Articolo pubblicato su La Repubblica il 26 agosto 2021.
 

Nasce direttamente dalla prigionia e dall'oppressione, ottant'anni fa, l'idea della rivoluzione democratica d'Europa. Tre uomini - Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni - confinati dal fascismo nell'isola di Ventotene per isolare la loro intelligenza civile e disattivare la loro passione intellettuale, costruiscono dal fondo dell'impotenza politica di un Paese stremato l'unico progetto visionario che può difendere non soltanto la libertà, ma la civiltà europea minacciata di morte. Tanto che ancora oggi il Manifesto di Ventotene contiene il vero principio costituzionale e morale che può fondare la nuova Europa, restituendo un ruolo all'impotenza del continente e addirittura rilanciando il concetto di Occidente, disperso a Kabul insieme con i diritti prima promessi e poi abbandonati al ritorno dell'oscurantismo islamista.

Il Manifesto non è una palestra astratta di esercizio culturale sterile, un ennesimo modello politico ideale. C'è l'urgenza della storia nella sua genesi, la costrizione della dittatura nella sua necessità: la convinzione che il punto di crisi della civiltà europea (col suo patrimonio di arte, di storia, di letteratura, di bellezza e col mito dell'umanità incarnata nel cristianesimo) è talmente profondo che persino un recupero della libertà con la sconfitta dei fascismi non basta per salvare davvero il nostro mondo. È l'idea, coraggiosa al punto da apparire allora eretica, del superamento necessario della lotta di classe comunista, dell'orizzonte freddo socialdemocratico, dello stesso democraticismo azionista e liberale, del legalitarismo che non vuole forzare la mano alla storia. La constatazione, cioè, del limite democratico quando libertà e democrazia sono spettatori e non attori di passaggi decisivi.

Per questo il Manifesto va oltre, affidando la rivoluzione democratica a un'idea capace di fondare costituzione e istituzioni, come antidoto all'oppressione e come principio di un nuovo ordine mondiale. Tutto il peso della tragedia europea in pieno svolgimento detta ai popoli e ai leader del domani l'atto di fede necessario: "Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in Stati nazionali sovrani". È l'allarme di una generazione che ha visto degenerare l'idea di nazione nel nazionalismo imperialista, ingigantito fino alla formazione degli Stati totalitari ed allo scatenarsi delle guerre mondiali: una nazione non più considerata come lo storico prodotto della convivenza degli uomini ma come "un'entità divina", un organismo legittimato a pensare solo alla propria esistenza ed al proprio sviluppo, senza in alcun modo curarsi del danno provocato ad altri, in nome dello "spazio vitale" e della volontà di dominio che è la logica conseguenza di questa concezione.

Il francobollo commemorativo per il Manifesto di Ventotene
 

La vera libertà politica e intellettuale nel momento di massimo pericolo pretende di reinterpretare anche le categorie di pensiero tradizionali e identitarie. Spinelli e Rossi avvertono nel 1941 che la linea di divisione fra il progresso e la reazione non passa più ormai nella distanza tra una maggiore o minore quantità di democrazia o di socialismo, ma nella scelta tra il soggetto-Europa e il soggetto-nazione. Il Manifesto di Ventotene traccia infatti una nuovissima linea "che separa coloro che concepiscono come campo centrale della lotta quello antico, cioè la conquista e le forme del potere politico nazionale, e che faranno sia pure involontariamente il gioco delle forze reazionarie, lasciando che la lava incandescente delle passioni popolari torni a solidificarsi nel vecchio stampo e che risorgano le vecchie assurdità; e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari".

Dal rifiuto dello statalismo e del nazionalismo germina dunque l'idea d'Europa come mito istituzionale concreto, tradotto in uno Stato federale dotato di un suo esercito per pesare nelle grandi crisi del mondo e provvisto degli strumenti interni per imporre le sue direttive agli Stati federali in cui si articola la sua sovranità. Sono gli elementi attraverso cui si manifesta oggi la debolezza europea: la mancanza di mezzi e strumenti politici e istituzionali per esercitare un'autorità domestica e internazionale, per esprimere il portato della sua storia e della sua cultura con una vera politica estera, per difendere i suoi interessi e i suoi valori con una linea comune di difesa e di sicurezza, per rispondere alle urgenze e alle speranze dell'immigrazione con un'unica gestione europea degli Interni, coerente con le attese dei cittadini ma anche con i principii in cui diciamo di credere e che regolano il nostro modo di vivere. Ecco perché domenica 29 agosto Mattarella celebrerà a Ventotene non solo l'anniversario, ma l'attualità del Manifesto.

Dopo decenni in cui ci consideravamo europeisti per inerzia e per distrazione, oggi dopo la crisi afghana che rivela la fragilità dell'Occidente è di nuovo il momento di un'Europa della convinzione, per scelta, addirittura per necessità. E per forza di cose il salto in avanti indispensabile passa ancora per Ventotene, perché chiede istituzioni, costituzione e visione, cioè quella medesima passione fondativa di allora, contro gli stessi rischi culturali di chiusura nazionalistica, per fortuna sotto forme ben diverse da quel passato. Per queste circostanze ottant'anni dopo tocca alle generazioni oggi in campo, cioè a noi e ai nostri figli, l'opportunità di essere nuovamente costruttori d'Europa, nell'interesse del nostro Paese, della nostra parte di mondo, dell'Occidente, nel rispetto della storia e nella difesa della democrazia, dei diritti, della libertà. Molto semplicemente, come diceva Spinelli, a questi valori e a tutte queste forze è oggi affidata la salvezza della nostra civiltà.

 

  

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