Lo scorso 29 agosto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha risposto ad alcune domande di giovani partecipanti al 40° seminario per la formazione federalista europea in occasione dell’80° anniversario del Manifesto di Ventotene.

Quanto reputa attuali le idee e i valori del Manifesto di Ventotene, e cosa ci possono insegnare per l'Europa di oggi?

Ogni grande cambiamento è preceduto da vigilie, da periodi di resistenza, da preparazione di tempi migliori. Ed è quello che avvenne qui, allora, a Ventotene. Il fascismo aveva mandato qui diverse persone per costringerle a non pensare, o quanto meno impedire che seminassero pericolose idee di libertà. Con coloro diretti al confino, come Spinelli, Rossi, Colorni, e con quelli reclusi a Santo Stefano, come il mio predecessore, Sandro Pertini, il futuro presidente dell’Assemblea Costituente, Terracini, in quel carcere borbonico in cui già erano stati rinchiusi un secolo prima Silvio Spaventa e Luigi Settembrini. Credo che bisogna pensare al contesto in cui nasce il Manifesto che era questo, per rendersi conto di che cosa intendono dire a noi ancora – oltre che ai loro contemporanei - Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni con il Manifesto. Chiedendo a tutti quanti, esortando tutti quanti, a vigilare in difesa della democrazia contro le derive che mettono in pericolo la libertà. Questi insegnamenti e lezioni sono senza scadenza, senza tempo, che erano allora richiesti ed espressi con una grande fede nella libertà, la fiducia nel corso della storia e anche il coraggio di posizioni di assoluta avanguardia. Sono queste lezioni senza scadenza temporale che parlano anche a noi, con grande attualità, in questo periodo in cui siamo investiti da sfide globali impegnative, difficili, e da tante realtà di distruzione. Quella sollecitazione a difendere la libertà e la democrazia, che allora veniva fatta in quelle condizioni, in quel contesto così difficile che richiedeva coraggio e determinazione, vale ancora oggi pienamente. E non a caso si accompagnava allora e si accompagna anche adesso all’esortazione di percorrere più velocemente la strada dell’integrazione europea. Come presidio, anche quello, dei valori di libertà, democrazia, di diritti. È questo che rende quel Manifesto, per quello che allora rappresentò, per quello che oggi rappresenta, un punto di riferimento. 

Quando pensa all'Europa, a quale apparato di valori e obiettivi politici pensa?

Per rispondere a questa domanda occorre riportare l’attenzione su ciò che ha condotto i popoli europei che si erano combattuti per lunghi secoli a mettere insieme prospettive e futuro. Che cos’è che già nel 1950 condusse alla Dichiarazione Schumann - e quindi alla Ceca - mettendo insieme i settori di economia cruciali di allora? Che cosa indusse a determinare questo capovolgimento di atteggiamento, questa svolta storica nella vita dell’Europa? Io credo che il valore di base, quello cha ha condotto a questa svolta, che tuttora si sviluppa in maniera alle volte sofferta, ma costante, sia il valore della predominanza, dell’importanza preminente del valore della persona, di ogni singola persona. Nel Manifesto di Ventotene, nelle prime righe, si apre con un’affermazione di grande significato che dice: “L’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un centro autonomo di vita”. Questa affermazione sul valore delle persone è quella che è stata al centro di questo capovolgimento di prospettiva degli europei subito dopo la guerra. E questo principio, da cui derivano tutti gli altri, si trasferisce poi nel principio democratico, nei principi della democrazia che sono quelli che hanno condotto sedici anni dopo il Manifesto all’avvio concreto dell’integrazione europea. Avvio che è nato dall’incontro e dal confronto costruttivo fra tre grandi filoni culturali e politici: quello democratico-cristiano, quello socialista e quello liberale. Tutti raccolti intorno a questo valore di fondo: il valore della persona, il valore insopprimibile di ogni persona umana. E quindi la sua proiezione nei principi dei valori della democrazia che sono poi consacrati in maniera la più evidente con l’elezione a suffragio universale del Parlamento europeo, di cui qui abbiamo una rappresentanza qualificata. Questo fa pensare anche a quell’intenso scambio che intervenne nel periodo in cui si preparava la Comunità Europea di Difesa nei primi anni Cinquanta, poi fallita, nel 1954 quando tra De Gasperi e Spinelli vi fu intenso scambio di opinioni auspicando un processo costituente tra gli europei che fosse affidato a un’assemblea elettiva. Ecco, questo principio democratico che si fonda sul valore della persona è quello che sta alla base di quella svolta, ed è quello da cui derivano tutti gli altri valori che l’Unione incarna e manifesta, cioè diritti, libertà, pace, collaborazione. Questo a me pare il principio di fondo. 

L'Europa e l'Italia si apprestano a ripartire e ricostruire il futuro post-Covid. Su quali priorità si deve basare questa ricostruzione?

L’Unione europea dopo il Covid è molto cambiata. Abbiamo incrociato una crisi drammatica, che stiamo tuttora attraversando, anche se stiamo riuscendo a superarla, a sconfiggerla, speriamo presto. Una crisi drammatica che ha condotto ad alcune decisioni, a fare alcune scelte, dando ancora una volta ragione all’affermazione di Jean Monnet che diceva che l’Europa si farà nelle crisi mediante le soluzioni che alle varie crisi saranno date. Che cosa è avvenuto con il Covid? Che l’Unione ha avuto una capacità di visione e di intervento di straordinaria efficacia e anche velocità. Gli strumenti predisposti dalla Commissione europea, cui va dato atto di questa tempestività, lucidità e coraggio –gli va dato atto con riconoscenza - hanno prodotto una serie di conseguenze che ha consentito agli europei di fronteggiare le conseguenze non soltanto sanitarie, ma anche economiche e sociali della pandemia. Gli strumenti adottati sono di grande rilievo. Tra questi il Next Generation rappresenta una svolta di concezione. Non sono strumenti “una tantum”, reversibili, che saranno dimenticati e posti nell’archivio. Sono ormai entrati nell’acquis comunitario. Questa svolta, con questo coraggio e decisioni, questa maggiore capacità di azione comune, questa integrazione maggiore e concreta è un grande risultato dovuto al modo in cui si è affrontata questa crisi. E questi strumenti resteranno, ne sono convinto. Nei vari Paesi europei vi sono tanti - come definirli - tanti gelidi antipatizzanti dell’integrazione dell’Unione. Si diano pace: questi strumenti resteranno, non si può tornare indietro! 

Quale crede debba essere il ruolo dell'Europa all’interno del mondo globalizzato di oggi? Quale modello può essere l'Europa per il mondo contemporaneo?

Credo che vi siano due elementi che caratterizzano l’Unione europea in maniera più evidente e particolare: lo Stato di Diritto e la promozione della coesione sociale, per quel modello sociale europeo che così è stato definito. Questi due valori mi fanno rispondere alla sua domanda con un’altra domanda. Questi valori, la libertà, i diritti, la pace, il rispetto e la comprensione reciproca tra i popoli, tra le culture, la collaborazione internazionale, la coesione sociale, sono valori confinabili in un solo territorio o non sono piuttosto valori che appartengono all’intera umanità? Ecco, nella risposta a questa domanda c’è il ruolo dell’Europa nel mondo contemporaneo. Abbiamo visto in questi giorni con le vicende dell’Afghanistan quanto la percezione di mancanza di libertà o di perdita della libertà in un luogo lontano, diverso, del mondo, non soltanto colpisce le nostre coscienze, ma incide concretamente, non teoricamente, in astratto, nella vita della comunità internazionale che è sempre più integrata al proprio interno. E quindi quel complesso di valori su cui è nata e su cui si è sviluppata l’Unione europea sono il suo contributo alla vita internazionale. Quello che, senza alcuna presunzione di superiorità, al contrario, con la percezione della responsabilità che si ha, va messa al servizio della collaborazione mondiale.

Quanto è importante l'Italia per l'Europa e l'Europa per l'Italia?

Per l’Unione sono importanti tutti i Paesi membri, lo ha dimostrato il disappunto per l’uscita del Regno Unito. Lo dimostra anche il rammarico per la lentezza con cui procede non l’ingresso immediato ma il processo di avvicinamento all’Unione dei Paesi dei Balcani occidentali. L’Italia, in particolare, è importante per l’Unione Europea, naturalmente; lo è per la sua dimensione, per la sua storia, per la cultura, per la sua posizione geopolitica; lo è per la sua qualità di Paese fondatore; lo è per la scelta, pressoché costantemente seguita, di assumere posizioni sempre di punta nella richiesta di sempre maggiore integrazione.

Per l’Italia l’Unione è naturalmente ancora più importante. Questa considerazione fa riflettere su un tema che oggi è oggetto di discussione, di riflessione generale: la sovranità che è molto cambiata da come fu definita nell’Ottocento, sostanzialmente. Basti pensare agli operatori internazionali, ai grandi operatori economici internazionali, ai tentativi faticosi con cui, in questo periodo, si sta cercando di poter imporre loro delle regole da rispettare e regole di carattere internazionale, non di diritto interno dei vari Paesi.

In questi anni, parlando con alcuni Capi di Stato stranieri o con altri interlocutori di altri Paesi, ho fatto presente quello che tanti hanno ben presente, cioè che i Paesi dell’Unione europea si dividono in due categorie: i Paesi piccoli e quelli che non hanno ancora compreso di essere piccoli e che stanno faticosamente iniziando a comprendere di essere piccoli anch’essi. [..] Va trovata una formula che adegui la sovranità, e questa formula che consente di preservare la sovranità, senza che sia illusoria, meramente illusoria, è la sovranità condivisa nell’Unione che non è una rinuncia alla sovranità, ma l’unico modo per conservarla è mantenerla, praticandola. Una sovranità condivisa che consente di affrontare i tanti problemi globali, le sfide che vi sono.

Noi abbiamo un’occasione importante in questo periodo: la Conferenza sul Futuro dell’Unione. È un’occasione storica, da non perdere, pena un danno immenso alla vita dell’Europa per il futuro. Bisogna evitare il rischio che venga banalizzata, che venga - come emerge da qualche posizione nel contesto dell’Unione - tradotta in uno scialbo esame della situazione contingente. È un’occasione storica per verificare lo stato dell’Unione, capire di cosa ha bisogno, di come realizzare la sovranità condivisa, di come accrescere la sovranità condivisa perché l’Europa abbia un ruolo e possa affrontare davvero, a garanzia dei suoi cittadini, anche per il futuro libertà, pace e benessere, come ha fatto finora, ma senza questo adeguamento di sovranità, senza queste modifiche, che la Conferenza deve affrontare questa volta, non ci riusciremmo. E va fatto adesso, tra qualche tempo sarebbe troppo tardi.

Si paragona spesso il processo di integrazione con il procedere in bicicletta: se non si pedala, si cade. Quale crede sia la prossima tappa per evitare di cadere (e, dunque, evitare la prossima crisi)?

Questo esempio della bicicletta vale per qualunque costruzione non completata nell’esperienza umana e quindi vale per l’Unione europea, naturalmente. C’è sempre il rischio di scivolare in basso se non si raggiunge l’obiettivo che si ci si è ripromessi all’inizio. E una costruzione non definita non può reggere a lungo, perché le parti lacunose trascinerebbero in basso quelle già costruite. Per fare un esempio tra i tanti possibili: l’Unione non può avere una moneta unica, una banca centrale e non avere un vero sistema bancario unico, una vera unione bancaria e un vero sistema finanziario, unico, organico, ben organizzato. So che vi sono tanti problemi, ma questa è una condizione vitale, altrimenti quello che abbiamo costruito in questi decenni rischia di essere compromesso nei suoi risultati, nella sua funzionalità, da quello che manca. Naturalmente non c’è questo versante economico-finanziario soltanto, ce n’è un altro particolarmente attuale. Vorrei tornare all’Afghanistan, che ha messo in evidenza la scarsa - per usare un termine già ampio - capacità di incidenza dell’Unione europea sugli eventi. Faccio un altro esempio: quello che è avvenuto negli ultimi anni in Siria. In Siria sono stati protagonisti diversi soggetti internazionali. Totalmente assente, come influenza sugli eventi, l’Unione europea. Ma le conseguenze del crollo della Siria le ha subite tutte l’Unione europea, tutte i Paesi d’Europa. Ora non è più possibile mantenere una condizione così.

È indispensabile quindi adottare subito gli strumenti. Anche questo è tema della Conferenza sul Futuro dell’Europa, ma è tema anche già all’ordine del giorno degli organi dell’Unione. Occorre dotare l’Unione degli strumenti di politica estera e difesa comune. Sono fermamente convinto dell’importanza del rapporto transatlantico, dell’Alleanza Atlantica, della Nato, pilastro fondamentale per l’Italia e per l’Europa. Ma proprio quel rapporto transatlantico chiede oggi che l’Unione europea abbia una maggiore capacità di presenza di politica estera e di difesa. Perché lo squilibrio tra la capacità d’Europa sugli altri campi e questo è troppo alto.

[..] Occorre quindi - e questo è un tema molto caro ad Altiero Spinelli – che l’Unione si doti sollecitamente di strumenti efficaci, reali, concreti, di politica estera e di difesa.

Ed è un compito di grande sfida, molto impegnativo quello che le stato affidato, Alto Commissario Borrell! Auguri!

Ritiene che l’Europa in questo momento stia agendo in maniera opportuna per quanto riguarda il cambiamento climatico?

Questo del clima è uno dei punti centrali nell’azione dell’attuale Commissione europea. L’ultimo rapporto dell’Onu è drammaticamente allarmante. E quindi ci sono due obiettivi: nel 2030 con la riduzione del 55% delle emissioni e nel 2050 per la neutralità climatica. Non vanno disattesi.

Un percorso è stato già compiuto ma è ancora insufficiente. Occorre fare di più, molto di più, anche perché dagli esiti della Conferenza di Rio del 1992 si è perso molto tempo. E se ne è perso anche nell’attuazione degli Accordi di Parigi, più recenti. Questo è un impegno fondamentale.

È l’unico ambiente di cui disponiamo quello della Terra, e vediamo anche in Europa gli effetti nella vita quotidiana molto sovente dei mutamenti climatici. So bene che le difficoltà sono tante, i problemi sono molti perché occorre riconvertire, occorre adeguare. Però la scelta è tra poter sopravvivere, cambiando alcune cose, alcune condizioni o non sopravvivere affatto. E non c’è scelta.

Come vede il ruolo dell’UE all’interno della competizione economica globale?

Io credo che l’Unione Europea abbia sempre mantenuto, coltivi e debba continuare a coltivare il ruolo di chi esorta all’apertura, alla collaborazione, a strumenti di cooperazione economica.

Il libero commercio è una condizione indispensabile non soltanto perché è un interesse economico e commerciale per tutti ma anche perché evita pericoli di contrapposizione che possano avere poi conseguenze, ricadute molto più allarmanti, preoccupanti e gravi di altro genere. Il fatto che l’Unione abbia realizzato una serie di accordi commerciali con grandi aree, il CETA con il Canada, con il MERCOSUD recente, è una risposta alle tentazioni di protezionismo e di ritorno ai mercati chiusi; con i mercati aperti è una condizione di collaborazione internazionale indispensabile, sotto ogni profilo. Naturalmente occorre equità nelle relazioni, occorre anche che vengano garantiti gli standard sociali nei vari mercati, che venga garantita la lealtà delle condizioni reciproche. Però quella della libertà di mercato, della libertà di commerci è assolutamente indispensabile.

L’Unione Europea, che si è sempre mossa in questa direzione, in maniera indiscutibile, è un soggetto primario grazie all’euro che ne fa un protagonista decisivo nella vita economico-finanziaria e commerciale nel mondo. Per questo può continuare a svolgere questo ruolo di chi esorta, in nome del multilateralismo, a trovare insieme regole condivise, sistemi di regole condivise che consentono di allargare sempre più e non chiudere la libertà di commercio.

Ritiene che l’Europa stia facendo abbastanza in tema di politiche migratorie, soprattutto pensando al fronte sud?

In Europa si fa tanto parlare di confini esterni dell’Unione. Si è anche dato vita a un’agenzia per gestirne i risvolti: il Frontex. Ma la politica migratoria non è mai diventata una materia realmente comunitaria. Ed è singolare, davvero curiosamente singolare.

Siamo riusciti per il Covid, come ricordavo, dando vita ad accordi e regole condivise di resilienza, dall’acquisizione alla distribuzione centralizzata europea dei vaccini. E anche di questo va dato atto con riconoscenza alla Commissione europea per questa decisione che ha fatto collaborare, e non competere, i Paesi dell’Unione in materia. Ma è singolare che si è riusciti per il Covid - cosa indispensabile e provvidenziale - che non è materia comunitaria come argomenti, e non si sia fatto ancora realmente tanto così per la migrazione.

Questa carenza, questa omissione, questa lacuna, non è all’altezza delle aspirazioni, del ruolo, della responsabilità dell’Unione europea.

Qui siamo a Ventotene dove tanti sono venuti in confino o reclusi per difendere la libertà e poter dire quello che pensavano e, quindi, vorrei parlare con una certa libertà di espressione.

So bene che su questo piano molti Paesi sono frenati da preoccupazioni elettorali contingenti ma così si finisce per affidare la gestione del fenomeno migratorio agli scafisti e ai trafficanti di esseri umani.

È come se si abdicasse, si rinunziasse alla responsabilità di spiegare alle proprie pubbliche opinioni che non è ignorando quel fenomeno che lo si rimuove, lo si cancella, perché quel fenomeno c’è in tutto il mondo ed è epocale, di dimensioni sempre maggiori.

Non è ignorandolo che lo si può contrastare o cancellare; va governato. Ma per governarlo occorre avere senso di responsabilità, sapere spiegare alle proprie pubbliche opinioni che cosa va fatto. Sapere, per esempio, spiegare che non tra un secolo ma tra 20/ 25/30 anni la differenza demografica tra Africa e Europa sarà tale da dar vita, se non si governa oggi con regole condivise, ad un fenomeno migratorio disordinato, scomposto che invaderà tutta l’Europa, non i Paesi rivieraschi e mediterranei, ma fino in Scandinavia.

Questo attiene - vorrei dire - alle convenienze; all’Europa conviene occuparsene per governare questo problema e non trovarselo tra qualche anno ingovernabile definitivamente. Governarlo con regole di accessi ordinati, legali, controllati. Ma c’è anche un aspetto etico. Io devo confidare di essere sorpreso dalla posizione di alcuni movimenti politici e di alcuni esponenti nei vari Paesi d’Europa, dell’Unione rigorosi nel chiedere il rispetto dei diritti umani a Paesi lontani, ma distratti di fronte alle condizioni e alle sofferenze dei migranti. E non di qualunque tipo di migranti, ma migranti per persecuzioni, per fame, perché i mutamenti climatici hanno sconvolto il loro territorio.

In questi giorni c’è una cosa che sinceramente appare sconcertante: si registra, qua e là nell’Unione Europea, grande solidarietà nei confronti degli afghani che perdono libertà e diritti ma che rimangano lì, non vengano qui perché se venissero non gli accoglieremmo. Questo non è all’altezza del ruolo storico, dei valori dell’Europa verso l’Unione.

In questa materia l’Unione deve avere finalmente una voce unica, deve sviluppare, in maniera maggiore di quanto non sia avvenuto fin qui, un dialogo collaborativo con altre parti del mondo, particolarmente con l’Africa per governare insieme questo fenomeno.

Soltanto una politica di gestione del fenomeno migratorio dell’Unione può essere in grado di governarlo in maniera ordinata, accettabile, legale senza far finta di vedere quel che avviene per ora, così da non essere in poco tempo travolti da un fenomeno ingovernabile, incontrollabile.

Questo è quello che va chiesto all’Unione, va chiesto con forza. Io spero che emerga anche questo dalla consultazione con i cittadini che c’è in corso con la Conferenza sul Futuro dell’Europa.

Come vede l’Unione Europea nel 2050?

Nel 2050 avrei 109 anni e quindi posso soltanto, in questo momento, coltivare quello spirito di fiducia nel futuro che ha animato il Manifesto di Ventotene. Non mi limito a credere, a pensare ma sono convinto che nel 2050 l’Unione avrà raggiunto, avrà espresso pienamente quell’orizzonte di libertà che il Manifesto di Ventotene indica. Che al suo interno saranno scomparse diseguaglianze tra le persone, tra i territori, che sia aperta al mondo non una “fortezza chiusa” e che sia in grado cioè di esprimere, di coinvolgere, di trasmettere, collaborando con tutti quei valori che la caratterizzano: la democrazia, la libertà, i diritti, la pace, la cooperazione internazionale.

Credo che sia soprattutto all’altezza di dare risposte adeguate alle aspirazioni e alle attese di futuro dei giovani europei.

Prima di allontanarmi, vorrei ringraziare il Presidente Anselmi per la sua accoglienza, per le sue parole ed esprimere il grande apprezzamento per le attività della Fondazione, per questo appuntamento annuale così importante che coinvolge giovani per comprendere e per ricevere da loro sollecitazioni sul futuro dell’Europa.

Grazie per quanto fate e auguri.

 

  

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