“Eppure vinceremo noi”, scrisse Spinelli nel 1955, dopo la caduta della Comunità europea di difesa che sembrava aver seppellito ogni speranza di collaborazione tra stati. Con questo spirito, nei giorni 6-8 maggio, siamo a Strasburgo a chiedere la Federazione europea.
E’ interessante leggere l’analisi disincantata di Olivier Dupuis, pubblicata il 4 aprile da Linkiesta, sullo stato del processo di unificazione europea.
Dupuis sostiene con buoni argomenti che la spinta del motore franco-tedesco all’unificazione politica dell’Europa si sia esaurita con Helmut Kohl. La Francia ha poi lasciato cadere nel vuoto gli ultimi slanci tedeschi (proposta di Kohl per una mutualizzazione della forza di deterrenza nucleare della Francia; proposta Schäuble-Lamers del 1994 per un nucleo ristretto di paesi che fondasse l’unione politica; discorso di Joschka Fischer del 2000 per una Federazione europea). La Francia, ancora oggi preda del mito della grandeur - con poche differenze tra i presidenti che si sono avvicendati in questi ultimi anni - e la Germania stessa, reduce dal periodo merkeliano, sarebbero oggi confinate in una visione nazionale, senza un progetto per l’Europa, ma con la semplice intenzione di utilizzare le istituzioni sovranazionali create in questi decenni se ritenuto utile a sostenere la prospettiva di un rafforzamento nazionale. L’Europa va bene, se conviene in un certo momento per un dato obiettivo, senza intaccare i progetti del partner. Con l’uscita del Regno Unito, non resterebbero ostacoli a questa gestione a due della casa europea.
In questo contesto di finta unità europea, la Russia di Putin si sarebbe facilmente mossa per mobilitare e sostenere i nazionalisti europei. La reazione all’invasione dell’Ucraina sarebbe più che altro dovuta al lavoro della NATO su iniziativa americana, e al terrore di molti paesi dell’Europa orientale nei confronti dell’ingombrante vicino.
Dupuis sostiene che, al di là delle apparenze, Francia e Germania puntino a mantenere relazioni con l’aggressore più che a sostenere la parte aggredita, e non vedano di buon occhio la prospettiva dell’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea, che allenterebbe la presa del condominio franco-tedesco sull’Unione.
I presunti progressi nel campo della difesa, l’idea di un’indipendenza strategica europea, la bussola strategica di Josep Borrell sarebbero foglie di fico per nascondere l’immodificabilità dello status quo.
Queste critiche spietate non lasciano indifferenti coloro che stanno dedicando l’impegno politico di una vita al completamento del progetto politico disegnato dai padri fondatori. Siamo spacciati? La classe politica dei due principali Paesi europei ha già deciso che la Federazione europea non ci sarà mai?
Una prima osservazione è che sappiamo bene che gli Stati non sono solo strumento, ma anche ostacolo del processo di unificazione. Spinti alla collaborazione dalla necessità oggettiva di cooperare di fronte alle sfide del mondo globalizzato, hanno d’altra parte un fortissimo incentivo a mantenere una parvenza di sovranità nazionale, se non altro perché rispondono agli elettori di un solo Paese. L’atteggiamento che ne risulta è spesso ambiguo. Capita che i medesimi esponenti politici alternino interventi di incoraggiante visione a momenti in cui sembrano quasi ignorare la possibilità di fare politica in modo più efficace a livello europeo, se solo si trasferissero lì competenze e risorse adeguate.
La seconda osservazione è che le crisi ripetute e di crescente gravità che stiamo attraversando non lasceranno tranquilli coloro che pensano che l’Unione europea non debba progredire oltre. La battaglia tra federalismo e nazionalismo è in atto. Chi si schiera per il businness as usual, fa il gioco di Orban, Salvini, Meloni, Le Pen... Per i tiepidi europeisti come il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel, che ha difeso apertamente il voto all’unanimità, sta arrivando il giorno in cui la crisi porrà l’alternativa secca tra fare la rivoluzione pacifica o essere invece responsabili, alla pari dei nazionalisti, della rovina dell’Europa.
La terza osservazione è che la leadership occasionale può scompigliare le carte. Non era certamente nei piani della Germania che la Banca Centrale Europea attuasse politiche non allineate all’ortodossia della Bundesbank, ma l’opera di Mario Draghi ha reso la BCE – come è giusto che sia - realmente indipendente, come è previsto dallo statuto della Banca che i tedeschi stessi hanno modellato nel momento in cui hanno deciso in modo lungimirante di rinunciare al marco.
Ora Draghi è per un altro anno a capo del governo italiano, ed ha chiara la questione, per fare un esempio, che di fronte alla vastità dei problemi che vanno affrontati i bilanci nazionali non sono adeguati.
Emmanuel Macron è stato rieletto Presidente della Repubblica francese. Diversamente da Dupuis, non crediamo che Hollande, Sarkozy e Macron siano la stessa cosa. Macron è l’esponente politico che in questi anni, dal famoso discorso della Sorbona del 2017 alla Lettera ai cittadini europei del 2019 contenente la proposta, ora realizzata, di tenere una Conferenza sul futuro dell’Europa, ha delineato i contorni di un’Europa sovrana, unita e democratica. In accordo con Angela Merkel, ha dato via libera all’emissione di debito pubblico europeo garantito dal bilancio europeo per finanziare il piano NextGenerationEU lanciato dall’Unione europea nel 2020.
Tutto questo è sufficiente? No. Draghi, Macron, e Scholz, che nel programma del suo governo di coalizione ha indicato l’obiettivo dello Stato federale europeo (anche questo, un espediente per dissimulare la volontà di lasciare tutto com’è?), hanno una finestra temporale di un anno, prima delle prossime elezioni in Italia. Questi leader possono lasciare un segno nella storia, oppure dimostrare di non essere all’altezza di De Gasperi, Schuman e Adenauer. Non avranno l’alibi di doversi concentrare su campagne elettorali nazionali.
La quarta osservazione è che i federalisti stanno mobilitando la parte più consapevole della società civile europea, per ottenere che la Conferenza sul futuro dell’Europa chieda la modifica dei Trattati europei per riformare le istituzioni, che sono imperfette e che nelle attuali condizioni non possono che riflettere la divisione europea. Spesso, anche gli osservatori più attenti quando criticano l’Europa che va in ordine sparso o chiedono che l’Europa si dimostri unita, non centrano il punto fondamentale: se non c’è un governo federale europeo indipendente negli ambiti di sua competenza dai governi nazionali, se non c’è un bilancio federale, e se il potere di veto rende impossibile decidere a maggioranza, l’Europa in ordine sparso è l’unico risultato possibile. Mentre negli USA il problema di un disaccordo sulla politica estera tra California e Florida non si pone nemmeno poiché la competenza è federale, l’Unione europea può al massimo dimostrare una momentanea concordanza ad esempio nella reazione all’invasione dell’Ucraina, ma fino a quando? L’Ungheria di Orban, nuovamente vittorioso alle elezioni, ha già rivendicato i suoi legami con Putin.
A pagina 4 e 5 pubblichiamo una sintesi (e su www.mfe.it si trova il Quaderno federalista completo) dell’importante lavoro svolto da un gruppo di giuristi del MFE per delineare le necessarie riforme istituzionali.
Il corso della storia non è scritto una volta per sempre e una minoranza organizzata può incidere. Altiero Spinelli e Jean Monnet non sono mai stati capi di governo, eppure con la loro azione, spesso solitaria, hanno indirizzato la storia europea. Spinelli ha scritto che nella sua vita politica ha subito sonore sconfitte. Più volte in questi decenni è sembrato che non ci fosse più niente da fare, ma la forza del progetto federalista è che esso rappresenta l’unica soluzione al problema posto dalla storia di dare un governo democratico a comunità sempre più ampie di individui nel rispetto delle diversità, in Europa e in prospettiva nel mondo. Per questo, anche quando viene momentaneamente sconfitto, si ripropone con rinnovata forza. Certo, non è detto che sarà realizzato - anche se siamo drammaticamente in ritardo - perché le grandi imprese non sempre vengono portate a compimento, ma dobbiamo agire ripetendoci la frase scritta da Spinelli: “Eppure vinceremo noi” nel 1955, dopo la caduta della Comunità europea di difesa che sembrava aver seppellito ogni speranza di collaborazione tra stati.
Con questo spirito, nei giorni 6-8 maggio, prima della riunione finale della Conferenza sul futuro dell’Europa, siamo a Strasburgo assieme a molti cittadini europei a chiedere la Federazione europea (www.strasbourgsummit.eu).