1. Premessa

La prima questione da porre è se la riforma dei meccanismi istituzionali e delle politiche dell’Unione europea esige necessariamente una riforma dei Trattati europei in vigore o se sia possibile un’evoluzione progressiva della stessa UE attraverso modifiche puntuali della governance in vigore attuate dai governi nazionali e dalle Istituzioni esistenti. L’accordo intervenuto sulla creazione di un nuovo strumento finanziario (il Next Generation EU) e su un debito comune europeo che gli Stati rimborseranno progressivamente fino al 2058 tramite l’introduzione di nuove imposte europee che forniranno risorse proprie al bilancio europeo potrebbe far pensare che l’UE sia in grado di evolvere progressivamente verso un governo europeo senza la revisione dei Trattati in vigore. Nulla garantisce tuttavia che i passi in avanti realizzati con il Next Generation EU e il debito comune europeo in quanto risposta dell’UE alla crisi pandemica diventino strumenti permanenti e non contingenti della governance europea se non fossero a termine consolidati in una riforma dei Trattati in vigore. Da un lato, infatti, alcuni Stati hanno accettato la messa in atto di tali strumenti solo in quanto straordinari e non permanenti, dall’altro si tratta di strumenti che possono sempre essere contestati in quanto non previsti dai Trattati in vigore (artt. 125, 310 e 311 TFUE). Per questo occorre mettere mano ad una vera e propria riforma costituente dell’Unione europea.

2. Come riformare l’Unione Europea

La procedura oggi in vigore per la modifica dei Trattati (art. 48 TUE) implica necessariamente l'accordo di tutti gli Stati membri al momento della firma e l'accordo unanime successivo degli stessi Stati (27) tramite ratifica da parte dei rispettivi Parlamenti oppure, in alcuni Stati, tramite un referendum popolare. È tuttavia notoria la difficoltà di trovare un accordo tra i 27 Stati membri, date le divergenti visioni sugli obiettivi del processo d’integrazione. Il diritto internazionale offre due soluzioni per aggirare tale difficoltà.

Una soluzione sarebbe quella di invocare la clausola “rebus sic stantibus” prevista dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati e di concludere pertanto un nuovo Trattato con regole diverse con gli Stati che fossero d'accordo per una riforma più sostanziale dell'Unione europea. Tale soluzione condurrebbe al risultato di aggirare la regola dell'accordo unanime degli Stati prevista dall’art. 48 TUE e di permettere la conclusione di un nuovo Trattato con l'accordo di una maggioranza (da determinare) degli Stati attuali. Questo risultato potrebbe essere raggiunto anche attraverso un’altra via, e cioè con l’inserimento nel testo del nuovo trattato di una clausola che preveda la sua entrata in vigore nei soli paesi in cui i rispettivi Parlamenti nazionali lo avessero ratificato (oppure in cui le rispettive popolazioni lo avessero approvato nel referendum popolare). Infatti, in assenza di un vero e proprio popolo europeo (il Trattato di Lisbona parla di cittadini dell’Unione e non di un popolo europeo), sarebbe giuridicamente e politicamente impossibile vincolare uno o più Stati all’adesione al nuovo Trattato nel caso in cui il loro Parlamento oppure la loro popolazione si esprimessero in senso contrario a tale adesione nel voto parlamentare oppure nel voto referendario.

La conclusione di un nuovo Trattato potrebbe risolvere il problema dell’integrazione differenziata in seno all’attuale Unione europea in quanto gli Stati desiderosi di mantenere l’attuale livello di integrazione potrebbero farlo rimanendo vincolati alle disposizioni dei Trattati attuali, mentre gli Stati che volessero progredire verso una vera e propria unione federale sarebbero liberi di concludere il nuovo Trattato contenente disposizioni supplementari in questa direzione. Naturalmente, occorrerebbe precisare nello stesso Trattato o in un Trattato separato le relazioni tra l’attuale Unione europea e la nuova Unione federale.

3. Stato Federale oppure Unione Federale

La riforma dell'Unione europea sarà funzione degli obiettivi che gli Stati membri, le forze politiche e i cittadini dell’attuale Unione europea si prefiggono di raggiungere. Non è realistico pensare alla creazione di uno Stato federale che sostituisca gli Stati nazionali esistenti, in alcuni casi, da centinaia di anni, poiché in tal caso occorrerebbe dotare le Istituzioni del nuovo Stato della totalità delle competenze che spettano oggi agli Stati nazionali. Se invece ritenessimo che lo Stato nazionale non è più in grado di svolgere la totalità delle funzioni svolte nell’Ottocento ed esercitare una sovranità assoluta in tutti i suoi campi di attività, in tal caso la soluzione più realistica sarebbe di creare un’unione federale degli Stati nazionali esistenti (o di una parte di essi) per aggregazione degli stessi ma senza per questo sopprimere gli Stati nazionali esistenti. Si tratterebbe in tal caso di condividere la sovranità che al giorno d’oggi non può più essere assoluta come nell’Ottocento ma condivisa tra lo Stato nazionale e un’unione federale che disponga di poteri “limitati ma reali”.

4. Il Potere Costituente

Questo testo non è il luogo appropriato per un’analisi teorica della dottrina costituzionalista e delle diverse forme che potrebbe assumere il potere costituente in quanto atto fondativo di una nuova Unione europea (che si fondi su una Costituzione europea o su una Legge Fondamentale).

Basta limitarsi a constatare l’esistenza di una dottrina detta “contrattualista” secondo cui la “Costituzione” o altro Atto fondativo si configura come un “contratto sociale” mediante il quale una comunità di persone o di popoli decidono di darsi uno “statuto” di cittadini di una nuova organizzazione politica.

Nel caso dell’Unione europea, tale potere costituente potrebbe essere esercitato in diversi momenti della sua vita istituzionale :

1) alla fine della Conferenza sul futuro dell’Europa, qualora un numero significativo di cittadini e di organizzazioni europee chiedessero al Parlamento europeo di elaborare un progetto di riforma dell’Unione europea al fine di ampliare le sue competenze e di concludere un nuovo Trattato costituzionale che desse vita ad un’unione federale;

2) alla vigilia di una delle prossime elezioni europee, qualora le principali forze politiche europee volessero dotare il nuovo Parlamento europeo eletto dai cittadini di un ruolo costituente da esercitare nel corso della legislatura elaborando un nuovo progetto di Trattato da sottoporre ai Parlamenti nazionali o ad un referendum paneuropeo;

3) al più tardi, quando gli Stati europei attualmente membri del G7 non disponessero più di un prodotto interno lordo (PIL) che li situasse tra i sette paesi più industrializzati del pianeta. In tal caso, solo la nuova Unione europea disporrebbe dei requisiti economici per essere membra di un futuro G7.

5. I progetti costituzionali nella storia dell’integrazione europea

Nel corso del processo di integrazione europea si è giunti in due occasioni all’elaborazione di progetti, poi abortiti, che avrebbero comportato passi in avanti decisivi nella direzione della creazione di un’Unione federale.

  1. Il progetto dell’Assemblea ad hoc.
    Il primo progetto costituzionale abortito è stato il progetto di “comunità politica europea” (CPE) elaborato nel 1953 dall’Assemblea ad hoc della CECA (su mandato dei governi dei sei paesi fondatori). Tale progetto era fondato sull’art. 38 del Trattato della Comunità europea di difesa (CED). Esso prevedeva un Parlamento bicamerale, di cui la prima Camera o Camera dei popoli eletta a suffragio universale e la seconda un Senato designato dai Parlamenti nazionali. Il progetto di Trattato prevedeva un Consiglio esecutivo europeo (ispirato dall’Alta Autorità della CECA) che avrebbe esercitato il governo della Comunità e la cui nomina non dipendeva dagli Stati membri. Era previsto anche un Consiglio dei ministri nazionali, formato dai rappresentanti degli Stati membri, al fine di armonizzare l’azione del governo europeo e quella dei governi nazionali.
    Tale progetto non ha avuto seguito a causa della bocciatura della CED da parte dell’Assemblea nazionale francese nel 1954.
     
  2. l progetto Spinelli.
    Il progetto di Trattato, elaborato all’iniziativa e sotto l’impulso di Altiero Spinelli e votato dal Parlamento europeo nel Febbraio 1984, costituisce il secondo tentativo di dotare l’Unione europea di una base costituzionale (anche se, con il suo realismo politico, Altiero Spinelli non utilizza il termine “costituzionale” per qualificare il suo progetto). Malgrado tale prudenza di linguaggio, il Trattato del 1984 conteneva numerose innovazioni fondamentali che si possono qualificare di “costituzionali” nel senso classico del termine : una separazione più chiara dei poteri tra due Camere legislative che votavano a maggioranza (il Parlamento europeo ed il Consiglio dell’Unione, quest’ultimo votando in regola generale a maggioranza qualificata, salvo per un periodo transitorio di 10 anni) ed un Esecutivo /governo (la Commissione europea); una responsabilità politica chiara della Commissione nei riguardi del Parlamento europeo; una differenziazione tra la “legge organica” e la legislazione ordinaria relativa alle politiche; l’attribuzione all’Unione di un potere fiscale autonomo; l’introduzione dei diritti fondamentali e di sanzioni nei riguardi degli Stati membri che li violassero (prima della Carta europea dei Diritti fondamentali); last but not least, il principio maggioritario (maggioranza degli Stati membri rappresentanti i due terzi della popolazione) per l’entrata in vigore del Trattato. Il tentativo di Altiero Spinelli di dotare l’Unione di un testo costituzionale fallì a profitto di una riforma più limitata dei Trattati (l’Atto unico europeo) che non conteneva nessuno degli elementi novatori del Trattato Spinelli. Tuttavia, i due terzi delle disposizioni novatrici del progetto Spinelli sono stati introdotti progressivamente nei Trattati successivi, all’eccezione delle norme più importanti (il principio maggioritario per l’entrata in vigore dei Trattati, il potere fiscale autonomo dell’Unione e la gerarchia delle norme).
    In maniera generale, si può affermare che i due progetti “costituzionali” preservavano sostanzialmente il ruolo delle Istituzioni principali dell’attuale Unione europea, compreso il Consiglio europeo, sia pure con competenze diverse, e il ruolo degli Stati membri nell’architettura istituzionale dell’Unione europea.

6. Elementi necessari alla creazione di una Unione Federale.

Se l’Unione europea dovesse avviare una fase costituente (vedi sopra), occorrerebbe definire gli elementi e/o le competenze che dovrebbero essere iscritti/e in un nuovo Trattato affinché l’attuale Unione europea diventi un’unione federale :

  1. Il primo elemento necessario sarebbe l’elaborazione e l’approvazione di un testo costituzionale che attribuisca una legittimità politica e giuridica alla nuova entità attraverso un processo costituente che permetta la sua validazione da parte dei cittadini europei e/o dei suoi rappresentanti attraverso una ratifica popolare o parlamentare. Il termine “Legge Fondamentale” – già utilizzato dalla Germania odierna per differenziarlo dalla Costituzione di Weimar - sarebbe preferibile a quello di Costituzione (pur avendo lo stesso significato e contenuto) al fine di evitare una polemica in un eventuale referendum popolare sulla questione di sapere se la nuova “Costituzione” europea sia o no superiore alle Costituzioni nazionali esistenti. La risposta è evidentemente che la nuova “Legge Fondamentale” ha la priorità rispetto alle Costituzioni nazionali nei soli campi di attività in cui essa ha attribuito competenze (e quindi sovranità) all’Unione europea, ma non intacca le disposizioni delle Costituzioni nazionali negli altri campi di attività.
     
  2. Il secondo elemento necessario sarebbe la costituzione di un vero e proprio governo europeo – responsabile nei riguardi di un Parlamento europeo - che disponga delle funzioni esecutive indispensabili nei settori di competenza dell’Unione (= poteri limitati ma reali). Alcuni ritengono che il nuovo governo europeo dovrebbe essere un’emanazione dell’attuale Commissione europea modificando tuttavia la sua composizione di un membro per ogni Stato e le sue competenze. La Commissione europea ha già indicato in un suo rapporto sull’Unione europea la sua disponibilità ad essere soppressa nel momento in cui si formerà un vero e proprio governo europeo. L’essenziale è che i membri del futuro governo europeo, che siano scelti dal Presidente unico della nuova UE – eventualmente eletto direttamente dai cittadini europei - oppure dai governi nazionali degli Stati membri, siano responsabili direttamente nei riguardi del futuro Parlamento (composto da una doppia Camera degli Stati e dei popoli) e facciano l’oggetto di un voto di fiducia di quest’ultimo. Se i membri del nuovo governo europeo fossero scelti direttamente dal Presidente unico dell’Unione, non dovrebbero necessariamente avere la nazionalità di tutti gli Stati Membri (vale a dire che il Presidente del governo europeo potrebbe scegliere più cittadini di uno Stato membro e al tempo stesso nessun cittadino di un altro Stato). Il Trattato dovrà precisare se il nuovo governo europeo disporrà di un diritto d’iniziativa legislativa oppure se quest’ultimo sarà affidato al nuovo Parlamento composto da due Camere. I due progetti costituzionali già elaborati prevedono sostanzialmente che l’iniziativa legislativa spetti sia all’organo esecutivo (= governo) che all’organo parlamentare.
     
  3. Il terzo elemento è che il governo europeo dovrebbe essere responsabile nei riguardi di un nuovo Parlamento bicamerale (composto da una Camera degli Stati e una Camera dei popoli). Il problema che si pone è quello di mantenere o meno in vita l’attuale struttura di un Consiglio di Ministri (e, a fortiori, di un Consiglio europeo) in quanto secondo organo legislativo e, addirittura, per quanto riguarda il Consiglio europeo, come organo principale di direzione e di impulso politico dell’Unione. I due progetti costituzionali già menzionati prevedevano entrambi il mantenimento di una struttura politica intergovernativa (nel caso della CPE a complemento di un Parlamento bicamerale). Una soluzione potrebbe essere quella, mutatis mutandis, del progetto Spinelli, nel senso di mantenere in vigore una struttura “intergovernativa” per un periodo transitorio prima di passare ad un unico Parlamento bicamerale. Una volta deciso di rimpiazzare l’attuale Consiglio dei ministri (e anche il Consiglio europeo), composti entrambi da un rappresentante per ogni Stato membro e che decidono spesso all’unanimità o per consenso, sarà indispensabile che la nuova Camera degli Stati sia composta da un numero paritario di Stati (mentre la Camera bassa sarà composta in modo proporzionale alla popolazione), entrambe votando con procedure maggioritarie. Se questa soluzione è stata accettata nella Costituzione americana con il “great compromise” di Filadelfia, a fortiori dovrebbe essere prevista nella nuova Unione federale europea in cui molti Stati membri esistono da molti secoli (contrariamente agli Stati federati americani). L’essenziale è che la nuova Camera bassa sia votata dai cittadini europei sulla base di liste transnazionali (inizialmente per una parte dei seggi, che venga aumentata progressivamente) e pertanto di partiti effettivamente europei con programmi realmente comuni e non, come oggi, sulla base di programmi genericamente europei ma che sono in realtà la somma di programmi nazionali. Occorrerà evitare che i membri della nuova Camera bassa votino su basi sostanzialmente nazionali, come accade assai frequentemente per gli eurodeputati del Parlamento europeo (ad esempio, i MEPS francesi votano in blocco le risoluzioni in materia di politica agricola che corrisponde ad un interesse nazionale francese).
     
  4. Il quarto elemento sarebbe quello di introdurre nella Legge Fondamentale un nuovo sistema di ripartizione delle competenze tra l’Unione federale e i suoi Stati membri che abbia un carattere più permanente e che soprattutto abolisca il potere esclusivo degli Stati membri di attribuire competenze all’Unione federale (vale a dire abolire il potere attuale degli Stati di essere i “padroni dei Trattati”). Questo cambiamento sarebbe legittimato da un’approvazione popolare o da parte dei Parlamenti nazionali della nuova “Legge Fondamentale”. Nello stesso tempo, un nuovo sistema di ripartizione delle competenze dovrebbe attribuire all’Unione federale una sua “autonomia strategica” che le permettesse di esercitare competenze proprie sia nella politica estera che in quella interna. In politica estera, l’Unione federale avrà bisogno di una capacità di difesa autonoma che renda credibili le sue decisioni (invio di missioni di mantenimento della pace, forze d’intervento, ecc..) ma non potrà per molto tempo assumere l’interezza della sua capacità militare (gli Stati membri dovranno conservare un ruolo militare essenziale). Inoltre, in politica interna, l’autonomia strategica dell’Unione federale riguarderà la moneta (ruolo internazionale dell’Euro), l’economia/finanza (capacità fiscale autonoma), la sicurezza interna (lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata), la capacità di competere nel mercato globale (a cominciare dall’agenda digitale e dalla intelligenza artificiale), le relazioni con i paesi vicini (la politica di prossimità avviata da Prodi) e con l’Africa, che appartengono all’azione esterna dell’UE e che possono essere rafforzate in una logica federale con un ruolo di iniziativa e di rappresentanza del governo europeo e con le decisioni delle due Camere legislative prese a maggioranza.
     
  5. Il quinto elemento (già accennato nel quarto) sarebbe quello di dotare la nuova Unione di un bilancio federale che disponga di vere e proprie risorse proprie e, in particolare, di una capacità fiscale autonoma che permetta alla nuova Unione federale di imporre imposte europee direttamente sulle imprese e sui cittadini dell’Unione. Infatti, nella sua stesura attuale, l’art. 311 TFUE secondo cui “l’Unione si dota dei mezzi necessari per conseguire i suoi obiettivi” è interpretato diversamente dagli esegeti dei Trattati. Secondo alcuni, esso autorizza l’imposizione di tasse europee, secondo altri (vedi rapporto Monti del 2016) l’UE non può imporre direttamente tasse europee. Vedremo fra poco tempo, secondo il calendario concordato tra il Consiglio dei ministri ed il Parlamento europeo, se l’UE sarà in grado di procurarsi autonomamente nuove.

 

  

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