Sono molteplici le iniziative per gli 80 anni del Manifesto che il MFE ha programmato, non solo per mantenere vivo il ricordo, ma soprattutto per comunicare l’attualità del messaggio politico del Manifesto che assume maggior importanza, all’indomani dell’annuncio dell’avvio della Conferenza sul futuro dell’Europa, al quale l’MFE darà il suo contributo in ogni sede.
In queste poche righe vorrei raccontare l’importanza che ha significato per i federalisti europei la redazione di questo documento, la pietra angolare su cui poggia la visione di Europa nata dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Il documento Per un’Europa libera e unita: progetto di un Manifesto, fu redatto nel 1941 sull’Isola di Ventotene dai confinati Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi.
Alla sua impostazione hanno partecipato Eugenio Colorni, Ursula Hirschmann (moglie di Colorni) e Ada Rossi (moglie di Ernesto) che hanno curato i contatti con l’esterno Luigi Einaudi incluso e che hanno portato materialmente a pezzi il testo all’esterno dell’isola.
Fu pubblicato clandestinamente, con il titolo Problemi della Federazione europea, il 22 gennaio 1944 a Roma a cura di Eugenio Colorni, che scrisse anche la prefazione, pochi mesi prima della sua uccisione avvenuta il 30 maggio 1944 per mano della banda Koch.
Nel Manifesto gli autori si proponevano di cercare europei che condividessero il loro disegno di Europa libera e unita: tale appello fu raccolto il 27-28 agosto 1943 a Milano nella casa di Mario Alberto Rollier con la fondazione del Movimento Federalista Europeo.
Terminata la guerra mondiale, prende avvio l’integrazione europea con il primo e decisivo passo della dichiarazione Schuman nel 1950 e la costituzione della CECA. Per un brevissimo attimo si intravede con la CED la possibilità di realizzare la visione di un’Europa libera e unita descritta nel Manifesto. Questo impegno è stato ereditato dall’UEF su spinta del MFE.
Purtroppo con il fallimento della CED, si ebbe anche la caduta di ogni speranza di realizzazione in tempi brevi della Federazione europea. Negli anni a seguire il giudizio di Spinelli si fece pesantemente critico sulle Comunità europee ed in particolare sulla CEE. E mentre l’idea di unità politica del Continente si allontanava per lasciar spazio alla graduale integrazione economica del Mercato, solo il MFE in Italia (e poi l’UEF in Europa) si impegnava a tener vivo il disegno politico del Manifesto.
«Leggilo!» mi disse Altiero Spinelli consegnandomi, nel 1961, una copia del Manifesto, con una copertina arancione.
Fu durante una delle nostre passeggiate didascaliche sotto i portici di Bologna che gli chiesi come lui e gli altri autori avessero potuto scrivere un testo nel corso del 1941 in piena guerra mondiale con ancora le potenze dell’Asse al culmine del loro potereche dava per scontata la sconfitta del nazifascismo e su questa certezza definire l’obiettivo e linee d’azione per realizzare un’Europa libera e unita, un continente finalmente pacificato grazie al modello federale. Mi rispose che i profeti non indicavano il futuro perché se lo sognavano di notte, ma perché osservavano attentamente la realtà e giudicandola in base ai loro principi ne intuivano gli sviluppi e cosa si sarebbe poi dovuto fare per superare le conseguenze avverse. Non fece nessun riferimento esplicito al Manifesto e ai suoi autori, ma evidentemente lo giudicava un testo profetico che solo con il tempo e un’azione costante avrebbe visto la sua realizzazione. Altiero Spinelli ha lottato per tutta la vita nelle istituzioni europee per dare piena dimensione politica all’Europa, nella Commissione prima e nel Parlamento europeo poi.
Ma è ancora attuale il Manifesto di Ventotene, nonostante l’euroscetticismo e il primo caso di “Exit” dall’Unione Europea?
L’elezione diretta del Parlamento europeo (PE), che tanto aveva fatto sperare in termini di conquiste successive, ha creato un organo di rappresentanza democratica del popolo europeo ma ha lasciato il centro delle decisioni politiche europee al Consiglio e quindi ai governi. I “partiti europei” sono una somma di partiti nazionali che per realizzare i loro obiettivi (nazionali) guardano ai propri governi piuttosto che ai gruppi europei a cui partecipano.
Solo i grandi paesi come Francia e Germania sono sembrati accorgersi che senza adeguate politiche europee gli stessi obiettivi nazionali erano sacrificati e pertanto discutevano tra loro cosa proporre agli altri per avere risultati su entrambi i fronti.
L’assenza di potere decisionale del Parlamento, unita al fatto che i maggiori Paesi europei di fatto assumono il maggior numero di decisioni, ha provocato la crescita dei cosiddetti partiti euroscettici che rivendicano meno Europa e agiscono usando il potere di veto sulle decisioni non gradite per estorcere riconoscimenti o persino favori per rimuoverli.
Grazie all’opera di Mario Draghi come presidente della BCE, la minaccia all’Euro è stata sventata. Macron e Merkel hanno rafforzato la collaborazione nel definire linee di sviluppo dell’Unione, hanno individuato una presidente della Commissione pronta ad ampliare le competenze europee. Le elezioni del 2019 hanno segnato una prima battuta di arresto delle forze euroscettiche, ma la svolta si è manifestata più chiaramente con la pandemia da Coronavirus e la conseguente crisi economica che via via ha toccato tutti gli Stati membri e ha indotto la Commissione a proporre la realizzazione della NGEU con un notevole impegno finanziario sostenuto dall’emissione di titoli europei. I finanziamenti vanno agli Stati, ma per realizzare obiettivi europei, approvati dagli organi comunitari in primis dal PE, e poi ratificati da quelli nazionali (la cui realizzazione è controllata dalla Commissione).
Tuttavia le risorse e i poteri della Commissione sono rimasti invariati e i limiti di ciò si è visto in questo periodo di emergenza che richiede. È sotto gli occhi di tutti infatti la difficoltà della Commissione di realizzare e produrre un vaccino a livello europeo con la mera politica di “acquisto comune” nei confronti dei produttori: occorrono capacità decisionali (e non mero coordinamento) e apparati per far fronte ad una complessa politica di ricerca, produzione e distribuzione.
In particolare nel nostro Paese, dove la pandemia ha avuto gravi effetti sul tessuto socio-economico, è quello che ha compiuto il maggior capovolgimento di politica. Grazie alla consistenza dei fondi assegnati, l’attenzione delle forze politiche italiane per i progetti europei è fortemente aumentata e anche le forze euroscettiche stanno abbandonando progetti di Italexit o di uscita dell’euro, anche se non tutte le forze politiche comprendono che la risoluzione delle difficoltà attuali comporta un’evoluzione istituzionale federale.
Inoltre il governo Draghi assicura, grazie alle sue competenze, capacità decisionali e autorevolezza, un ruolo da protagonista nella politica europea per l’Italia.
L’annunciato avvio della Conferenza sul futuro dell’Europa potrebbe essere il luogo dove far rifiorire proprio lo spirito del Manifesto di Ventotene, creando un fronte politico comune tra partiti nazionali, europei e società civile, che credono in un’Europa sovrana e democratica, per realizzare quelle riforme necessarie a far compiere quel salto di qualità all’Europa, come rendere permanente lo strumento del Next Generation EU e la creazione di un bilancio federale.