Il 7 febbraio 2017 è morto Tzvetan Todorov, grande filosofo bulgaro naturalizzato francese, considerato uno dei massimi intellettuali contemporanei. Poche settimane dopo la morte di un
altro straordinario pensatore contemporaneo, Zygmunt Bauman, con cui condivideva molti campi di studio, e che ricordiamo nella pagina accanto. Di Todorv proponiamo invece alcuni estratti della Lecture Altiero Spinelli 2005, che tenne nell’Aula Magna dell’Università di Torino il 31 maggio 2005, sotto gli auspici del Centro Studi sul Federalismo.

Il futuro della democrazia in Europa

Il tema è quello della democrazia, il cui conflitto con il totalitarismo ha dominato il XX secolo in Europa e che oggi si confronta con tre grandi sfide: quella della demagogia, della globalizzazione e del terrorismo. Queste sfide possono essere vinte solo rafforzando le istanze collettive e la statualità, che oggi va posta a livello dell’Unione Europea. E a questo proposito Todorov trae spunto dal Referendum francese che respinse il Trattato per la Costituzione europea (29 maggio 2005) e dalle elezioni presidenziali in Francia (2002) per svolgere interessanti considerazioni su come demagogia dei politici e paura della globalizzazione abbiano influenzato negativamente l’opinione pubblica. Una lettura utile, anche alla luce dell’attualità politica europea. Ne proponiamo i passaggi, a nostro avviso, più interessanti (ndr).

Lo stesso referendum sulla costituzione ha messo in evidenza in modo quasi caricaturale la passione del potere per il potere, in particolare per i due personaggi politici più in vista dei due campi, quello del sì e quello del no. In realtà, la decisione di indire un referendum, presa dal capo dello Stato, non era scontata. Jacques Chirac sapeva perfettamente che, in occasione delle due consultazioni elettorali precedenti, il suo partito aveva perso, e che c’era di conseguenza il rischio di vedersi infliggere ancora una sconfitta; sapeva ugualmente che il voto parlamentare, mezzo assolutamente legittimo per l’approvazione del testo, era sicuro. Ciononostante ha preferito assumersi il rischio della sconfitta. Perché? Tutto porta a credere che abbia fatto una scelta puramente strategica: sottoporre la questione al referendum gli avrebbe permesso di dividere l’elettorato di sinistra e quindi di indebolirlo, in vista delle elezioni presidenziali successive, nel 2007. La costituzione europea, di cui il presidente Chirac è probabilmente un sostenitore sincero, è stata sacrificata sull’altare della sua ambizione personale, di fronte al desiderio di assicurarsi che il potere restasse nelle sue mani o nelle mani dei suoi seguaci.

Sulla sponda opposta, Laurent Fabius, esponente del partito socialista in disaccordo con la leadership del proprio schieramento, non ha agito diversamente. Noto fino a quel momento per il suo impegno a favore dell’Europa, egli ha sorpreso tutti lanciandosi nella campagna per il No. Apparentemente, neanch’egli riesce a staccare lo sguardo dalle presidenziali del 2007. Il suo principale obiettivo, in quest’ottica, è di imporsi come il candidato inevitabile di tutta la sinistra. Per far questo, deve raccogliere il maggior numero di consensi, e in particolar modo a sinistra del suo partito; sebbene probabilmente favorevole alla costruzione europea, ha scelto per questa ragione di sostenere il no (“di sinistra”)... Sia Chirac sia Fabius hanno agito in vista della conquista del potere, non per mettere il potere al servizio di un’idea più nobile. Hanno confermato l’ironica constatazione di David Hume, nel XVIII secolo, secondo cui qualsiasi uomo preferisce la distruzione del mondo a un graffio sul proprio dito.

I risultati del referendum francese rivelano dunque le debolezze della democrazia contemporanea….

Quest’altra minaccia è il populismo… La sua ultima manifestazione eclatante in questo paese risale alle elezioni presidenziali del 2002. Al primo turno, l’alleanza “oggettiva” (come si diceva all’epoca) dell’estrema sinistra e dell’estrema destra aveva portato alla vittoria di Le Pen sul candidato della sinistra moderata, Lionel Jospin... Nel corso della campagna elettorale abbiamo quindi assistito a degli avvenimenti strani, in cui si vedevano fianco a fianco vecchi nemici inconciliabili, la destra nazionalista e il partito comunista, i trotzkisti e il Fronte nazionale, tutti uniti nel loro rifiuto dell’Europa liberale – un rifiuto del parlamentarismo i cui lontani precedenti datano dal periodo tra le due guerre, quando l’estrema sinistra e l’estrema destra ricusavano di concerto i partiti “borghesi” del centro, sostenitori della democrazia rappresentativa...

Come si riconosce il populismo contemporaneo?  Prima di tutto per un rifiuto di aprirsi all’altro. Il populista in fondo crede che nulla di buono possa derivare dall’apertura delle frontiere... Gli altri rappresentano una minaccia – restiamo tra noi. Il populista privilegia gli interessi immediati a scapito degli obiettivi globali e lontani nel tempo. Le belle parole, gli ideali sublimi vengono lasciati agli altri... Le scelte degli altri popoli lo interessano poco. Alla stessa stregua, le soluzioni che propone non sono di lungo periodo, i vantaggi dei provvedimenti che suggerisce devono materializzarsi nei giorni a seguire. Per questa ragione, il populista preferisce la continuità al cambiamento, che rappresenta un salto nel vuoto, è conservatore piuttosto che riformatore. Dirgli che un’Europa politicamente forte potrebbe resistere meglio alle tentazioni egemoniche degli Stati Uniti non lo smuove, non più di quanto non lo rassicuri il consolidamento dello spazio economico europeo in quanto regolatore della globalizzazione. Questi termini rimangono troppo astratti, egli si interessa del “qui e adesso”.

Il populismo è caratterizzato anche da una tendenza a eliminare le sfumature e a rifiutare il pluralismo; riduce qualsiasi situazione ad una semplice scelta: sì-no, bene-male, amico-nemico; da qui le sue affinità elettive con la procedura del referendum.

Dove bisogna, allora, cercare un rimedio migliore? Il dibattito su questa questione è appena all’inizio, e io non pretendo certo di avere tutte le risposte.

(…) Nel corso della loro lunga storia, i popoli europei hanno enunciato un certo numero di valori; è importante ricordarli. Per difenderli nel mondo attuale … non c’è una cornice migliore di quella dell’Unione europea, forte dei suoi 450 milioni di abitanti. Tra i valori che l’Unione europea potrebbe incarnare e permettere così ai suoi cittadini di riconoscervisi, vorrei ricordarne due...

Siamo obbligati a vivere gli uni a fianco degli altri. Questa promiscuità, questa pluralità di lingue, di religioni, ma anche di formazioni politiche, ha alimentato innumerevoli conflitti e ha provocato milioni di vittime; tuttavia, oggi gli europei possono raccoglierne gli effetti positivi che sono il riconoscimento della diversità umana, la tolleranza nei confronti dei costumi e delle opinioni altrui, il rifiuto di definire qualsiasi differenza in termini di “amico” e “nemico”, di bene e di male.(...) L’Unione europea costituisce un tentativo di riconciliare unità e diversità che non ha nessun precedente nella storia; non bisogna stupirsi se non progredisce più rapidamente. Essa non rappresenta né un impero, unificato dalla volontà del più forte, né uno Stato federale centralizzato, essa rimane un’unione federale che accetta la pluralità dei suoi centri, spingendo costantemente a creare dei rapporti di complementarità piuttosto che gerarchici.

Quanto alla storia, prendiamo in considerazione la possibilità di adottare una politica secolare o, per usare un sinonimo, laica... Questo principio, che circoscrive l’ambito della religione, ma anche di ogni morale e di ogni ideologia, è esso stesso l’eredità paradossale di una tradizione religiosa, il cristianesimo, che ingiunge di dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. L’adozione di tale principio è responsabile non soltanto della separazione tra fede e ragione, o tra la Chiesa e lo Stato. Esso ci mette anche in guardia contro i sostituti moderni delle credenze antiche, quelle religioni politiche che hanno svolto un ruolo così decisivo nella storia degli ultimi due secoli in Europa.

Il ruolo del potere politico, come ci insegna la storia europea, sarebbe non di cercare di creare il paradiso in terra ma di accontentarsi di impedire l’avvento dell’inferno. La tradizione culturale che ci spinge in questa direzione merita di essere protetta e venerata.

  

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