La rielezione di Emmanuel Macron all’Eliseo è una bella notizia per la Francia, per il futuro dell’Unione europea e per la stabilità dell’intero continente. Tuttavia, i risultati ottenuti dall’estrema destra devono risuonare come un campanello d’allarme, per stimolare l’avvio dei lavori costituenti per un’Europa sovrana, federale e democratica, a partire dalle proposte espresse dai cittadini nella Conferenza sul futuro dell’Europa.
La rielezione di Emmanuel Macron all’Eliseo è una bella notizia per la Francia, per il futuro dell’Unione europea e per la stabilità dell’intero continente. Tuttavia, i risultati ottenuti dall’estrema destra devono risuonare come un campanello d’allarme, per stimolare l’avvio dei lavori costituenti per un’Europa sovrana, federale e democratica, a partire dalle proposte espresse dai cittadini nella Conferenza sul futuro dell’Europa.
Il voto dello scorso 24 aprile ha visto scontrarsi due concezioni della società e della pratica di governo estremamente distanti tra loro, così come due visioni dell’Unione europea diametralmente opposte.
Da un lato il presidente uscente Emmanuel Macron (candidato con La République En Marche), ben noto per il suo attaccamento al progetto di integrazione europea, convinto che il futuro della Francia non possa essere che all’interno di un’Unione europea più forte e coesa. Con tutti i limiti del caso, l’Europa non è mai stata così presente nel dibattito pubblico francese ed in campagna elettorale, come dall’arrivo di Emmanuel Macron sulla scena politica. Sin dalla sua prima campagna elettorale si era distinto dagli altri candidati per l’attenzione verso l’Europa, e come noto, il presidente francese è stato promotore della Conferenza sul futuro dell’Europa, iniziativa poi portata avanti dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.
Dall’altro lato, Marine Le Pen, ex deputata europea, esponente di un partito storicamente “euroscettico” (Rassemblement National, già Front National), il cui programma, esplicitamente allineato a quello dei leader sovranisti di Ungheria e Polonia, propone di mettere fine al primato del diritto europeo sul diritto nazionale. Invece di evocare apertamente la “Frexit” come in passato, Marine Le Pen si concentra ora sul rifiuto di un’entità giuridica sovranazionale, e promuove la creazione di una “Europa delle nazioni”, che, sostanzialmente significherebbe disintegrare l’UE. Appoggiandosi alla teoria del “grand remplacement”, secondo cui il popolo francese rischierebbe di essere “sostituito da immigrati di cultura, lingua, religione e costumi diversi”, la candidata proponeva di riformare la costituzione per affermare la “priorità nazionale”, rendendo lecito discriminare i cittadini in base ad origine o religione, quindi calpestando il principio costituzionale di uguaglianza.
Se vedere Emmanuel Macron trionfante sulle note dell’Inno alla gioia la sera del 24 aprile ci ha fatto tirare un profondo sospiro di sollievo, l’aver sfiorato così da vicino la possibilità di una Presidente di estrema destra in uno dei paesi fondatori dell’UE è un fatto grave da non banalizzare. Infatti, nonostante le proiezioni dei sondaggi, via via più rassicuranti con l’avvicinarsi del voto, più che mai un’eventuale vittoria di Marine Le Pen è sembrata un’ipotesi verosimile.
Non soltanto è già la terza volta che l’estrema destra arriva al secondo turno delle presidenziali francesi, ma sono sempre di meno i voti che la separano dalla vittoria. Dal 32,2% nel 2017, lo scarto tra Marine Le Pen ed Emmanuel Macron si è ridotto quest’anno al 17,2%. Inoltre tra il 2017 e il 2022, il presidente in carica ha perso 2 milioni di voti mentre l’avversaria di estrema destra ne ha guadagnati 2,6 milioni. L’evoluzione è ancora più marcata se si guarda ai risultati del secondo turno delle presidenziali del 2002, in cui lo scarto tra il vincitore Jacques Chirac e il candidato dell’estrema destra Jean-Marie Le Pen, era del 64,4% .
In vista delle elezioni legislative del mese di giugno, è bene anche sottolineare la visione sovranista dell’Europa del candidato della sinistra anti-sistema (La France Insoumise) che per poco non è passato al secondo turno al posto di Marine Le Pen e che attualmente chiede di essere designato Primo Ministro per rappresentare la sinistra francese. Secondo il programma di Jean-Luc Mélenchon la Francia dovrebbe smettere di "applicare unilateralmente norme incompatibili con i nostri impegni ecologici e sociali come la direttiva sul distacco dei lavoratori, le regole di bilancio, le regole di concorrenza, la libera circolazione dei capitali" e sospendere “la sua partecipazione (opt out) ad alcuni programmi tra cui l’Europa della difesa”. Inoltre, il leader de La France Insoumise propone di riaffermare “la superiorità dei principi fondamentali sanciti dalla Costituzione della VI Repubblica sul diritto europeo", in mettendo così in discussione il primato del diritto europeo.
Infine, un altro fattore che dovrebbe far riflettere è la forte e crescente astensione registrata il 24 aprile, da attribuire principalmente alla parte più delusa dei sostenitori di Jean-Luc Mélenchon e ad altri elettori, talmente scontenti della politica del presidente uscente, da non recarsi alle urne esponendosi al rischio dell’estrema destra all’Eliseo. Un atteggiamento che denota una sorta di banalizzazione dell’ideologia apertamente xenofoba, razzista ed illiberale promossa da Marine Le Pen, fra l’altro proprio nelle settimane in cui sono sotto gli occhi di tutti le immagini dei massacri perpetrati in Ucraina dal suo alleato politico Vladimir Putin.
Questi risultati elettorali, e ciò che rappresentano per il futuro della democrazia e della pace nel nostro continente, devono suonare come un campanello d’allarme alle porte dei dirigenti politici europei, a partire dal neoeletto Presidente francese.
Emmanuel Macron, forse il più europeista dei presidenti francesi, a tal punto da venire spesso “accusato” di essere un federalista europeo dagli avversari politici transalpini, ha finora guardato al progetto europeo con pragmatismo, convinto che la potenza e la resilienza della Francia vadano di pari passo con quelle dell’UE. Tuttavia senza troppo sbilanciarsi riguardo alla possibilità di condividere la sovranità nelle materie "régaliennes" (come la politica estera e di difesa, la giustizia, il fisco, o la politica monetaria), che sono il fondamento di una comunità politica.
L’autonomia strategica e la solidarietà economica come strumento di resilienza alle crisi sono stati finora i motori delle scelte di Emmanuel Macron in campo europeo. Ne sono una conferma l’impulso francese alla mutualizzazione del debito per finanziare il piano di rilancio europeo ed il carattere prioritario attribuito all’innovazione tecnologica, all’eccellenza industriale, alla leadership in campo digitale, e alla volontà di avanzare verso una difesa europea. Senza evocare limiti alla sovranità nazionale, la via preferita dall’Eliseo sembrerebbe quella delle cooperazioni rafforzate, nelle materie in cui vi sia un nocciolo duro di paesi europei disposto ad avanzare.
Tuttavia per rispondere alle sfide della nostra epoca – clima, migrazioni, invecchiamento della popolazione, per citarne alcune – alle quali si aggiungono quelle economico-sociali scaturite dalla pandemia e poi dalla crisi energetica acuita dalla guerra in Ucraina, costruire uno Stato federale europeo rappresenta la soluzione pragmatica che permetterebbe all’Europa di acquisire autonomia strategica istituzionalizzando fra l’altro il principio di solidarietà economica. Gli stati da soli non possono apportare soluzioni a queste grandi crisi di natura transnazionale; uno stato federale europeo, invece, sarebbe in grado di rispondere in maniera efficace a tali sfide, riavvicinando i cittadini al progetto europeo. Infatti sono i cittadini stessi a chiedere di riformare l’UE in senso federale, lo dimostra anche il successo delle proposte federaliste sulla piattaforma online della Conferenza sul futuro dell’Europa.
E’ auspicabile che forte della vittoria elettorale, Emmanuel Macron decida di aprirsi a scelte coraggiose per l’avvenire dell’Europa. Magari ravvivando la tradizione della coppia franco-tedesca quale motore dell’integrazione europea, il capo dell’Eliseo potrebbe allinearsi all’impegno preso dal governo tedesco guidato da Olaf Scholz di convocare una Convenzione costituente in seguito alla Conferenza sul futuro dell’Europa per lo sviluppo di uno Stato federale europeo.
Per di più la Francia presiede il Consiglio dell’Unione europea proprio in questi mesi in cui si concludono i lavori della Conferenza sul futuro dell’Europa, tanto voluta dal presidente dell’Eliseo, che fra l’altro teneva ad essere in prima linea in questo momento cruciale. Così Emmanuel Macron ha l’opportunità di giocare un ruolo cruciale per superare il veto dei governi che si oppongono all’avvio di una Convenzione costituente per la creazione di un’Europa sovrana, federale e democratica.
Mentre ultimiamo i preparativi per la grande marcia per l’Europa che avrà luogo a Strasburgo il 7 maggio, ci auguriamo che l’esito delle legislative di giugno non porti ad una difficile coabitazione politica che possa frenare l’impulso europeista dell’Eliseo.