Crawford Brough Macpherson, autore del libro La vita e i tempi della democrazia liberaleUomini nuovi, forze nuove si sono presentate sulla scena politica. Si sarebbe potuto sperare che le recenti disgrazie avessero loro fatto comprendere l’assurdità di restaurare semplicemente le antiche sovranità nazionali». Così scriveva Altiero Spinelli nel 1947 osservando quanto stava accadendo in Europa occidentale in quegli anni. In Italia il sistema dei partiti che il fondatore del MFE vedeva nascere sarebbe durato quasi mezzo secolo. Alla cronica instabilità dei governi fece infatti da contrappeso la straordinaria stabilità del sistema politico, con il primo partito sempre al governo, il secondo sempre all'opposizione e gli altri costretti ad accettare un bipolarismo bloccato dagli equilibri della guerra fredda. L'unica vera e grande evoluzione, a cui lo stesso Spinelli ed i federalisti contribuirono non poco, fu la graduale conversione europeista compiuta da tutte le forze politiche dell'arco costituzionale. Si trattò di un percorso né breve né facile per due principali motivi. Innanzitutto i partiti di allora erano organizzazioni pesanti, ben radicate sul territorio e con una forte carica ideologica, rafforzata dalla contrapposizione frontale USA – URSS, dunque non facilmente permeabili. In secondo luogo, l'Europa, pur con i primi successi delle Comunità, restava in larga parte più un obiettivo di lungo termine che una realizzazione concreta con cui misurarsi.

La caduta del Muro di Berlino e la fine dell'URSS provocarono la scomparsa o comunque un profondo cambiamento dei partiti italiani. Nel frattempo, però, il completamento del Mercato unico e la prospettiva dell'Unione monetaria finirono per orientare verso l'Europa le nuove forze politiche nate da quel rimescolamento. Ne sono prova l'adozione quasi unanime della moneta unica da parte del Parlamento e l'elezione con un ampio consenso a presidente della Repubblica di chi più di tutti si era battuto per raggiungere quell'obiettivo: Carlo Azeglio Ciampi. Vero è che non mancarono, soprattutto nel Centrodestra, forze politiche diffidenti o talvolta ostili verso una maggiore integrazione, ma il loro peso non fu mai determinante.

La vera rottura in termini di consenso verso l'Europa, in Italia come in altri Paesi, si generò a partire dalla crisi economico – finanziaria del 2008-09, quando divenne a tutti evidente l'insostenibilità a lungo termine di un'unione monetaria senza unione fiscale ed economica. Le decisioni prese dai governi nazionali sotto la spinta degli eventi e gli argini posti dalla BCE impedirono la fine dell'euro, ma non furono certo in grado di avviare una pronta ripresa economica, soprattutto nei Paesi periferici. Lo scontento e la frustrazione misero così il vento nelle ali di vari movimenti populisti e nazionalisti. Anche la globalizzazione, con i suoi dirompenti effetti economici e sociali, va certo annoverata tra le cause di quell'affermazione, che ha coinvolto non a caso entrambe le sponde dell'Atlantico. Si andò così facendo strada quella nefasta concezione per cui «lo scopo della democrazia è registrare i desideri del popolo quali sono e non quello di contribuire a rendere le persone ciò che potrebbero essere o potrebbero desiderare di essere». Per perseguire questo compito un'autentica democrazia liberale ha bisogno di vita e di tempi adeguati, come recita già il titolo del libro di Crawford B. Macpherson da cui è tratta la citazione. Al contrario, la volontà di rappresentare in tempo reale e senza alcuna mediazione i desideri o – per meglio dire – le pulsioni di un tanto osannato quanto indifferenziato popolo conduce inevitabilmente alla rapida ascesa e all'altrettanto rapido crollo dei partiti che su quelle pulsioni cangianti fondano le loro fortune.

Settant'anni dopo quelle osservazioni di Spinelli, furono proprio due partiti di quel tipo a vincere le elezioni e ad allearsi per governare l'Italia, trovando nel sovranismo e nell'antieuropeismo l'unico collante politico. Anche al nostro interno vi fu allora chi propose un'azione politica per promuovere una diversa alleanza ed evitare al Paese un isolamento ed una deriva che facevano temere il peggio. Intenti del tutto condivisibili, ma dimentichi di un proverbio tanto caro a Federico Caffè: «A lavar la testa all’asino, si perde la corda e il sapone». Non v'è in queste parole alcun disprezzo per le difficoltà e per i tormenti del partito che ebbe allora la maggioranza relativa e che, inebriato dal successo, si illuse di poter compiere una rivoluzione che aveva i caratteri dell'involuzione, se non della reazione. Al contrario, v'è il dovuto rispetto per un percorso che solo il duro scontro con la realtà può far intraprendere. È con questo spirito che Joschka Fischer giudicò i leader del suo partito dopo la sconfitta del 2013: «Sono invecchiati, ma non sono mai diventati adulti.» Giudizio sferzante, se altri mai, ma quella sferza aiutò i Verdi tedeschi a trasformarsi in forza responsabile, ad assumere ruoli di governo in importanti Länder ed a prepararsi ad esercitare il potere anche a livello nazionale. Per i pentastellati fu il confronto – scontro con l'Europa a favorire quella maturazione ed a spingerli, dopo il dimezzamento dei voti alle elezioni europee del 2019, ad entrare nella nuova maggioranza europeista in seno al Parlamento europeo. La sorte del Conte 1 era così segnata ed il nuovo governo, pur presieduto dalla stessa persona, poteva presentarsi con le carte in regola per giocare un ruolo importante nella partita della scorsa primavera sul piano di rilancio europeo.

Se c'è stato un tempo in cui i federalisti dovevano convincere i partiti della bontà di una scelta europea che era ancora in larga parte una scommessa sul futuro, ora è l'Europa che deve convincere i partiti. Quanto è avvenuto in quest'ultimo anno dimostra che il compito è alla sua portata. La Lega è un partito con una decisa connotazione nazionalista, con un forte radicamento territoriale, soprattutto al Nord, con un'organizzazione verticistica che le ha fatto superare quasi indenne vari scandali e crisi. Ebbene, è un partito di tal fatta che alla fine ha chinato la testa di fronte ad una Unione decisa ad agire e capace di attirare nella sua orbita anche forze coriacee e recalcitranti. L'accusa rivolta da Giorgia Meloni a Draghi di guidare un governo “federalista europeo”, non semplicemente europeista, è la certificazione della svolta compiuta in un breve arco di tempo dal M5S e poi dalla Lega.

È quindi al teatro europeo che i federalisti devono dedicare tutto il loro impegno, per creare «un’Unione europea sempre più integrata che approderà a un bilancio pubblico comune capace di sostenere i Paesi nei periodi di recessione», come ha affermato il Presidente del Consiglio nel suo discorso in Senato. In tal caso l'intendenza dei partiti nazionali seguirà. Se l'UE tornerà invece sui suoi passi e abbandonerà quella prospettiva, si può star certi che il ritorno al nazionalismo di quelle forze sarà ancor più veloce della loro conversione europeista. I prossimi mesi – con le campagne di vaccinazione, le ratifiche nazionali delle decisioni europee, i piani di ripresa dei vari Paesi, l'uscita di scena della Cancelliera Merkel – avranno bisogno di guide esperte. Mario Draghi negli otto anni alla guida della BCE ha dimostrato coi fatti l'asserto di Frank Capra: «I dilettanti giocano per piacere quando fa bel tempo; i professionisti giocano per vincere mentre infuria la tempesta». Con un giocatore di quel tipo i federalisti avranno un prezioso alleato nelle battaglie per il rafforzamento delle istituzioni e delle politiche europee che la Conferenza sul futuro dell'Europa deve proporsi come obiettivo.

Qualche parola infine per gli incontentabili, che nel nostro Paese formano una schiera molto numerosa e che ogni tanto fanno capolino anche tra i federalisti. Sulla composizione del nuovo gabinetto si sono così levati i soliti alti lai, si sono registrate le immancabili delusioni, si è gridato ai quattro venti che questo non è certo il governo dei migliori. A parte l'ovvia considerazione che la minestra si fa con quel che offre la dispensa di questo Parlamento e di questi partiti, il solo ricordo di come era iniziata questa legislatura dovrebbe indurci ad esprimere un giudizio ben più positivo sugli ultimi sviluppi politici. Diciamolo con le sagge parole del Segretario fiorentino: «E però in ogni nostra deliberazione si debbe considerare dove sono meno inconvenienti e pigliare quello per miglior partito, perché tutto netto tutto sanza sospetto non si truova mai.»

 

  

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