Per la prima volta i progetti governativi in materia di giustizia sono frutto di una visione realistica e strategica tanto del processo civile quanto di quello penale.
Il dibattito pubblico ha trascurato gli aspetti più significativi della riforma e si è limitato alle nuove disposizioni sulla prescrizione. Per il precedente Ministro i termini per la prescrizione del reato, e quindi per la sua estinzione, decorrevano solo sino al primo grado. Nei gradi di appello e Cassazione, il processo avrebbe potuto durare per un tempo infinito. La riforma, per ottenere il voto del M5S, è ricorsa ad un espediente tecnico un po’ bizantino: estinzione del reato dopo il primo grado, come per la riforma Bonafede; estinzione del processo, non più del reato, quando i termini sono superati nelle fasi successive. Tuttavia questo della prescrizione è un aspetto assolutamente minore della riforma, che in realtà si è posta tre obbiettivi di carattere generale: a) non limitarsi al contingente; b) eliminare le procedure superflue; c) proporre misure coerenti tra loro.
La riforma, inoltre, parte da dati di fatto incontrovertibili, non da presupposti ideologici.
Il primo riguarda la durata dei processi. Lo Stato è tenuto a pagare un indennizzo a coloro che patiscono una violazione del loro diritto alla ragionevole durata del processo, diritto riconosciuto tanto dalla Costituzione quanto dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Negli ultimi cinque anni lo Stato ha pagato 573milioni, 779mila euro. Ancor più preoccupante è il numero di casi coinvolti: sono stati emessi 95.412 decreti, 95mila 412 persone sono rimaste in attesa di giustizia più a lungo del dovuto, oltre una ragionevole durata. Nel 2020, ultimo anno per i quali abbiamo dati disponibili, ha detto la Ministra Cartabia al forum Ambrosetti, sono sopravvenuti 14.429 procedimenti per irragionevole durata. Sempre nel 2020, il numero dei decreti emessi è stato pari a 11.867 per un importo complessivo di € 105.798.778.
Il secondo fatto incontrovertibile è che negli ultimi 3 anni ci sono state ogni anno 125mila assoluzioni in primo grado e circa 14.000 in secondo grado, su una media di 440.000 processi. Ci aggiriamo intorno al 35% di assoluzioni. Queste cifre indicano da un lato l’esistenza di un sistema fatto di garanzie che permette, anche se non sempre, agli innocenti di essere assolti, dall’altro lato dimostrano anche che troppe volte, in alcuni uffici più di altri, si esercita l’azione penale senza un vaglio critico dell’effettiva possibilità di trovare riscontri nel dibattimento.
Pertanto la riforma prevede, tanto per il civile quanto per il penale, forme di giustizia alternativa, per il civile incentivate anche con benefici fiscali, per il penale incentivate dalla rinuncia a punire, che portano alla chiusura anticipata del procedimento.
Si tende, inoltre, ad eliminare il superfluo. Nel procedimento civile la prima udienza non è più puramente rituale; oggi serve solo ”per farli conoscere”, riferito alle parti, come la cena di un vecchio film con Diego Abatantuono; domani bisognerà sin dal primo momento fissare con chiarezza i termini della contesa e sono previste forme di chiusura anticipata del procedimento. Nel procedimento penale, la riforma rende più severa la regola per il rinvio a giudizio; per celebrare un processo non è più sufficiente avere elementi per sostenere l’accusa; il p.m. è tenuto chiedere l’archiviazione quando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non consentono una ragionevole previsione di condanna. A questo si accompagna un più incisivo controllo del giudice anche sui tempi delle indagini preliminari: già oggi circa il 40 per cento delle prescrizioni avviene nella fase delle indagini preliminari. Inoltre le sanzioni alternative (semilibertà, detenzione domiciliare) saranno irrogate direttamente dal giudice del dibattimento mentre oggi sono di competenza del giudice di sorveglianza, con duplicazione del procedimento e passaggio in carcere del condannato.
E’ infine esperienza comune la diversa “redditività” degli uffici giudiziari. A parità di normativa, abbiamo efficienze molto diverse sul territorio nazionale. La riforma istituisce un comitato tecnico scientifico per il monitoraggio della efficienza della giustizia penale che dovrà rilevare i punti di inefficienza, verificarne le cause e intervenire con i rimedi più adeguati.