L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha spinto gli Stati potenzialmente minacciati dalla Russia a chiedere di aderire all’Unione europea (UE), e alcuni Stati dell’UE, Finlandia e Svezia, ad aderire alla NATO. Il ritorno della guerra in Europa pone la questione della difesa europea, dei confini e della natura dell’UE. Nella nuova fase l’allargamento richiede l’approfondimento, perché il successo dell’uno è legato all’altro e servono entrambi.

Il Consiglio europeo ha riconosciuto lo status di paesi candidati all'Ucraina e alla Moldavia e la prospettiva europea della Georgia, ma il processo di allargamento non sarà breve. Nel frattempo si impone la riforma dell'UE, già oggi paralizzata dalla regola dell'unanimità, ma il Consiglio europeo ha ignorato la richiesta del Parlamento di convocare una Convenzione di riforma dei Trattati. Eppure, a causa dell'invasione russa dell'Ucraina per molti decenni l’opinione pubblica ucraina sarà fortemente ostile alla Russia e disponibile a mettere il veto su qualunque dossier pur di averla vinta sulla posizione verso la Russia. Prima di completare l’allargamento è indispensabile superare l'unanimità in tutte le competenze dell’UE, inclusa la politica estera di sicurezza e di difesa, la fiscalità, il bilancio, ecc. per non essere più sottoposti ai ricatti, che in questi mesi - sulla tassa sulle multinazionali, sulle sanzioni alla Russia, sull’allargamento, ecc. – hanno mostrato i limiti dell'assetto istituzionale dell'UE.

Il tema dei confini dell'UE è inscindibile da quello dei suoi valori e delle sue strutture istituzionali e meccanismi decisionali. L’UE è un progetto di pace, e l’esserne membro è una garanzia di pace, stabilità, diritti e benessere. Dunque sempre più Stati vogliono farne parte. Ma tale garanzia è reale nella misura in cui l’UE funziona, cioè decide e agisce, fornendo tali beni pubblici. L’UE si deve allargare ma per farlo deve completare il processo di federalizzazione, trasformando la Commissione in un vero governo federale, superando unanimità nell'intero sistema decisionale, realizzando le riforme proposte dai cittadini nella Conferenza sul futuro dell'Europa (CoFoE) in termini di nuove competenze e poteri.

Il successo dell’UE dipende dall’essere la cristallizzazione giuridica del processo di unificazione politica o di federalizzazione dell’Europa - l’obiettivo indicato fin dalla Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950 che diede avvio alla prima Comunità - che ora va completato. L’UE già oggi assomiglia a una federazione più che a qualsiasi altra cosa, sebbene le manchino alcune caratteristiche essenziali per esserlo. Ha una struttura istituzionale che potrebbe funzionare in modo federale, con un legislativo bicamerale (composto dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’UE), la Corte di giustizia come giudiziario, la BCE come banca centrale. Manca di trasformare la Commissione in un vero governo federale responsabile di fronte al Parlamento e il Consiglio europeo in una presidenza collegiale, oltre a competenze e poteri federali in materia fiscale, di politica estera, di sicurezza e difesa, senza alcun potere di veto nazionale. Ciò è essenziale e urgente anche perché il revival della NATO come garanzia di sicurezza rischia di essere breve. Se alla presidenza tornasse Trump, che sostiene che l’indipendenza dei baltici non è affar suo, l’UE rimarrebbe l’unica garanzia di sicurezza. Che per essere efficace deve disporre di una vera difesa europea.

Il passaggio dalla confederazione alla federazione negli USA, in Svizzera e in Australia si è fatto mediante una riforma costituzionale che includeva una norma finale sulla propria ratifica che superava l’unanimità prevista nel testo precedente. La riforma è stata fatta in teoria per tutti, ma con la chiara scelta di andare avanti con chi ci stava, attraverso la nuova clausola sulla ratifica. Ciò è essenziale anche per l’UE. Di fronte alla guerra in Ucraina in cui tutti vogliono mantenere la massima unità – almeno formale – non c’è spazio per una riforma che all’inizio escluda qualcuno. È la ragione per cui il Consiglio europeo ha sostanzialmente messo da parte la proposta di una Comunità Politica Europea di Macron.

La palla è dunque nel campo del Parlamento, che dovrebbe predisporre gli emendamenti ai Trattati per implementare le proposte della CoFoE e completare il processo di federalizzazione, inclusa una norma transitoria e finale sulla propria ratifica. Allora il Consiglio europeo sarebbe obbligato a decidere – a maggioranza semplice – sulla convocazione di una nuova Convenzione.

La CoFoE ha proposto di istituire un referendum europeo. Per riconoscere la natura federale di Unione di cittadini e di Stati il referendum europeo dovrebbe prevedere una doppia maggioranza, di cittadini e di Stati. E andrebbe utilizzato come strumento di ratifica della prossima riforma, che entrerebbe in vigore se vi è stata una maggioranza di cittadini e di Stati favorevoli, e negli Stati dove c’è stata una maggioranza nazionale favorevole. Negli Stati con una maggioranza contraria si rivoterebbe dopo sei mesi per decidere se ratificare o uscire dall’UE. Tale proposta è coerente con le proposte della CoFoE, evita i referendum solo nazionali – che creano incentivi a votare no e spesso si risolvono in un referendum contro il governo in carica – e avrebbe una fortissima legittimità democratica. Un referendum di ratifica abbinato alle elezioni europee creerebbe un vasto dibattito pubblico sull’UE.

L’urgenza della riforma è mostrata anche dalla lentezza delle decisioni del Consiglio europeo perfino di fronte ad una guerra. Con una vera politica europea dell’energia – acquisti comuni, riserva strategica europea e completamento della rete elettrica europea e connessioni dei gasdotti – il costo finale potrebbe essere più basso di circa il 50%. Con una difesa europea si supererebbe l’attuale spreco, con i 27 Stati membri che spendono quasi il triplo della Russia senza avere una significativa capacità di deterrenza. L’interesse degli europei a completare subito la federazione è evidente. Serve un’iniziativa del Parlamento in tal senso, insieme alla sponda di Germania, Francia, Italia e Spagna, che si sono dette favorevoli alla riforma dei Trattati. Se dimostreranno di voler andare avanti comunque, anche gli altri li seguiranno.

Nel dibattito sulla riforma dell’UE si discute di quale forma di governo e quale integrazione differenziata (più velocità o cerchi concentrici). Il secondo problema è il più importante politicamente, ma è in parte semantico. Per fare l’unione monetaria abbiamo usato entrambi: perché da un lato prevede l’obbligo per tutti di entrare quando rientrano nei parametri (più velocità), ma non per alcuni che hanno l’opting out (cerchi concentrici). La sfida fondamentale della riforma è mantenere formalmente un quadro unitario – perché nessuno Stato accetterà di essere cacciato o di essere formalmente in una “Serie B” – ma creando in realtà due cerchi, come già fatto con l’unione monetaria o Schengen. Esistono varie formule giuridiche per farlo. Nell’UEM abbiamo creato l’Eurogruppo e l’Eurosummit, e anche se non sancito dai Trattati è ovvio che non avremo mai un commissario agli affari economici e monetari di un Paese esterno all’eurozona. Si può anche rafforzare lo Spazio Economico Europeo come secondo cerchio o come tappa verso l’adesione piena. Il primo punto è fondamentale, ma se la riforma prevederà che le future riforme siano fatte con una procedura e una ratifica non all’unanimità anche una soluzione inizialmente imperfetta potrà poi essere migliorata o mediante una futura riforma o attraverso la prassi e la battaglia politica (anche l’elezione del presidente americano è formalmente di secondo grado ed a lungo lo è stata davvero, ma oggi è di fatto un’elezione diretta – per quanto anomala per via della legge elettorale e dei collegi che coincidono con gli Stati – pur senza avere modificato la Costituzione).

Oggi più che mai allargamento e approfondimento si completano. L’UE tradirebbe i suoi valori se non aprisse un processo di allargamento. Ma si condannerebbe alla paralisi - e deluderebbe le aspettative dei cittadini dei membri attuali e futuri – se non completasse il processo di federalizzazione mentre viene negoziato e implementato l’allargamento. Man mano che si avvicinerà il momento dell’ingresso dei nuovi Paesi crescerà la pressione per completare la riforma dell’UE e l’abolizione dell’unanimità. Ma la guerra in Ucraina e le sue conseguenze impongono già ora l’unità politica dell’Europa.

 

 

  

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