I Balcani occidentali sono tornati alla ribalta grazie a un rinnovato slancio del loro processo di adesione, dopo un lungo periodo d’impasse. L’Ue sembra sempre più consapevole della rilevanza geopolitica della regione, soprattutto in seguito alla crisi dei rifugiati e alla crescita d’influenza di altre potenze internazionali. L'Ue è già il più importante donatore e investitore nella regione nonchè il principale partner politico e commerciale dei Balcani occidentali.

Quindici anni fa, a Salonicco, l’Ue ha riaffermato il suo inequivocabile sostegno alla prospettiva europea dei Paesi dei Balcani occidentali, rilanciata a maggio di quest'anno a Sofia in occasione del summit fra Ue e Paesi dei Balcani. I Paesi interessati sono sei: sei sono ufficialmente “candidati” all’adesione (Serbia, Albania, Montenegro, Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia-Fyrom), altri due sono “candidati potenziali” (Bosnia-Erzegovina e Kosovo). Slovenia e Croazia hanno aderito all'Ue rispettivamente nel 2004 e 2013.

Dopo un lungo periodo di stallo iniziato con la “ doccia fredda” dispensata ai Paesi dell’area  dal neo-eletto Presidente Junker nel 2014, che annunciava che non ci sarebbe stato nessun allargamento durante il suo mandato (solo temperato qualche anno dopo dal discorso del settembre 2017), si è assistito al rilancio della processo di allargamento, sia con iniziative inter-governative come il Processo di Berlino, sia con la presentazione della strategia  per l’allargamento da parte della Commissione, pubblicata nel  febbraio di quest’anno, fino al già citato vertice UE-Balcani occidentali di Sofia e al Consiglio europeo di giugno, che hanno confermato la prospettiva di un allargamento credibile ai Balcani occidentali.

Il processo di Berlino, iniziato nel 2014 su iniziativa tedesca si è proposto come spazio intergovernativo di confronto e dialogo fra alcuni leader europei e leader dei paesi balcanici attraverso vari vertici intergovernativi: Berlino (2014), Vienna (2015), Parigi (2016), Trieste (2017) e l'ultimo a Londra (2018).  Il Processo ha permesso, seppure fuori dal quadro comunitario, di mantenere viva l'attenzione verso la regione, di avanzare il dialogo su alcune dispute bilaterali, sul buon governo, sulla crescita economica e integrazione, sulla  connettività delle reti di trasporto e dell'energia, e sulla mobilità dei giovani. 

Inoltre, nel febbraio di quest’anno, la Commissione ha pubblicato un importante documento strategico (“Una prospettiva di allargamento credibile e un maggior impegno dell'UE per i Balcani occidentali”) che rilancia le prospettive di allargamento dell'Ue per i Balcani. La strategia si articola su sei iniziative-guida che l'UE adotterà nei prossimi anni a sostegno degli sforzi di trasformazione sostenuti dai Balcani occidentali in settori di reciproco interesse. Si tratta di iniziative volte a rafforzare lo Stato di diritto, a intensificare la cooperazione in materia di sicurezza e migrazione attraverso squadre investigative comuni e la guardia di frontiera e costiera, estendere ai Balcani occidentali l'Unione dell'energia o abbassare i costi di roaming e diffondere la banda larga nella regione. Il documento rileva inoltre la necessità che l'UE sia pronta ad accogliere nuovi membri, una volta soddisfatti i criteri.

La proposta di Regolamento relativa allo strumento di assistenza di preadesione (IPA) III (2021-2017) si presenta come il meccanismo attuativo della nuova strategia sui Balcani Occidentali pubblicata nel 2017 dalla Commissione europea. Si spera che l’Unione europea ne faccia buon uso, dato che la dotazione finanziaria proposta nel quadro finanziario pluriennale 2021-2027 è di 14,5 miliardi di euro, una cifra ambiziosa che supera gli attuali 11,7 miliardi.

Allo stato, dunque, la strategia di allargamento resta fermamente ancorata al principio di condizionalità (criteri di Copenaghen) e si articola in una serie di adempimenti vincolati all’acquis comunitario. Complessivamente si può affermare che per alcuni Paesi il cammino verso l’Unione procede più speditamente: si tratta di Serbia e Montenegro; per l’Albania i negoziati non sono ancora stati aperti; per la Macedonia permane la difficoltà dei rapporti con la Grecia, oltre ad una finora debole stabilizzazione democratica; per Bosnia-Erzegovina e Kosovo la situazione interna sul versante politico e istituzionale complica ancora di più il processo di adesione.

L’avvicinamento progressivo dell’area balcanica all’Ue rappresenta uno strumento fondamentale per la stabilizzazione dell’area e lo sviluppo di pieni regimi democratici. Aprire la porta dell'UE alla regione balcanica significherebbe superare il limbo politico, diplomatico ed economico, nonchè la "fatica dell'allargamento". Inoltre permetterebbe di frenare possibili ritorni di frizioni intra-regionali e ingerenze di potenze che bussano alle porte  della regione. 

Un esempio di frizione intra-regionale è la disputa greco-macedone sul nome di FYROM (Former Yugoslav Republic of Macedonia). Al referendum consultivo del 30 settembre sulla "questione del nome", il 91% di coloro che si sono recati alle urne ha votato a favore del cambiamento del nome del paese in Macedonia del Nord. Tuttavia non è stato raggiunto il quorum del 50% più uno per la validità del referendum. Il primo ministro Zoran Zaev (centro-sinistra) ha dichiarato che la maggioranza dei cittadini, che hanno effettivamente votato, si è espressa a favore dell'accordo e quindi il governo porterà a termine l’accordo di Prespa sul nome. Dall’altro lato il partito di opposizione VMRO-DPMNE, contrario all'accordo, ha affermato che la volontà popolare dovrebbe essere rispettata e che la maggioranza ha deciso di boicottare il referendum. Entrambe le parti fanno appello alla volontà del popolo; tuttavia la risoluzione del nome rappresenta una condizione sine qua non per l’apertura dei negoziati di adesione.  

Interferenze esterne di potenze quali la Russia, si sono manifestate di recente in particolare in Bosnia Erzegovina e in Montenegro. Il 7 ottobre scorso si sono svolte le elezioni parlamentari e politiche in Bosnia Erzegovina. La vittoria è andata ai nazionalisti bosniaci (musulmani) e ai nazionalisti serbi di Milorad Dodik, nonostante la bassa affluenza alle urne e dubbi sulla legittimità delle elezioni a causa di accuse di manipolazioni dei voti. Suscitano inoltre polemiche i presunti legami della Commissione elettorale con Mosca. La recente visita preelettorale del ministro degli esteri russo Sergej Lavrov ha aperto notevoli interrogativi. Dalla visita sembrerebbe però che gli interessi della Russia siano concetrati soprattutto sul soft power culturale e mediatico, simile a quelli che Ankara esercita su Sarajevo, e non su ingerenze economiche o di destabilizzazione della regione.

Non è solo la Bosnia Erzegovina tuttavia a vedere l’ingerenza di paesi terzi. Anche il Montenegro ne è coinvolto. Frontrunner nel processo di adesione all’Unione europea - possibile già nel 2025 - e membro della NATO da giugno 2017, il paese sta compiendo progressi per raggiungere gli standard europei. Tuttavia, molte libertà fondamentali sono ancora negate, tra cui la proprietà privata. Nonostante le legge “sulla restituzione” del 2004, le nazionalizzazioni di proprietà private durante il precedente regime comunista rimangono irrisolte, come indicato nella relazione 2016 della Commissione sul Montenegro dell’UE. L’appetito del governo montenegrino verso gli investimenti stranieri nel mercato delle costruzioni, da parte di paesi quali Serbia, Russia, Cina e Emirati del Golfo, è motivo di preoccupazione.

Non appaiono dunque scontate le ultime dichiarazioni di Juncker sul futuro della regione balcanica. Nel discorso sullo Stato dell’Unione, pronunciato lo scorso settembre 2017 al Parlamento europeo, ha ribadito che l’Europa deve trovare unità quando si tratta di Balcani occidentali, altrimenti la regione verrà determinata da attori di paesi terzi. Più recentemente, nell’intervento dello scorso ottobre davanti al parlamento austriaco, il presidente ha affermato che c’è il rischio di un nuovo conflitto nei Balcani, se l’UE dovesse abbandonare le aspirazioni d’integrazione europea dei paesi della regione.

Accanto al lavoro dei servizi della Commissione, alcuni Stati membri per ragioni di prossimità geografica o di stretti rapporti economici, annettono grande importanza all’integrazione dei Balcani occidentali. E' sicuramente il caso dell'Italia che ha sempre dato il pieno sostegno, a livello politico e diplomatico, al processo di integrazione dei Balcani occidentali, non solo bilateralmente ma anche sostenendo forme di integrazione regionale come l'Iniziativa Centro Europea. Uno dei principali risultati della presidenza italiana dell'UE nel 2014 è stato il lancio della Strategia macro-regionale per la regione adriatico-ionica (Eusair). Inoltre, di recente l'Italia ha fatto valere il suo ruolo strategico con il vertice di Trieste del processo di Berlino (luglio 2017) che ha portato alla conclusione di un importante trattato sui trasporti nella regione.

  

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