Se si pensa allo scarso rilievo che l’opinione pubblica assegnava un tempo alle questioni europee – al di là del grande momento dell’Euro – oggi i federalisti non possono che essere soddisfatti. Temi istituzionali fino a qualche anno fa riservati agli esperti sono diventati oggetto di analisi e di discussione: pensiamo alla recente questione della sentenza della Corte costituzionale polacca sul primato delle norme comunitarie. Quanto succede a Bruxelles e nelle capitali dei paesi membri è ora sotto la lente dei mass media. Che riportino in dettaglio e con precisione i vari problemi è un altro conto, ma il soffitto di cristallo della incomunicabilità è stato infranto. Lo stesso discorso vale, e ancora di più, per quanto riguarda le dinamiche delle forze politiche.

In Italia, l’allineamento o meno a sostegno della nuova presidente della Commissione ha segnato uno spartiacque nella politica italiana, due anni fa. La scelta pro-europea dei 5Stelle ha sancito la rottura dell’alleanza giallo-verde e consentito un avvicinamento dei pentastellati al centro-sinistra. In sostanza l’adesione al mainstream filo-Unione è valso come viatico per far rientrare nell’alveo sistemico  un partito nato su posizioni ipercritiche, se non proprio euroscettiche , nei confronti dell’UE.

Oggi l’atteggiamento della Lega e di Fratelli d’Italia è sotto i riflettori proprio per la loro adesione a gruppi politici nei Parlamento Europeo che esprimono posizioni euroscettiche – hard o soft – a seconda dei momenti e la loro irriconciliabilità alle scelte espresse dai gruppi di maggioranza. Alcuni esponenti della Lega hanno sottolineato come senza un diverso posizionamento verso l’UE un governo a guida leghista non potrebbe resistere alle pressioni esterne. E per questo hanno incominciato a tessere legami con esponenti del PPE in vista di un futuro approdo in quel gruppo. Ad ora tutto ciò sembra un futuribile lontano perché la guida di Matteo Salvini è piuttosto orientata a mantenere solidi rapporti con il gruppi sovrnanisti attestata recentemente dalla vicinanza con la Fidez di Vicktor Orban ribadita proprio dopo l’uscita di questa formazione dal PPE.  Al contrario, l’alleato storico Silvio Berlusconi negli ultimi ha messo in un cassetto le tradizionali accuse nei confronti dell’Unione, come le feroci invettive contro l’Euro, definito polemicamente, a fini di competizione politica interna, “l’Euro di Prodi”. Che sia strumentale, nella speranza che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo accetti le richieste di una revisione del suo processo per frode fiscale, o meno, fatto sta che Forza Italia si è allineata docilmente al mainstream filo-europeo tanto da riuscire ad eleggere un suo esponente alla presidenza del Parlamento Europeo. E proprio grazie a questa scelta, pur in una fase di consensi declinanti, ha potuto guadagnare un ruolo politico nel nuovo governo di Mario Draghi.  

L’altro partito del centro-destra, Fratelli d’Italia, ha una posizione ancora diversa rispetto agli altri partner della colazione. Ovviamente non è diventato filo-europeo come l’ultimo Berlusconi, ma ha calibrato le proprie, tradizionali, pulsioni anti-europee. Differentemente dalla Lega non aderisce al gruppo di Identità e Democrazia,  bensì a quello dei Conservatori e Riformisti (ECR) alla cui presidenza è recentemente acceduta la leader di FdI, Giorgia Meloni. Pur essendo l’ECR un gruppo con molte componenti euroscettiche e sovraniste – in primis, il PiS polacco - Meloni ha posto l’accento, negli ultimi tempi, su una sua visione più euro-critica che euro-scettica. Ha infatti dichiarato la piena accettazione dell’Unione esprimendo “soltanto” critiche per il suo funzionamento e non più sul famigerato dominio di Bruxelles sui popoli europei.  Questo riconoscimento della importanza e validità dell’Unione non è comunque sostenuto da una narrazione coerente: proprio sulla recente questione della sentenza della Corte costituzionale polacca Meloni ha sposato la causa sovranista in contraddizione con le sue precedenti aperture. Per questo motivo anche FdI , come la Lega, va considerato “unfit to govern”, in quanto metterebbe in tensione i nostri rapporti con le istituzioni comunitarie ,con gli inevitabili, negativi, contraccolpi.

La collocazione dei partiti italiani a Strasburgo, e le loro posizioni in merito alle varie issues della politica comunitaria, sono diventate una cartina di tornasole della loro affidabilità internazionale. Mentre il PD è stato sempre il riferimento più sicuro per l’UE, indipendentemente dalle sue, pur molto diverse, leadership, gli altri partiti hanno avuto chi oscillazioni assai ampie – Forza Italia e M5s – prima di accedere ad una visione filo-europea, chi un atteggiamento  tra l’ipercritico e l’ostile.  Il fatto che la politica italiana si dipani in relazione alle scelte europee dei partiti nazionali indica quanto importante sia per l’ambito domestico la dimensione sovranazionale.

 

  

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