nuovo ordine mondiale in formazione, per difendere i nostri modelli e valori, i nostri interessi, e per garantirci spazi di progresso civile e sociale; divisi si rimane impotenti e in balia degli equilibri decisi dalle potenze globali, come sperimentiamo ogni giorno. In più, senza il fortissimo legame reciproco costruito attraverso l’Unione europea – che ha già instaurato un sistema che stempera le tensioni tra gli opposti nazionalismi – anche gli spettri dei conflitti del passato faranno ritorno.
E’ in questo schema che dobbiamo inquadrare le vicende del nostro governo e le prossime elezioni europee. Nel momento in cui il giornale è in chiusura, è in atto uno scontro durissimo, tra l’Italia da un lato e i partner europei e la Commissione dall’altro, riguardo al documento programmatico di bilancio. Spesso questo scontro scompare dietro al clamore suscitato da una manovra pensata puramente a fini elettorali, e pertanto totalmente irresponsabile, al punto da poter innescare conseguenze gravi e incontrollate; una manovra che costerà comunque molto all’Italia, che lascia il sentiero complessivamente virtuoso che aveva finalmente imboccato e si rituffa in vecchi vizi, accompagnati da un nuovo disprezzo per le istituzioni fondanti della liberal-democrazia occidentale.
Ma, nonostante tutto, la questione sostanziale che anima questo scontro non è economica, ma politica. Riguarda innanzitutto il problema di quali sono le responsabilità del governo quando agisce; e il principio di chi è sovrano nel decidere la politica di bilancio di un Paese quando questo ha liberamente aderito ad un sistema sovranazionale (il Mercato unico e l’Euro). Un sistema, peraltro, che in questi anni lo ha protetto, offrendogli l’opportunità straordinaria di un mercato interno di 500 milioni di cittadini (che è stata la condizione che ha permesso alle nostre aziende di misurarsi con i mercati globali, avendo le spalle coperte), che lo ha integrato in filiere produttive transnazionali, che ha favorito standard di eccellenza e modelli e pratiche virtuose; un sistema che lo ha garantito sul piano finanziario, salvandolo dalle crisi monetarie cui sarebbe stato soggetto con la vecchia lira, e che lo ha sollecitato ad intraprendere un sentiero più responsabile e sostenibile, indispensabile soprattutto per costruire un futuro alle giovani generazioni. L’Italia lasciata a sé stessa, per via delle sue croniche debolezze, è il classico Paese in cui domina la politica responsiva – pronta a corrispondere alle domande degli elettori di oggi, a discapito delle generazioni future e delle altre comunità umane il cui destino è intrecciato con il nostro. Allora, dietro allo scontro con l’Europa non c’è la volontà del popolo italiano sovrano contrapposta ai diktat dei burocrati di Bruxelles (o alle asprezze degli amici dei governi illiberali e nazionalisti, pronti ad allearsi con l’Italia per indebolire la coesione europea, e poi coerenti nel pretendere che si rispetti la linea “nazionalsovranista” che fa dire al Cancelliere austriaco Kurz: “La Commissione europea deve respingere la manovra italiana. Non siamo disposti a pagare i debiti degli altri Stati”). Questa contrapposizione “con l’Europa” non esiste, non solo perché il “popolo sovrano” non è un’entità monolitica, e pertanto include anche chi è contrario alla manovra economica e al governo e ne condivide la bocciatura; ma soprattutto non è vera perché l’orizzonte delle responsabilità di un governo va oltre le sue constituencies, per abbracciare anche chi ancora non può votare, ma vivrà il paese dopo di noi, e chi non può votare perché cittadino di un altro paese, ma si trova a condividere le conseguenze delle nostre scelte. Questo è molto più vero in Europa dove questa interdipendenza è stata istituzionalizzata e comporta anche condivisione di oneri e solidarietà – per quanto quest’ultima sia ancora insufficiente. Il principio di chi è sovrano in materia di bilancio all’interno di un’Unione monetaria non si risolve quindi con decisioni e scelte unilaterali, né sperando di scaricare sui partner l’onere del proprio risanamento. L’unica soluzione è costruire una sovranità europea condivisa in materia fiscale, legittimata democraticamente; e, pur nel rispetto sostanziale delle regole, portare la politica al livello europeo dove possono essere promossi lo sviluppo e gli investimenti. Come farlo lo abbiamo detto tante volte, e lo abbiamo anche messo al centro della nostra Campagna nei confronti delle forze politiche in vista delle elezioni europee. Habermas lo ricorda con grande precisione in un suo intervento recente (Social Europe, “New” Perspectives for Europe): “Alla base di questa cruda polarizzazione ‘pro’ o ‘contro’ l’Europa c’è una tacita domanda, sinora rimasta inevasa, anche se riguarda il passaggio cruciale – ossia: un’unione monetaria che opera in condizioni sub-ottimali, dovrebbe semplicemente essere ‘impermeabilizzata’ contro il rischio di attacchi speculativi, o piuttosto dovremmo tornare alla promessa mancata dello sviluppo della convergenza economica nell’area euro per far evolvere l’unione monetaria in un’unione politica capace di agire in modo efficace? Entrambi gli obiettivi sono necessari: da un lato migliorare la messa in sicurezza dell’euro, dall’altro…. creare un bilancio per l’Eurozona e – sotto la guida di un ‘Ministro europeo delle Finanze’ – competenze controllate democraticamente per agire politicamente a quel livello. L’Unione europea potrà guadagnare valore politico e consenso popolare solo acquisendo competenze e risorse di bilancio per realizzare programmi legittimati democraticamente per contrastare il crescente divario economico e sociale tra i suoi Stati membri”.
E’ evidente allora che l’Italia avrebbe un solo interesse vero, ed è quello di battersi innanzitutto per favorire l’evoluzione dell’Eurozona in un’unione politica di natura federale. Potrebbe farlo, se volesse agire in modo responsabile e per il bene dei cittadini; e indicherebbe così qual è la vera soluzione per la politica democratica di fronte al problema delle responsabilità intercomunitarie. Sarebbe un passaggio storico, che permetterebbe di far compiere un enorme salto di qualità all’idea stessa della politica democratica.
In realtà, non solo l’Italia, ma gli Stati europei in generale, dovrebbero avere la capacità di fare questo passaggio. Dovrebbero comunque almeno ricordare con Fischer, che “rimpiangere un passato glorioso è l’ultima cosa che può aiutare gli Europei a confrontarsi con le sfide di oggi. Per definizione il passato è alle spalle…. Per l’Europa è il momento di occuparsi del suo futuro”.