Jean-Claude Juncker ha nominato il britannico Julian King quale Commissario per l’Unione della Sicurezza. Diversi commentatori hanno reagito con un tono di sorpresa alla novità agostana e ne hanno sottolineato soprattutto la rinnovata centralità attribuita al Regno Unito dopo il referendum del 23 giugno. Ma c’è un altro aspetto di questa nomina da considerare più approfonditamente: il ruolo politico tenuto da questa Commissione.

L’Unione della Sicurezza

La nomina di un Commissario ad hoc per la Sicurezza e la funzione assegnata è una novità assoluta e inattesa, considerato che la competenza sulla sicurezza è ancora saldamente nelle mani dei governi nazionali. Juncker vuole, dunque, una Commissione più presente e propositiva su questo tema, non supina di fronte alle vuote dichiarazioni d’intenti di coordinamento fra governi europei. Il politico lussemburghese, d’altronde, l’aveva affermato già nelle ore successive agli attacchi terroristici di Bruxelles nel marzo scorso, che “abbiamo bisogno di un’unione della sicurezza”. Ecco, quindi, che un passo è stato compiuto, con la creazione di un portafoglio dell’unione della sicurezza. Permangono, tuttavia, i limiti nelle competenze, visto che gli Stati nazionali hanno, su difesa, lotta al terrorismo e intelligence, le stesse prerogative monopolistiche di prima.
C’è però un elemento che ci può portare a pensare che è possibile che si verifiche un salto di qualità per la Commissione, rispetto al mero coordinamento. Juncker chiarisce nella lettera di nomina che obiettivo del portafoglio sarà quello di concentrarsi “su concrete misure operative nelle quali l’azione dell’Ue può avere un impatto”. Non solo: Julian King avrà anche a disposizione una task force con funzionari della Commissione provenienti da diverse aree, e quindi una propria struttura operativa, al di fuori di quelle nazionali. Grazie a questi strumenti, gli obiettivi principali saranno:

  • migliorare la condivisione di informazioni, per prevenire atti terroristici e affrontare insieme il problema dei foreign fighters;
  • rafforzare la risposta della sicurezza alla radicalizzazione islamica;
  • lottare contro i crimini informatici.

Sarà certamente un compito pieno di insidie e di possibili punti di confronto con le struttue nazionali. Juncker, a ogni modo, sembra determinato a fare il possibile affinché la Commissione sia più presente in questa sfida e la volontà è quella di dotare di strumenti europei la strada da percorrere per l’Unione della sicurezza: un rafforzamento dello Schengen Information System e lo sviluppo del Centro europeo anti-terrorismo di Europol (il cui coordinatore risponde tuttavia al Consiglio europeo).
Altro aspetto significativo della lettera di incarico al commissario britannico è il legame particolare sottolineato fra la Commissione e il Parlamento europeo, visto come interlocutore politico  e “ fonte della sua legittimazione democratica”. Ma non sarà Julian King a presentare il suo lavoro al Parlamento e nel Consiglio: egli sarà in questo compito sostituito dal Commissario agli Affari interni e migrazione Avramopoulos (unica limitazione a King post-Brexit). Infine, nel suo ruolo, egli farà riferimento a Frans Timmermans, primo Vice-presidente della Commissione.

Due anni da protagonista, grazie alla novità degli Spitzenkandidaten

Pur con i limiti di competenze e istituzionali che permangono, questa Commissione, anche nella sicurezza, come nelle altre “molteplici crisi” che le si presentano di mese in mese, vuole giocare un ruolo da protagonista. In questo, non si può ignorare la distanza rispetto alle Commissioni targate Barroso, decisamente più silenti e supine nella dialettica europea.

Fin dal luglio 2014, prima dell’insediamento, la differenza fu cristallina. Allora venne lanciata l’idea del piano Juncker, con l’obiettivo di un’Unione europea che facesse fronte alla carenza di investimenti, ma anche numerosi episodi successivi ne hanno confermato il tono politico.  Ricordiamo in particolar modo uno dei primi scontri verbali con Matteo Renzi, quando Juncker dichiarò: “Non sono il capo di una banda di burocrati: sono il Presidente della Commissione europea, istituzione che merita rispetto, non meno legittimata dei governi”. Nell’estate del 2015, poi, nel pieno della crisi migratoria, diventò subito oggetto di numerose resistenze la proposta della Commissione di ripartire gli sforzi di accoglienza in maniera solidale e obbligatoria fra i ventotto Paesi membri. Un’idea che reca in sé l’impronta di uno Stato federale (uno schema simile è adottato nella Germania federale) e che infine venne approvata, a maggioranza, dal Consiglio anche se mai implementata davvero, per il noto rifiuto opposto da diversi Stati (è questo un caso lampante che mostra la necessità che la Commissione venga dotata degli strumenti coercitivi verso gli Stati per rendere esecutive le proprie decisioni: è ciò che le manca per essere un vero governo). E non dimentichiamo nemmeno l’interpretazione discrezionale del Patto di stabilità e crescita, che irrita non poco il governo tedesco, geloso della sua leadership nel Consiglio europeo.

Questo ruolo politico da protagonista non nasce dal nulla. Anzi, Juncker non ha mai mancato di sottolineare, quando è stato necessario, la ragione che gli ha permesso di agire in un certo modo. È stata la campagna degli Spitzenkandidaten delle scorse elezioni europee. Per la prima volta, nel 2014 le famiglie politiche europee indicarono dei candidati alla presidenza della Commissione e il Consiglio europeo non poté fare a meno, a seguito delle elezioni, di nominare il candidato del partito ‘europeo’ più votato (il PPE), cioè Jean-Claude Juncker.

Dunque, si rende quanto mai opportuno per i federalisti difendere il ruolo politico della Commissione, in merito all’Unione della sicurezza (e non solo), come pure la sua principale fonte di legittimazione, cioè il meccanismo degli Spitzenkandidaten. La JEF e la GFE stanno sostenendo petizioni online, su change.org, in tal senso. Politicizzare la Commissione, renderla vero governo democratico europeo, è una battaglia fondamentale degli anni a venire. D’altronde, l’aveva detto Juncker, all’inizio del suo mandato, che questa è l’ultima spiaggia per l’Europa.

  

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