Negli ultimi mesi molti articoli hanno trattato i venti anni della moneta unica, come se il suo inizio coincidesse con l’avvio della circolazione fisica dell’euro. Ma è nata il 1° gennaio 1999, quando il cambio tra le vecchie monete nazionali e l’euro - la media dei cambi dei tre anni precedenti - è divenuto irreversibile, e sui mercati si è potuto scambiare solo euro. I nostri stipendi, conti correnti, mutui da quel momento in poi erano in euro. Nei Paesi aderenti circolavano diverse frazioni dell’euro sotto forma di vecchie banconote e monete nazionali sulla base di quel cambio irreversibile. 

Questa discrepanza tra la realtà e la percezione della nascita dell’euro è causa di molte incomprensioni. L'aumento dei prezzi del 2002 è stato attribuito alla moneta unica ma in realtà fu il risultato dell'impennata del prezzo dell’energia dopo l'attacco alle Torri gemelle dell'11 settembre 2001. Il greggio aumentò da 18 fino a 144 dollari al barile, per poi stabilizzarsi intorno ai 100 dollari (attualmente è intorno ai 95). Ovviamente ciò ha comportato un aumento dei costi di produzione e trasporto e quindi dei prezzi di tutti i beni. Eppure non abbiamo l'espressione "shock petrolifero" per indicare questo periodo. Perché il petrolio si paga in dollari. Il 1° gennaio 1999, l'euro valeva 1,16 dollari e si è svalutato, favorendo le esportazioni europee, fino ad un minimo intorno a 0,70 dollari. Quando il greggio ha iniziato a salire, l’euro si è apprezzato, fino a 1,45 dollari, cioè praticamente raddoppiando il suo valore e assorbendo buona parte dello shock petrolifero. In sostanza l'euro ci ha salvato dallo shock petrolifero, ma ne è rimasto vittima nella percezione sociale a causa della concomitanza tra l’avvio della circolazione fisica dell’euro e l’avvio della fase di aumento del prezzo del petrolio.

In Italia ciò fu acuito dal fatto che il cambio non venne osservato, per una scelta politica del centro-destra, che avendo vinto le elezioni del 2001 tra i suoi primi atti al governo abolì l'obbligo del doppio prezzo per sei mesi e gli osservatori sul change over (il passaggio della circolazione fisica dalla lira all’euro) che erano già stati creati sul territorio. Il centro-destra smantellò gli strumenti di controllo predisposti dai governi precedenti e non applicò le indicazioni dell'UE. In pratica Forza Italia, Lega e Alleanza Nazionale decisero di usare il change over per realizzare una massiccia redistribuzione del reddito nazionale dai percettori di redditi fissi (lavoratori dipendenti e pensionati) verso chi poteva cambiare liberamente i propri prezzi e tariffe, ovvero commercianti‎, categorie produttive, partite iva, che consideravano la loro base elettorale. 

Per l’Italia l’euro è stato un enorme beneficio. Quando nel dicembre del 1997 furono decisi‎ i Paesi ammessi alla terza fase dell'Unione Economica e Monetaria, tra cui l'Italia, i tassi di interesse sui debiti pubblici iniziarono a convergere rapidamente. In pochi mesi lo spread scese di circa 400 punti. Il risparmio fu tale che il governo Prodi poté restituire l’80% della “Tassa per l’Europa” messa una tantum per entrare nella moneta unica. Da allora fino alla crisi del 2008 l’Italia ha risparmiato quattro punti percentuali di interessi l’anno sul debito pubblico italiano, che era circa il 120% del PIL. Mantenendo le tasse e le spese com'erano, senza fare nulla, senza rigore o austerity, il debito sarebbe sceso di quasi 5 punti percentuali l'anno, come in Belgio, che entrato nell'euro con un debito del 120% del PIL nel 1997, alla vigilia della crisi nel 2007 l'aveva ridotto all'87%. In Italia invece i governi Berlusconi dal 1994 al 2011 aumentarono la spesa corrente riducendo l'avanzo primario, obbligando il centro-sinistra nei brevi periodi al governo a risanare i bilanci pubblici per evitare contraccolpi sui mercati. Con il secondo governo Prodi il debito era sceso al 104% e lo spread a 34 punti! In pratica l'Italia pagava di interessi sul debito solo lo 0,34% in più della Germania, che aveva un debito molto più basso. In tre anni di centro-destra al governo, con la maggioranza più ampia della storia della Repubblica e in grado di legiferare come voleva, nel 2011 il debito è risalito al 116% e lo spread a 565, cioè pagavamo 5,65% più della Germania di interessi, andando a rischio default. Per non prendersi la responsabilità delle misure di risanamento necessarie Berlusconi preferì dimettersi lasciando l'ingrato compito al Governo Monti. Monti non solo dovette approvare di corsa una serie di misure lacrime e sangue, per sistemare i conti, ma fu anche costretto a cambiarle in corso d'opera a danno dei ceti popolari, per poter avere il voto in Parlamento del Popolo delle Libertà, il gruppo più numeroso a sostegno del suo governo. 

I tassi bassi favorirono un boom degli investimenti intra-europei e portarono crescita e occupazione. Per la prima volta dopo trent’anni nei primi dieci anni dell'euro il mercato europeo ha prodotto più posti di lavoro di quello americano. Inoltre i tassi bassi e la moneta stabile hanno permesso a moltissimi italiani - in precedenza abituati a tassi di interesse molto più elevati - di acquistare casa‎ grazie a mutui improvvisamente molto più convenienti e stabili che in passato. Mercato unico e moneta unica obbligavano a competere su un piano di parità, attraverso l'efficienza dei sistemi-Paesi e l'innovazione di prodotto e di processo, senza la scorciatoia della svalutazione, che avvantaggia gli esportatori e impoverisce cittadini e risparmiatori. Era l'iscrizione alla gara e ora bisognava iniziare a correre, come inutilmente predicò Ciampi dal Quirinale. Ma nel centro-destra e in gran parte del Paese l’ingresso nella moneta unica fu percepito come l'aver vinto la gara. E ci sedemmo, stanchi e soddisfatti, cogliendo i primi frutti dell'euro: i vantaggi dei tassi bassi. 

Da allora risultano cruciali le riforme strutturali per la competitività dell’economia. Quelle che rilanciarono la Germania, che entrò nell’euro come “il grande malato d’Europa”. Perché l’unione monetaria è stata il frutto di un percorso che è consistito nella risposta europea a due grandi shock esterni. Il primo fu l’inconvertibilità del Dollaro in oro nel 1971 – che ha reso possibile lo shock petrolifero del 1973 e portato alla finanziarizzazione dell’economia. La risposta europea fu l’avvio della cooperazione e poi dell’integrazione monetaria con l’ECU e poi il Sistema Monetario Europeo. Il secondo fu la caduta dell’URSS e del Muro di Berlino del 1989 e la prospettiva della riunificazione tedesca. Per accettarla gli europei chiesero alla Germania di rinunciare alla propria sovranità monetaria, al marco, che era la moneta dominante in Europa. Quando la Bundesbank tedesca cambiava i tassi di interesse, le altre banche centrali nazionali seguivano a ruota. L’unico Paese europeo sovrano sul piano monetario era la Germania. L'euro fu l’europeizzazione del marco al fine di garantire che la Germania riunificata ‎non avrebbe comportato un'Europa tedesca ma una Germania europea. I benefici di una moneta stabile, bassa inflazione e bassi tassi, che erano stati alla base del successo economico tedesco venivano condivisi con gli altri europei. 

L’euro, come ogni moneta, è un’istituzione, riflesso della creazione di una piena sovranità europea in ambito monetario, affidata alla Banca Centrale Europea. Per far funzionare un’unione monetaria è indispensabile anche una qualche forma di condivisione della sovranità economica e fiscale. La soluzione più logica ed efficace sarebbe stata la creazione di un governo europeo dell’economia dotato di poteri fiscali. Ma la Francia si oppose e si scelse quindi la via dei parametri di convergenza, poi il Patto di stabilità e crescita: ovvero di fissare delle regole europee sulle politiche fiscali che avrebbero segnato i confini ed i limiti entro i quali si sarebbe potuta esercitare la sovranità fiscale nazionale, in modo che non mettesse a rischio la moneta unica e quindi i risparmi e i redditi di tutti. Ai tempi del Trattato di Maastricht si pensava che l’insostenibilità di un’unione monetaria senza un’unione economica e fiscale avrebbe spinto a procedere rapidamente verso l’unione politica. Ma i primi dieci anni dell’euro sono stati un tale successo da illudere sulla sua sostenibilità e da far perdere quella consapevolezza.

Con la crisi finanziaria del 2008 la convergenza economica si è deteriorata, favorendo quella del debito sovrano. L’assenza di una capacità fiscale europea - e quindi di strumenti per la stabilizzazione macro-economica, per affrontare crisi asimmetriche e per mettere in campo una politica economica anti-crisi – è stata evidente. Il blueprint della Commissione del 2011, il Rapporto dei Quattro Presidenti delle istituzioni europee del 2012, quello dei Cinque Presidenti (includendo stavolta anche il Parlamento europeo) del 2015, e le successive proposte della Commissione Juncker indicano che senza l’unione bancaria, fiscale, economica e politica la moneta unica nel lungo periodo non può funzionare. Ma solo la pandemia ha permesso di coagulare la volontà politica per un debito comune e i primi passi verso una fiscalità europea legati al Next Generation EU.

Purtroppo manca una consapevolezza diffusa del significato storico dell'euro dal punto di vista politico ed economico. Così in Italia abbiamo avuto surreali discussioni su un'eventuale uscita dall’euro o dall’UE, nonostante le immagini dei pensionati greci in lacrime - impossibilitati a ritirare i propri soldi dalle banche quando c’è stato il rischio di un’uscita della Grecia - dovrebbero essere ancora fresche nella mente di tutti. Dovremmo invece concentrarci sul come completare l’UE, sul come costruire accanto alla sovranità monetaria, anche quella in materia di politiche economica, fiscale, energetica, estera, della sicurezza e della difesa, cioè l’unione politica. Le crisi di questi anni e di questi giorni mostrano l’urgenza della Federazione europea.

 

  

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