La firma del Trattato di Parigi istitutivo della CECA

A settant’anni dalla firma dei trattati di Parigi che istituirono la C.E.C.A. (18 aprile 1951) sarà bene fare alcune considerazioni d’ordine politico assieme ad altre sulle caratteristiche dell’europeismo di Robert Schuman che ne fu l’artefice politico, su suggerimento del suo consigliere ed amico Jean Monnet, che ne fu l’ispiratore.

Se due anni prima (il 5 maggio 1949,) con la nascita del Consiglio d’Europa, si era creata un’asse franco-britannica, con la celebre dichiarazione del 9 maggio dell’anno seguente, Robert Schuman considerava l’alleanza franco-tedesca il fulcro attorno a cui costruire la prima comunità: la C.E.C.A. Per Schuman, l’assemblea consultativa del Consiglio d’Europa era debole rispetto ai poteri del Comitato dei ministri. La RFA (Repubblica Federale Tedesca) era stata esclusa in un primo tempo dall’organismo inter-governativo, soprattutto a causa dell’ostilità dei laburisti britannici. Di tale esperienza, Schuman era deluso fino a dover dire che il Consiglio d’Europa non è “né una centrale di energie, né un motore per le realizzazioni europee. L’abbiamo constatato: non lo rimproveriamo, né lo condanniamo.”

D’altro canto, i rapporti tra Parigi e Bonn erano piuttosto problematici soprattutto a causa dello statuto della Sarre, un territorio del bacino minerario tedesco posto sotto protettorato francese al termine della seconda guerra mondiale. Schuman, la cui famiglia era originaria della Lorena, regione confinante con la Sarre, desiderava riconciliare gli “eterni nemici”, che si erano combattuti nella guerra franco-prussiana e in due guerre mondiali per il possesso della Lorena, il cui sottosuolo era ricco di carbone e di ferro, materie prime per l’industria bellica. Annettere la RFA in una Comunità Europea, con gli stessi diritti degli altri stati membri, avrebbe creato una buona cooperazione tra tutti gli stati membri e posto fine alle discriminazioni con la Germania e ai controlli sulla sua industria siderurgica, assicurando tuttavia la sicurezza della Francia. Gestire in comune la produzione franco-tedesca del carbone e dell’acciaio avrebbe reso non solamente impensabile ma materialmente impossibile una quarta guerra. Creando un mercato per le industrie di base, essenziali per gli anni del dopo guerra, avrebbe potuto in più stimolare l’economia dei paesi aderenti alla C.E.C.A., evitando così i rischi di una cartellizzazione.

Le negoziazioni per giungere alla firma del Trattato incominciarono a Parigi il 20 giugno 1950. Sappiamo come andarono le cose: Adenauer, cosciente che la C.E.C.A. avrebbe permesso al suo Paese di rientrare nella cerchia dei paesi democratici, rispose convintamente alla proposta di Schuman, così pure l’Italia di de Gasperi e i tre paesi del Benelux. Al contrario, il Regno Unito, paese con una grande industria siderurgica, non accettò di far parte di una Comunità sovra-nazionale governata da un’Alta Autorità indipendente. Circa la posizione italiana è corretto sottolineare che più di De Gasperi fu il ministro degli esteri Sforza ad aderire immediatamente al Piano Schuman. De Gasperi non ne era del tutto convinto perché credeva che l’unità europea sarebbe divenuta effettiva soltanto con la moneta unica o con l’esercito unitario. Si convinse della bontà del Piano su insistenza di Fanfani, Campilli e Ferrari Aggradi e del “tecnico” Glisenti. Gli olandesi, dapprima dubitosi ed impacciati, divennero fervidi sostenitori del Piano. Difficoltà si riscontravano nell’Assemblea Nazionale francese dove la folta presenza comunista dichiarava che non avrebbe votato a favore del Piano al momento della ratifica parlamentare, mentre i sindacati dei lavoratori erano decisamente schierati a favore del progetto Schuman. In Lussemburgo il governo dovette affrontare le posizioni intransigenti degli industriali siderurgici, il Belgio aderì con profonda convinzione al Piano Schuman. A tirare le fila tra divergenze e convergenze era Jean Monnet.

Annota Taviani, capo della delegazione che seguiva le trattative: ” Jean Monnet pilota la barca delle trattative con abilità latina, pazienza cinese e nordica energia.” 

Sul piano internazionale, l’Europa della C.E.C.A., inserendosi fra i due blocchi dominati dall’URSS, a est, e dagli Usa, a ovest, sarebbe divenuto un elemento di distensione.

Le prospettive ideali, poi, erano molteplici: ai nazionalismi sarebbe subentrata l’idea di interdipendenza e di integrazione fra gli stati, l’idea di pace sarebbe stata realizzata concretamente in una “comunità” (sostantivo fino ad allora sconosciuto nei trattati internazionali!) e avrebbe cessato di essere solo un’utopia, si sarebbero potuto realizzare le condizioni per una maggiore intesa tra Europa e Usa rendendo in tal modo più agevole il passaggio dalla coesistenza pacifica alla pace.

Le trattative per giungere al Trattato, che doveva essere ratificato dai sei parlamenti, iniziarono subito dopo la dichiarazione del 9 maggio 1950. Schuman stesso, interiormente poco convinto, approfittando di una sessione del Consiglio Atlantico fissata a Londra per il 10 maggio, si recò nella capitale britannica per esporre al collega britannico Bevin il suo piano e per convincerlo a aderire al suo progetto.

Tra i grandi nodi da sciogliere da parte dei diplomatici delle sei delegazioni c’era quello di organizzare in maniera rigorosa il funzionamento della nuova Comunità: definire la composizione dell’Alta Autorità (un collegio di nove membri indipendenti dai governi) come pure le sue competenze. A fianco dell’Autorità sovra-nazionale, occorreva instaurare tre organismi con l’incarico di controllarla: un’Assemblea parlamentare, composta da rappresentanti eletti dai sei parlamenti, doveva esaminare e votare il rapporto annuale dei lavori dell’Alta Autorità; un Consiglio dei Ministri, composto da un rappresentante del  governo di ciascun paese, era incaricato di dare il suo parere sulle decisioni dell’Alta Autorità; la Corte di Giustizia aveva il compito di dirimere eventuali contenziosi in merito all’interpretazione e all’applicazione del Trattato. Occorreva scegliere la sede della Comunità. Schuman propose Sarrebruck per mettere fine alla disputa franco-tedesca sullo statuto della Sarre, ma, di fronte alle riserve di Adenauer, accettò la proposta del lussemburghese Bech d’installare le istituzioni a Lussemburgo, all’eccezione dell’Assemblea parlamentare che si sarebbe riunita a Strasburgo nel palazzo del Consiglio d’Europa. Altro motivo di dibattito fu la scelta della lingua.

La delegazione italiana impostò la sua partecipazione non in senso federalista, ma con una forte connotazione europeistica, “nell’ambito della solidarietà atlantica” – come scrive Paolo Emilio Taviani nel suo diario.

Il 18 aprile 1951, nella Sala detta dei Pappagalli al Quai d’Orsay, fu siglato il Trattato che istituiva la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio. Firmatari furono Schuman per la Francia, Adenauer per la RFT, Sforza per l’Italia (De Gasperi fu trattenuto a Roma per festeggiare l’anniversario dell’elezioni del 1948), Stikker per il Belgio, Van Zeeland per i Paesi Bassi e Bech per il Lussemburgo. Il Trattato entrò in vigore il 10 agosto 1952, dopo la ratifica dei parlamenti dei sei Paesi. Il periodo della ratifica fu più lungo di quello dell’elaborazione del piano: nei diversi parlamenti si risvegliarono le antiche ambizioni legate al prestigio nazionale, le considerazioni sul piano elettorale, ma il primo passo verso l’unità europea era compiuto, anche se il settore del ferro e del carbone non poteva restare isolato. La storia esigeva che la “comunità” si allargasse ai bisogni e ai problemi che sempre più essa imponeva: il mercato unico e l’energia atomica a scopo pacifico. De Gasperi contava più sull’esercito comune che sull’economia, ma non tutti la pensavano come lui.

L’Europa – come si era espresso Robert Schuman il 9 maggio 1950 – non si sarebbe costruita in poco tempo, ma attraverso piccole realizzazioni compiute passo dopo passo. La C.E.C.A. era la prima tappa verso la federazione europea. Fu federalista Schuman? Non lo direi. Era “sovra-nazionalista”: vedeva la sovra-nazionalità come il modo migliore per combattere l’isolamento fra le nazioni, assicurando a loro la pace, la prosperità, la libertà, la sicurezza. Nei suoi scritti, Schuman parla di “spirito europeo” che doveva animare la Comunità, espresso non in un “super-stato” né in uno “stato federale”. Gli stati nazionali, secondo Schuman, non dovevano essere aboliti, dovevano restare entità sovrane. Il federalismo si sarebbe   attuato dopo una lunga evoluzione che avrebbe portato ad una sorta di “federazione di Stati”. Quello che colpisce nei discorsi e negli scritti di Schuman è il suo tentativo di superare i problemi di “governance” dando ad essi un senso morale: unire gli sforzi per trovare delle soluzioni comuni, mettere in comune le risorse, cercare più quello che unisce che quello che divide, abbandonare i pregiudizi, sviluppare la solidarietà, la fiducia, la cooperazione. Tutto ciò non era un sogno sentimentale, ma un impegno realistico e difficile perchè “niente è duraturo se lo si compie con facilità”, come scrive Schuman nell’introduzione del suo “Pour l’Europe”.

In questi 70 anni, la Comunità Europea, ora divenuta Unione Europea, ha conosciuto luci ed ombre. Ha una moneta comune, ma non ha una politica economica, di bilancio e fiscale comuni. Molto resta da fare. Il 10 marzo scorso i Presidenti del Parlamento Europeo, del Consiglio e della Commissione hanno annunciato l’intenzione di convocare una conferenza per raccogliere pareri e proposte dei cittadini, e in particolare dei giovani, su come “plasmare il futuro del progetto europeo”. L’iniziativa delle tre Istituzioni è molto opportuna. Lo è in particolare in questo momento in cui si è finalmente manifestata la volontà di alcuni Paesi membri e delle Istituzioni europee a rilanciare il processo di integrazione alla luce delle sfide, vecchie e nuove, alle quali l’Europa è confrontata e alle attese dei cittadini. Accanto alla politica economica, di cui la C.E.C.A. è stata il progetto embrionale, occorrerà pensare ad una comune politica dell’immigrazione, della politica estera e di sicurezza, di difesa. Le limitazioni di sovranità sono previste dall’art. 11 della nostra Costituzione. In questi terribili giorni di pandemia abbiamo constatato quanto sia reale l’interdipendenza fra gli Stati e quanto ci sia mancata una comune politica europea sulla salute: “Siamo tutti sulla stessa barca” - dice papa Francesco – “O ci si salva tutti assieme o periremo tutti assieme”.

  

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