Ripercorriamo il difficile cammino dell’Ucraina: dalla nascita al giorno dell’invasione russa.
Anni ’90: la nascita dell’Ucraina e i primi passi
Con l’adozione dell’Atto d’Indipendenza nel 1991 nasce la Repubblica Ucraina dalla dissoluzione dell’URSS. Con un meeting a Brest in Bielorussia, Ucraina, Bielorussia e Russia dichiarano la dissoluzione dell’URSS e la nascita della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI). Leonid Kravčuk primo presidente Ucraino.
Rimangono tensioni con la Russia sul tema degli armamenti nucleari e la flotta del Mar Nero ancorata a Sebastopoli e i rapporti Ucraina-NATO. Profonda crisi economica. Kravčuk fu sconfitto nel 1994 da Leonid Kučma, riformatore filo-russo rieletto poi nel 1999.
Anni 2000-2013: l’Ucraina nell’instabilità politica cerca una sua strada tra Occidente e Oriente
Nel 2000 venne formato un governo riformista con a capo Viktor Juščenko. Nell'aprile 2001 la maggioranza parlamentare si dissolse e il Primo ministro Viktor Juščenko venne destituito, dando inizio a un periodo di instabilità. Dopo il breve mandato di Anatolij Kinakh, dal 21 novembre 2002 viene nominato primo ministro Viktor Janukovyč, filo-russo.
Nel 2004 risulta vincitore alle presidenziali Viktor Juščenko, filo-occidentale. Sale al potere dopo contestate elezioni e la cosiddetta rivoluzione arancione sostenuta da Stati Uniti e Unione europea. Per reazione, Gazprom aumenta la tariffa del gas all'Ucraina: questa pratica seguirà negli inverni successivi come strumento di pressione nei confronti dell’Ucraina e dell’Unione Europea.
Tra il 2006 e il 2010 continuano le tensioni politiche e si approfondisce la polarizzazione politica tra sostenitori filo-russi (Partito delle Regioni di Janukovyč) e filo-occidentali (la coalizione arancione tra il Blocco Elettorale Julija Tymošenko di Julija Tymošenko e il Blocco Nostra Ucraina-Autodifesa Popolare di Juščenko). Le sempre maggiori tensioni innescate dalla Russia sulla comunità russofona dell'Est dell'Ucraina e fatti gravi quali l'avvelenamento del premier Viktor Juščenko che rimarrà sfigurato, con tutta una serie di attacchi personali alla coalizione, segneranno la fine dell'esperienza arancione.
Nel 2010 Viktor Janukovyč vince le elezioni presidenziali. Nel 2011 la Tymošenko venne coinvolta in un procedimento penale per malversazione di fondi pubblici e condannata a sette anni di reclusione per abuso d'ufficio. La Corte Europea dei diritti dell'uomo decreta "illegale" la detenzione della Tymošenko nel 2013.
2014: l’anno della svolta. La rivolta di Maidan, l’annessione della Crimea e le rivolte nelle regioni orientali.
Nel corso del 2013 iniziano così forti proteste pro-europee contro il filo-russo Janukovyč, che esplodono a novembre quando il governo sospende l’accordo di associazione tra l'Ucraina e l'Unione europea: è la rivolta di Maidan, dove a seguito di feroci e violenti scontri con feriti e morti, culminati con stragi nei giorni 18-19-20 febbraio, il presidente Janukovyč scappa via da Kiev il 22 febbraio. Il Parlamento si riunisce ed elegge Oleksandr Turčynov quale nuovo Presidente. Nella stessa giornata avviene la scarcerazione di Julija Tymošenko. La rivolta di Maidan segna il definitivo allineamento politico dell’Ucraina verso l’Unione Europea e in generale occidentale.
Il 26 febbraio militari russi senza insegne prendono il controllo della penisola di Crimea e installano una leadership filorussa in Crimea che dichiara unilateralmente l'indipendenza l'11 marzo 2014 ed organizza un referendum sull'autodeterminazione il 16 marzo, a seguito del quale la penisola viene annessa alla Russia tramite un trattato firmato due giorni dopo. Da quel momento Stati Uniti ed UE approvano pacchetti di sanzioni economiche sempre più consistenti nei confronti di individui, imprese private e statali russe e restrizioni al commercio la cui fine è stata posticipata fino ai giorni nostri.
Il 6 aprile 2014 inizia la cosiddetta guerra del Donbass o rivolta dell'Ucraina orientale quando manifestanti armati si sono impadroniti di palazzi governativi dell'Ucraina orientale. Inizia una guerra civile dove le forze separatiste, appoggiate da elementi paramilitari russi, combattono contro l’esercito ucraino. Le violenze si fermano il 5 settembre (per poi riprendere a bassa intensità gli anni a seguire) dopo colloqui di pace a Minsk sotto gli auspici del OSCE. Con la firma di una tregua tra Ucraina, Russia e le due autoproclamate Repubbliche separatiste e che porterà alla firma degli Accordi di Minsk, dove si concede autonomia territoriale alle repubbliche separatiste ma nessuna indipendenza. Il cessate al fuoco permane fino alla fine del 2021 anche se sono segnalate continue violazioni. Si segnala la grave interruzione delle relazioni commerciali.
Nel 2015, gli USA decidono il posizionamento di armi pesanti nei Paesi dell’Europa orientale al quale risponde la Russia con nuove batterie di missili intercontinentali. Si alza la tensione tra Ucraina e Russia con la reciproca interdizione dello spazio aereo. In dicembre salta l’intesa tripartita tra Unione europea, Ucraina e Russia, collegata alle conseguenze dell'accordo di libero scambio UE-Ucraina previsto in vigore dal 1° gennaio 2016. Si inaspriscono così le sanzioni economiche reciproche.
Dal 2017-2020 la situazione rimane sospesa, salvo incidenti sporadici tre le parti. La pandemia ferma il conflitto così come l’attenzione internazionale sulla soluzione della crisi. Intanto Zelenskyy viene eletto presidente dell'Ucraina il 21 aprile 2019, con il 73% dei voti, e grazie ad una campagna lampo di soli quattro mesi realizzata quasi interamente on line, con un partito appena composto. Vince con un programma filoeuropeista volto a portare l’Ucraina all’adesione alla NATO e all’Unione Europea. Tuttavia durante il suo governo, attacca l’opposizione e crea i presupposti per un governo dai chiari accenti autoritari e nazionalisti. In questo periodo avvengono trasferimenti importanti di forniture militari da parte USA, paesi europei e Turchia a favore delle forze militari ucraine.
2021-2022: dall’escalation delle tensioni fino all’invasione russa.
Da fine marzo 2021 l’esercito russo sposta grandi quantità di uomini e mezzi ai confini con l’Ucraina e interdice zone del Mar Nero alla navigazione per esercitazioni militari. Ad aprile gli USA segnalano all’UE il rischio di invasione Russia dell’Ucraina.
In novembre 2021, la NATO condanna la concentrazione militare lungo il confine e chiede un ritiro. Il diniego russo è motivato dalla preoccupazione del dispiegamento di qualsiasi sistema missilistico da parte NATO in Ucraina in grado di colpire la Russia.
In dicembre Blinken, segretario di stato americano, sostiene in un meeting NATO di avere le prove di piani russi per l’invasione. Il 7 dicembre Biden e Putin dialogano in videoconferenza dove Putin chiede garanzie giuridiche affidabili che impediscano alla NATO di espandersi verso la Russia. Il 15 dicembre la Russia consegna agli Stati Uniti i suoi progetti di Trattati sulle garanzie di sicurezza dove si chiede l’impegno a non schierare truppe negli ex-stati sovietici non membri NATO. La risposta USA è un diniego e la minaccia di dure sanzioni economiche in caso di attacco all’Ucraina, in accordo con gli alleati europei.
Si tengono meeting nei vari organismi internazionali e istituzioni europee dove si condanna l’escalation militare e si invita al dialogo la Russia. Il Parlamento europeo esorta in una risoluzione a ridurre la dipendenza dal gas russo e sospendere l’operatività del North Stream 2: la ministra tedesca Baerbock dichiara che solo in caso di invasione dell’Ucraina Berlino avrebbe appoggiato la sospensione dell’operatività del gasdotto. Gli USA approvano un ulteriore pacchetto di aiuti di forniture militari pesanti a favore dell’esercito ucraino.
In gennaio 2022 si svolgono diversi meeting internazionali tra la Russia e gli USA per favorire la soluzione diplomatica, mentre i Paesi NATO aumentano le forniture militari verso l’Ucraina. Gli USA precisano la portata delle sanzioni in caso di attacco anche se vi sono i primi segnali di divergenze nel campo occidentale: Berlino rifiuta di inviare armi all’Ucraina mentre Parigi avvia un canale diplomatico con Mosca. Il 26 gennaio gli USA forniscono una risposta ufficiale alla richiesta russa del 15 dicembre 2021: richiesta respinta.
Si segnalano videoconferenze tra delegazioni del governo russo e gruppi di imprese italiane e tedesche dove si ventila la minaccia dell’aumento della bolletta energetica in caso di peggioramento delle relazioni bilaterali.
Nel frattempo alle Nazioni Unite ogni possibilità di dialogo e risoluzione della crisi è bloccata dal veto russo nel Consiglio di Sicurezza.
In febbraio aumentano i tentativi europei di tenere aperto il dialogo tra Russia e USA per risolvere la crisi: Draghi, Scholz e Macron, hanno incontri fisici o virtuali con Biden e Putin nel tentativo di fermare l’escalation militare. Il 4 febbraio Putin si reca a Pechino per l’inaugurazione dei Giochi olimpici invernali e incontrare Xi Jinping riaffermando così la vicinanza e convergenza di interessi tra i due Paesi.
Il 15 febbraio sembra che il pericolo di invasione sia scongiurato dopo l’annuncio russo della fine di esercitazioni militari e il ritiro di alcune truppe, ma la situazione precipita quando la Duma chiede ufficialmente l’ingresso delle Repubbliche separatiste ucraine nella Federazione Russa.
Il 17 febbraio la Russia consegna la risposta alla lettera statunitense e della NATO alle richieste di sicurezza russe dove Putin esprime insoddisfazione. Il Cremlino espelle il Vice-Ambasciatore americano in Russia. Il 18 febbraio nelle Repubbliche di Donetsk e Lugansk viene ordinata l’evacuazione di tutti i cittadini dalla regione.
Il 21 febbraio Putin insieme ai membri del gabinetto russo decide in diretta televisiva il riconoscimento delle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk e con un lungo discorso alla nazione firmando il documento in diretta nazionale, accusa l’Ucraina di sviluppare armi nucleari con la vecchia tecnologia sovietica di cui sarebbe ancora in possesso e di progettare un'offensiva in Crimea e afferma che l'Ucraina non è un entità nazionale fondata su un passato storico autonomo ma una «creazione di Lenin». La stessa notte Putin ordina l’entrata delle forze russe nelle regioni separatiste.
Il 22 febbraio Putin avanza una richiesta prima alla Duma di Stato e successivamente all’Assemblea Federale per avere i pieni poteri di effettuare operazioni militari all’estero, e li ottiene. Alle 4 del mattino del 24 febbraio 2022 Putin annuncia l'operazione militare in territorio ucraino motivata dall’obiettivo di neutralizzare potenziali pericoli alla sicurezza dei territori del Donbass. Immediati la condanna delle cancellerie e dei governi dei Paesi occidentali e l’annuncio di imposizione di nuove sanzioni economiche.