Sintesi dell’intervento tenuto al XXX Congresso del Movimento Federalista Europeo (Vicenza, 22-24 ottobre 2021)

La priorità della lotta per la federazione europea, il superamento dell’internazionalismo, i governi come strumenti e ostacoli dell’unificazione europea, la necessità di una forza politica federalista autonoma.

I principi-guida dell’azione del MFE possono essere schematicamente riassunti in due tesi: la priorità della lotta per la federazione europea rispetto alle lotte per le riforme interne agli stati nazionali e la percezione dei governi democratici nazionali come strumenti e, allo stesso tempo, ostacoli rispetto alla realizzazione della federazione europea.

La prima tesi significa il superamento dell’internazionalismo, cioè della tendenza, comune alle fondamentali ideologie universalistiche di matrice illuministica (il liberalismo, la democrazia e il socialismo, che costituiscono il sostrato ideologico degli stati democratici di tipo occidentale),  a concepire l’eliminazione della violenza sul piano internazionale e, quindi, la collaborazione internazionale e in definitiva l’unificazione pacifica fra le nazioni come conseguenze pressoché automatiche della piena trasformazione interna degli stati nazionali in direzione della libertà, della democrazia e della giustizia sociale. A questo orientamento il MFE, portando a conclusione una linea di riflessione avviata dai padri della costituzione federale americana (e in particolare da Alexander Hamilton) e da Immanuel Kant e sviluppata nel XX secolo soprattutto dalla scuola federalista inglese (in particolare da Lord Lothian, Lionel Robbins e Barbara Wootton) e da Luigi Einaudi in Italia, contrappone la convinzione che solo con il superamento, tramite il federalismo, dell’anarchia internazionale fondata sulla sovranità statale assoluta sarà possibile realizzare la duratura cooperazione pacifica fra le nazioni. E si precisa, che se la sovranità statale assoluta costituisce in generale la causa strutturale delle guerre e degli imperialismi, questi fenomeni che hanno sempre accompagnato la storia del sistema europeo degli stati si sono esasperati nella prima metà del XX secolo a causa della crisi storica degli stati nazionali. Con ciò si intende il fatto che alla crescente interdipendenza fra gli stati nazionali, prodotta dalla rivoluzione industriale, si contrappone l’impossibilità strutturale di governare in modo pacifico la loro interdipendenza, a causa della sovranità assoluta.

Questa contraddizione ha dapprima prodotto l’esasperazione della conflittualità internazionale e delle spinte espansionistiche e causato, quindi, le guerre mondiali, che appaiono ad una visione approfondita come tentativi di unificazione egemonica dell’Europa. Dopo che si sono esperimentate in modo catastrofico, con il crollo del sistema europeo degli stati, le conseguenze della sovranità statale assoluta nell’epoca dell’interdipendenza, si è aperta la strada all’unificazione pacifica dell’Europa. Poiché, d’altra parte l’interdipendenza indotta dalla rivoluzione industriale è destinata ad estendersi progressivamente fino a coinvolgere ogni parte del mondo, l’unificazione federale europea è sempre apparsa al MFE come una tappa storica fondamentale verso l’unificazione mondiale, intesa come una federazione di grandi federazioni di dimensioni continentali o subcontinentali.

Su queste considerazioni si fonda la convinzione del MFE che le riforme interne agli stati nazionali sono destinate ad essere impossibili o comunque precarie al di fuori di un processo di unificazione europea in direzione federale e viene di conseguenza individuata - fin dal Manifesto di Ventotene - una nuova linea divisoria fra le forze del progresso e quelle della conservazione.

Le considerazioni sulla priorità della lotta per la federazione europea sono integrate da un discorso sugli aspetti strategico-organizzativi di questa lotta, fondato, come si è detto, sulla tesi dei governi democratici come strumenti e ostacoli rispetto all’unificazione europea. Essi sono strumenti sia nel senso che la federazione europea può essere realizzata solo sulla base di libere decisioni dei governi democratici (essendo esclusa per principio qualsiasi forma di unificazione egemonico-imperiale), sia nel senso che la situazione storica di crisi strutturale e di impotenza degli stati nazionali spinge obiettivamente i governi ad attuare politiche di unificazione europea. Essi sono nello stesso tempo ostacoli perché i detentori del potere nazionale, anche nel quadro di sistemi democratici, sono spinti oggettivamente - in conformità alla legge dell’autoconservazione del potere già chiarita da Machiavelli nel capitolo sesto del Principe - a ostacolare il trasferimento irreversibile di una parte sostanziale di tale potere a un sistema sopranazionale sovrano.

Dall’esistenza di questo atteggiamento strutturalmente contraddittorio, e articolato come si è visto, dei governi democratici nazionali di fronte al problema dell’unificazione europea derivano delle implicazioni fondamentali per la lotta federalista.

La condizione imprescindibile dello sviluppo di una lotta efficace per la federazione europea è la formazione di una forza politica federalista autonoma dai governi e dai partiti nazionali in grado di spingerli a compiere le scelte in direzione dell’unificazione federale che essi spontaneamente non sono in grado di compiere. Il principio dell’autonomia federalista, chiaramente indicato nel Manifesto di Ventotene è stato realizzato concretamente attraverso un processo laborioso. Un momento decisivo in questo processo è stata la decisione che la forza federalista deve assumere le forme di un movimento e non di un partito in lotta con gli altri partiti per la conquista del potere nazionale, perché il perseguimento dell’obiettivo della federazione europea richiede uno schieramento trasversale a tutte le forze politiche e agli ambienti economico-sociali che si riconoscono nel regime democratico e non schieramenti fondati sulle tradizionali dicotomie fra progresso e conservazione. L’altro momento decisivo della costruzione dell’autonomia federalista coincide con l’opera pratica e teorica svolta da Albertini allorché divenne il leader del MFE. L’impegno di Albertini a favore dell’autonomia federalista, che si è riallacciato a quello svolto da Spinelli, ma che è diventato molto più sistematico e consequenziario, si è concretizzato nella teorizzazione e nell’attuazione di tre principi fondamentali sul piano politico, organizzativo e finanziario.

Il primo principio, quello dell’autonomia politica, si è manifestato attraverso il rifiuto da parte del nucleo di militanti che hanno assicurato la direzione e la gestione del MFE di identificarsi con un qualsiasi partito nazionale. Questa scelta ha permesso, nei momenti opportuni, di instaurare utilissimi rapporti di collaborazione e di alleanza tattica con i partiti democratici salvaguardando allo stesso tempo pienamente l’indipendenza del MFE. Il secondo principio ha riguardato la formazione e la selezione dei militanti. Esse sono state guidate dall’esigenza di evitare i condizionamenti che sarebbero stati imposti al movimento da un apparato amministrativo pesante e costoso, dipendente perciò inevitabilmente, per la sua sopravvivenza, essenzialmente da finanziamenti esterni. Di conseguenza si è stabilito che tutti i militanti federalisti fossero militanti a mezzo tempo, con un lavoro in grado di garantire la loro indipendenza economica, pur consentendo loro di disporre di un sufficiente tempo libero da dedicare all’attività federalista. In tal modo si è potuta creare un'organizzazione poco costosa e, quindi, totalmente al riparo da qualsiasi tentativo di pressione o di ricatto da parte di qualunque forza politica o economica. Il terzo principio è infine quello dell’autonomia finanziaria e ha avuto come sua istituzione specifica l’autofinanziamento. Esso significa concretamente che i militanti reclutati da allora nel MFE hanno sempre saputo che il lavoro federalista non avrebbe mai procurato loro denaro, ma al contrario gliene sarebbe costato. Questa impostazione, che ha dall’inizio della leadership di Albertini costituito la base finanziaria dell’autonomia del MFE, non ha impedito che esso ricevesse anche finanziamenti esterni, ma essi sono stati usati soprattutto per finanziare azioni specifiche, mentre la struttura permanente dell’organizzazione ha sempre funzionato grazie alle sue “risorse proprie”, il che ha rappresentato una condizione ulteriore dell’impermeabilità a qualsiasi influenza esterna.

Al di là di tutto ciò, il fondamento basilare dell’autonomia politica, organizzativa e finanziaria del MFE, che Albertini è riuscito a realizzare come acquisizione permanente, è rappresentato dall’autonomia culturale. Solo una forte motivazione culturale (oltre ovviamente a quella morale), cioè la convinzione che la dottrina federalista abbia qualcosa di realmente nuovo da dire, in termini di valori e di comprensione della situazione storica, rispetto al pensiero politico dominante, può in effetti alimentare un impegno a lungo termine, spesso faticoso e difficile, e che rinuncia alle motivazioni del potere e del denaro, in un numero di militanti sufficiente per costituire una forza federalista autonoma in grado di incidere sulla realtà. Ebbene, Albertini ha svolto precisamente, assieme ai suoi allievi, un grandioso lavoro di approfondimento teorico del federalismo che ha fatto emergere questa motivazione ed ha altresì arricchito in modo molto rilevante il panorama del pensiero federalista.

 

  

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