Il trattato di libero scambio USMCA (acronimo per United States-Mexico-Canada Agreeement) è stato siglato il 30 settembre. Da quella data i tre paesi hanno un periodo di 60 giorni per le revisioni e la ratifica da parte dei rispettivi governi prima della firma definitiva, prevista per fine novembre, probabilmente a margine del G-20 in Argentina.
Il Nafta 2.0, costituito da 34 capitoli e 12 lettere secondarie, mira a rafforzare la piattaforma produttiva Nordamericana e a disincentivare i produttori dei relativi Paesi ad approvvigionarsi da concorrenti “a basso costo” (ossia asiatici). Dal punto di vista dell’Europa la sottoscrizione di questo trattato segna un riavvicinamento (e per alcuni tratti, riallineamento) del Canada, da poco firmatario del CETA, con gli USA.
Il Nafta 2.0 ribadisce praticamente tutto il precedente Accordo e rafforza la cooperazione nei settori economici chiave quali l’automotive, l’agroalimentare e della proprietà intellettuale.
Settore automotive: due gli aspetti rilevanti dell’accordo: (i) esonero dai dazi nello scambio tra i paesi firmatari per i veicoli costituiti per il 75% (nel NAFTA era il 62,5%) da componenti prodotte nell’area USA-Canada-Messico; (ii) nuova disposizione sul contenuto del valore della manodopera richiede che il 40-45% delle attività di un produttore di automobili - vale a dire i costi di produzione, assemblaggio, ricerca e sviluppo e tecnologia dell'informazione - siano svolte da lavoratori che guadagnino almeno 16 dollari all'ora. L’obiettivo è disincentivare l’import di componenti da paesi a basso costo (soprattutto asiatici) e per gli europei costringe ad investire in impianti produttivi in Nordamerica per non perdere quote di mercato. Visto dal lato del consumatore, l’aumento dei costi di produzione implicito in questi provvedimenti, se non compensato da un recupero di produttività, potrebbe impattare sul costo del bene finale. Il rischio è di far perdere competitività al settore rispetto ai concorrenti internazionali, a meno di ipotizzare strette protezionistiche come la già ventilata applicazione della “Section 232 of the Trade Expansion Act of 1962” sulle auto e loro parti per rendere i prodotti europei e giapponesi più costosi: su questo punto, con l’accordo, il Canada ha ottenuto una generosa esenzione da parte degli USA verso i Paesi esteri.
Settore agroalimentare: il Nafta 2.0 consente agli Stati Uniti un miglior accesso al prezioso mercato caseario canadese. Si tratta di prodotti lattiero-caseari, come latte, burro, gelato, formaggi, ma anche uova, polli e tacchini. L’accordo sancisce, tra l’altro, l’impegno da parte dei tre paesi a non adottare o eliminare quei provvedimenti di sostegno al proprio export e alla produzione interna che gli altri partecipanti ritengono distorsivi del mercato. In questa parte del documento rientra l’abolizione del programma Class7, un provvedimento messo in campo dal Canada oltre un anno fa con lo scopo di rendere più conveniente l’acquisto di latte ultra-filtrato (un ingrediente concentrato utilizzato nella produzione di formaggi, yogurt, burro) prodotto nel paese. Tale abolizione rappresenta per il Canada il venir meno di un programma a tutela della sua produzione interna e per la Presidenza americana il rispetto di uno degli impegni presi in campagna elettorale, alla vigilia delle elezioni di medio termine.
Il patto, inoltre, cerca di scoraggiare Canada e Messico dall’intensificare legami commerciali con economie non di mercato (Cina in particolare). L’USMCA, infatti, obbliga ogni firmatario a notificare il testo di un eventuale accordo con un’economia non di mercato, 60 giorni prima della firma, in modo da consentire alle altre parti possibili revisioni e valutare l’impatto sul patto nord americano. Il mancato rispetto di questa norma è motivo di rottura dell’accordo dopo 6 mesi di preavviso.
Inoltre un accordo commerciale per stare in piedi deve essere vantaggioso per tutte le parti: se Canada e Messico nei prossimi anni dovessero verificare un peggioramento nelle proprie economie potrebbero richiedere una costosa (e dolorosa) rinegoziazione dell’Accordo. A questo punto non rimane che la ratifica legislativa dei tre Paesi. Proprio negli Stati Uniti, il provvedimento dovrà passare l’esame del Congresso che con le elezioni del 6 novembre, potrebbe avere una maggioranza democratica: non è detto che convaliderà l’accordo o quantomeno nell’attuale formulazione.