L’Europa vive momenti particolarmente difficili su tutti i fronti della politica e dell’economia. E’ ormai in dubbio la sopravvivenza di istituzioni e strumenti comuni costruiti in sessant’anni di vita europea.
Ma, a fronte di questo pericolo, accresciuto dall’ascesa dei movimenti di opinione favorevoli ad un ritorno a chiusure nazionali e allo smantellamento dell’Europa, sta maturando anche una maggiore consapevolezza della necessità di rilanciare la costruzione europea sul terreno politico, sia da parte di alcuni governi e forze politiche nazionali, sia nel Parlamento europeo e nella Commissione europea, oltre che nella BCE. Una consapevolezza che dovrebbe però riuscire rapidamente a tradursi in iniziative ed atti politici per dotare l’Europa delle istituzioni sovranazionali necessarie per essere più efficace, democratica e capace d’agire. Invece mancano tuttora la volontà ed il coraggio di assumersi questa responsabilità da parte dei capi di Stato e di governo. Per questo è vitale, oggi ancor più che in passato, il ruolo che possono giocare i federalisti europei a tutti i livelli, come pure coloro che si dichiarano europeisti, per promuovere un cambiamento dei trattati in senso federale in tempi certi, con una prospettiva politica chiara e coinvolgendo i cittadini nelle scelte. Nei prossimi mesi questo ruolo d’iniziativa potrà e dovrà essere esercitato su due importanti fronti.
Il primo di questi fronti è quello politico-culturale, che ha avuto nuovi sviluppi dopo il rilancio, su scala mediatica ed internazionale, per quanto simbolico finora, degli obiettivi indicati dal Manifesto di Ventotene. A questo hanno senza dubbio contribuito le iniziative promosse dall’Italia, con il vertice Merkel-Hollande-Renzi a Ventotene e l’iniziativa, ancora in fase di sviluppo, della Presidente Boldrini nei confronti dei Presidenti delle Camere degli altri paesi dell’UE. Certo, come alcuni paventano, ci potrà essere il rischio che tali iniziative non siano all'altezza, o addirittura si tenti di strumentalizzare il progetto nato a Ventotene. Ma il simbolo che l’isola ormai rappresenta storicamente, culturalmente e politicamente, difficilmente potrà essere banalizzato. E il messaggio che evoca - la possibilità e la necessità storica di costruire la federazione europea - era e resta troppo chiaro per essere sminuito. Chi va o si richiama alla “Mecca" di Ventotene, volente o nolente, paga un tributo al federalismo europeo. Il risultato immediato è innanzitutto che l’obiettivo della federazione, viene riportato nel dibattito politico europeo. Per questo, chi, come il MFE e le organizzazioni europeiste, opera da sempre per il superamento della sovranità nazionale attraverso la realizzazione di un’unione federale, ha in questa fase il dovere di battersi affinché questo tema resti al centro della lotta politica, e diventi l’obiettivo prioritario rispetto agli altri temi politici e sociali: solo così si potrà contribuire a sconfiggere le spinte distruttive euroscettiche e populiste. Altrimenti, se ci si limiterà a rivendicare la costruzione di ulteriori strumenti e mezzi tecnici europei, ulteriori soluzioni amministrative e politiche comuni, si ricadrà nelle contraddizioni che hanno alimentato la disaffezione dell’opinione pubblica, anche di quella più favorevole all’unità europea. Come aveva ben compreso a suo tempo anche Alcide De Gasperi, nei momenti cruciali della vita politica europea occorre andare al di là delle pur necessarie soluzioni temporanee. "La costruzione degli strumenti e dei mezzi tecnici [europei, ndr], le soluzioni amministrative”, spiegava De Gasperi nel 1951, “sono senza dubbio necessarie: e noi dobbiamo essere grati a coloro che se ne assumono il compito. Queste costruzioni formano la armatura: rappresentano ciò che le scheletro rappresenta per il corpo umano. Ma non corriamo il rischio che si decompongano se un soffio vitale non vi penetri per vivificarle oggi stesso? Se noi costruiremo soltanto amministrazioni comuni, senza una volontà politica superiore vivificata da un organismo centrale, nel quale le volontà nazionali si incontrino, si precisino e si animino in una sintesi superiore — non rischieremo che questa attività europea appaia, al confronto della vitalità nazionale particolare, senza calore, senza vita ideale? Tutto ciò potrebbe anche apparire ad un certo momento una sovrastruttura superflua e forse anche oppressiva quale appare in certi periodi del suo declino il Sacro Romano Impero. In questo caso le nuove generazioni, prese dalla spinta più ardente del loro sangue e della loro terra, guarderebbero alla costruzione europea come ad uno strumento di imbarazzo ed oppressione. In questo caso il pericolo di involuzione è evidente. Ecco perché, pure avendo una coscienza chiara della necessità di creare la costruzione, noi giudichiamo che in nessun momento bisognerà agire e costruire in maniera che il fine politico da raggiungere non risulti chiaro, determinato e garantito” (La politica europea: discorso di Alcide De Gasperi all’Assemblea del Consiglio d’Europa - Strasburgo, 10 dicembre 1951). Queste parole suonano particolarmente attuali oggi. Per troppo tempo ci si è illusi – o si è deliberatamente scelto - di poter trattare il problema della costruzione europea sul piano dell’amministrazione dell’esistente e non su quello della creazione di un nuovo sistema di potere. I pericoli di involuzione paventati da De Gasperi, non a caso ben presenti nel Manifesto di Ventotene con il richiamo al rischio del ritorno delle aporie del passato, è ormai concreto: per questo tenere la barra della costruzione europea ben ferma sul fine politico diventa il fattore decisivo per non naufragare. E bisogna tenerla ferma proprio utilizzando le analisi di Mario Albertini e Francesco Rossolillo per inquadrare e orientare il dibattito sui temi della crisi dello Stato nazionale, della formazione di una nuova sovranità e del popolo europeo, nonché sul senso dell’azione politica in momenti rivoluzionari come quello che stiamo vivendo.
Il secondo fronte è rappresentato dalla necessità di una mobilitazione dei cittadini per l’Europa. Negli ultimi anni, a seguito delle diverse crisi, è stato facile da parte di alcune formazioni politiche e leader cavalcare l’antieuropeismo per guadagnare voti e consensi a livello nazionale. Ma l’antieuropeismo non ha alcun piano credibile per fronteggiare le sfide della globalizzazione, dei flussi migratori, della sicurezza interna ed esterna all’Europa e le molteplici crisi confermano quotidianamente che gli Stati nazionali non sono più i punti di riferimento delle politiche e dei valori su cui si è fondata la convivenza civile ed il progresso. Se non si farà l’Europa, non rinasceranno le nazioni europee, ma gli stessi Stati nazionali saranno condannati alla dissoluzione e alla perdita d’identità nell’anarchia. D’altra parte, l’Europa si potrà fare soltanto nella misura in cui verrà superata la sovranità nazionale in campi cruciali come quello della fiscalità, della politica economica, della sicurezza interna ed esterna.
Questo è dunque il momento, per chi vuole davvero l’Europa, di far sentire la propria voce, e di mostrare che è ancora maggioranza in questo continente. È il momento di un salutare shock popolare pro-europeo, di una mobilitazione di tutte le forze ed istituzioni a cui sta a cuore il destino del nostro continente. L’occasione è rappresentata dal 60° anniversario del Trattato di Roma, il 25 marzo 2017, a Roma, ormai indicato da molti attori politici come una scadenza spartiacque nella politica europea (si veda in proposito la lettera inviata alle sezioni ed ai militanti, riproposta a pag. 4).
E’ con la consapevolezza di poter e dover giocare un ruolo politico importante nei prossimi mesi per fare davvero l’Europa, e di poterlo e doverlo giocare su un punto decisivo - quello del superamento della forma e dimensione nazionale dello Stato - che il MFE affronta questa nuova fase della Campagna per la Federazione europea, a partire dall’attività da svolgere a livello locale, attraverso i Comitati e le iniziative per l’Europa.
Sul terreno della propaganda, si tratta di tradurre in termini europei (e di sfidare anche i leader e le forze politiche e sociali a farlo) slogan e programmi che non hanno alcuna possibilità di riuscita se restano nei limiti nazionali. Il “Wir schaffen, das”, pronunciato dalla Cancelliera Merkel acquista un senso innovatore solo se riferito ad un progetto politico europeo. Il motto di Macron “En marche” o si riferisce all’Europa oppure è un déjà vu nazionale. “Yes, we can”, va declinato in funzione europea. Senza dimenticare che, proprio perché l’Europa non cade dal cielo, dipende anche da tutti noi contribuire a fare l’Europa.