Le dimissioni del Governo Draghi arrivano in un momento particolarmente delicato per l’Italia e l’intera Unione europea, in un contesto internazionale che presenta un livello di incertezza senza precedenti nel nuovo secolo.

Le dimissioni del Governo comportano, innanzitutto, una ridefinizione del perimetro della sua azione, limitato al disbrigo degli affari correnti. Come indicato nella circolare emanata dal Presidente Draghi il 21 luglio 2022, il Governo rimane impegnato nell’attuazione legislativa, regolamentare e amministrativa del PNRR e del Piano nazionale complementare (PNC), nell’attuazione delle leggi e determinazioni già assunte dal Parlamento, e nell’adozione di atti urgenti. Il Governo non potrà invece esaminare nuovi disegni di legge, salvo quelli imposti da obblighi internazionali e comunitari, compresi quelli collegati all’attuazione del PNRR e del PNC, e adottare regolamenti governativi o ministeriali, salvo analoghe eccezioni. Per quanto riguarda le relazioni internazionali, è garantita la partecipazione italiana alle riunioni in sede di UE e di organizzazioni internazionali, nonché alle missioni internazionali, previa autorizzazione della Presidenza del Consiglio. Come noto, a seguito delle dimissioni del Governo, il Presidente della Repubblica, con il decreto 21 luglio 2022, n. 96 ha disposto anche lo scioglimento del Parlamento, che comporta, parimenti, una riduzione del perimetro delle attività svolgibili. Attualmente, infatti, ai parlamentari non è più consentito depositare disegni di legge, né atti di indirizzo e controllo, limitando l’attività all'esame di atti dovuti, quali i disegni di legge di conversione dei decreti-legge e gli atti urgenti connessi ad adempimenti internazionali e comunitari, come gli atti di attuazione del PNRR, con eccezioni a queste limitazioni che variano tra Camera e Senato a seconda della prassi. Dal punto di vista meramente giuridico, il margine di manovra di Governo e Parlamento sembra restare abbastanza ampio. Prova ne è che, nelle ultime settimane, si sono chiusi numerosi e importanti atti, tra cui: la riforma del Regolamento del Senato, resa obbligatoria dal taglio dei parlamentari; la conversione di decreti legge e l’approvazione di disegni di legge funzionali alle riforme del PNRR, quali la delega per la riforma delle commissioni tributarie, la legge annuale per la concorrenza 2021, e la conversione del decreto-legge infrastrutture; addirittura, approvata a maggioranza qualificata, la riforma costituzionale sulla peculiarità delle Isole e il superamento degli svantaggi derivanti dall'insularità.

Se, quindi, dal punto di vista giuridico sembra che le competenze restanti a Governo e Parlamento possano essere sufficientemente ampie, la situazione è diversa dal punto di vista delle tempistiche. Per quanto riguarda l’attività normativa, i due processi che sono messi maggiormente a repentaglio sono l’approvazione della legge di bilancio e l’attuazione del PNRR. La legge di bilancio, che costituisce l’atto più importante tra le attività del Parlamento per ciascun anno, presenta scadenze molto serrate. L’articolo 7 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (legge di contabilità e finanza pubblica), prevede, infatti, che il Governo debba presentare alle Camere la Nota di aggiornamento del DEF (NADEF) entro il 27 settembre di ogni anno e il disegno di legge di bilancio, su cui si basa l’attività emendativa del Parlamento, entro il 20 ottobre di ogni anno. Sebbene tali scadenze siano state spesso non rispettate – ad esempio l’anno scorso il DDL di bilancio è stato trasmesso l’11 novembre – esse costituiscono delle indicazioni che è bene rispettare per garantire un’ordinata attività di scrutinio e modifica da parte di entrambi i rami del Parlamento. L’eccessiva compressione dei tempi, nella migliore delle ipotesi, potrebbe precludere l’esame da parte di uno dei due rami del parlamento, secondo la deleteria prassi del monocameralismo alternato affermatasi nella presente legislatura. Nella circostanza attuale, tuttavia, non si può sapere quale sarà il Governo incaricato di redigere il DDL di bilancio da trasmettere al Parlamento, infatti, se come esito delle elezioni previste per il 25 settembre si formasse una maggioranza incerta che richiedesse tempi lunghi per la formazione del governo, potrebbe essere l’esecutivo Draghi a presentare il DDL, diversamente, il nuovo governo avrebbe pochi giorni per depositare il DDL verso la fine di novembre, lasciando al Parlamento un tempo assai ridotto per la discussione, da concludere in ogni caso entro il 31 dicembre, onde evitare l’esercizio provvisorio.

Per quanto riguarda l’attuazione del PNRR, la sfida più importante riguarda l’attuazione delle riforme entro dicembre 2022 e giugno 2023. Per quanto riguarda le prime, le norme di rango primario risultano attualmente tutte in vigore, soprattutto a seguito dell’intensa attività normativa delle ultime settimane. Risulta invece in corso l’adozione di numerose delle disposizioni attuative con scadenza a dicembre 2022. Si tratta di disposizioni di importanza cruciale, senza le quali le importanti novità introdotte ad esempio dalla legge annuale della concorrenza 2021 resteranno sulla carta. Per quanto riguarda le riforme attese per giugno 2023, esse sono di numero inferiore e si presuppone che esse possano essere affrontate da un governo pienamente in carica. Si rammenta tuttavia che, in caso di mancata attuazione, le conseguenze per l’Italia sarebbero devastanti. Innanzitutto, l’articolo 24 del Regolamento (UE) 2021/241 che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza prevede la sospensione dei finanziamenti in caso di attuazione insoddisfacente, nonché l’impossibilità di presentare la richiesta di finanziamenti qualora l’attuazione non sia stata minimamente completata entro la scadenza. A questo si aggiunge la recente decisione della BCE di vincolare l’accesso al nuovo Transmission Protection Instrument (TPI - lo scudo anti-spread), oltre al rispetto delle regole di bilancio europee, all’assenza di squilibri macroeconomici e alla sostenibilità finanziaria, anche al rispetto degli impegni e delle scadenze del PNRR e delle raccomandazioni specifiche del Semestre Europeo. Infine, vi sarebbe un immenso danno reputazionale, che distruggerebbe la credibilità dell’Italia nelle istituzioni UE e la fiducia degli altri Stati membri verso il nostro, mettendo fine a ogni tentativo di introduzione di uno strumento di bilancio comune permanente.

Per quanto il tratto fin qui illustrato metta in evidenza i numerosi rischi per l’Italia e l’Europa, il prezzo più alto delle dimissioni del Governo si riscontra sul piano dei negoziati intergovernativi o interistituzionali attualmente in corso. Un governo dimissionario, infatti, a fatica riuscirà a far passare la propria posizione. Tra gli appuntamenti più rilevanti dove una presenza forte dell’Italia sarebbe stata fondamentale vi saranno innanzitutto la riforma del Patto di Stabilità e Crescita, per la quale si attende una proposta della Commissione europea il prossimo settembre. Vi è inoltre l’ipotesi di una riforma dei Trattati a seguito della Conferenza sul Futuro dell’Europa, che, con l’assenza di uno dei governi più a favore, potrebbe essere tra le prime vittime illustri. Infine, la conduzione della strategia per la guerra in Ucraina, che vedeva il Governo italiano in prima posizione per l’adozione di importanti iniziative, quali l’imposizione di un tetto del prezzo del gas a livello UE.

In conclusione, le dimissioni del governo avvengono nel momento peggiore possibile per le implicazioni che esse possono avere nel rapporto tra Italia e UE, mettendo a rischio la stabilità economica del Paese e la riforma dell’UE in senso federale, partendo dagli aspetti economici e finanziari. Attualmente, l’incertezza è talmente alta che risulta impossibile prevedere, ad esempio, se l’Italia dovrà affrontare l’esercizio provvisorio, mai verificatosi in tempi moderni, se si riusciranno a rispettare le scadenze del PNRR, e quale ruolo giocherà il Paese nell’ambito della riforma del Patto di Stabilità e dei trattati UE. Indubbiamente, con un Governo Draghi pienamente in carica, per quanto soggetto a continue richieste da parte dei partiti e conseguenti compromessi al ribasso, la credibilità internazionale che lo contraddistingueva avrebbe non solo notevolmente agevolato processi di riforma istituzionale auspicati dai federalisti, ma anche consentito una più semplice riforma del Paese nell’interesse di tutti i cittadini.

 

 

  

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