Che sia per decretarne la crisi, la trasformazione o persino la morte, il processo di “globalizzazione” rimane al centro delle analisi sugli scenari che abbiamo di fronte. Pochi termini hanno avuto altrettanta fortuna e saputo sintetizzare con altrettanta efficacia i cambiamenti di un mondo che diventava più aperto e più interdipendente. Ma una serie impressionante di shock ha mutato in profondità questo quadro: terrorismo, crisi economico-finanziaria, emergenza climatica, guerre commerciali e valutarie, pandemia. Fino a quel terremoto geopolitico che è l’aggressione in corso della Russia all’Ucraina, di cui fatichiamo ancora a cogliere fino in fondo la portata.
Il processo d’integrazione europea vive dentro la globalizzazione ed è investito dalle crisi che abbiamo attraversato e che stiamo affrontando. Allo stesso tempo, l’unificazione europea costituisce la risposta più “resiliente” e lungimirante a questi sconvolgimenti. E la bussola che sembra poter guidare l’azione europea è sempre più quella della “autonomia strategica”. Un concetto in divenire, su cui è opportuno tornare a riflettere. Ma prima ripercorriamo alcuni dei punti di svolta che ci hanno condotto fin qui.
L’assetto costruito nel secondo dopoguerra, pur segnato dal confronto Est-Ovest, si basava su regole e istituzioni multilaterali condivise, con un ruolo egemone degli Stati Uniti. Un sistema che ha accompagnato l’apertura internazionale dei mercati e di cui ha beneficiato anche la costruzione europea. La caduta del Muro è parsa lasciare il campo a un “unipolarismo” guidato dalla superpotenza americana. Uno scenario rivelatosi effimero, per la difficoltà degli USA a mantenere un ruolo globale e per l’affermazione di nuovi protagonisti su scala continentale, prima fra tutti la Cina. A partire dalla presidenza Obama, gli USA iniziano a ridefinire le loro priorità strategiche e si concentrano sulla sfida con la Cina. Allo stesso tempo, con la crisi economico-finanziaria emergono e si fanno sentire anche i “perdenti della globalizzazione”. Un brusco risveglio per l’Unione europea (UE), chiamata a consolidare le fondamenta dell’Unione economica e monetaria e a cercare di diventare adulta anche nella politica internazionale.
Non è un caso che nell’Unione di “autonomia strategica” si inizi a ragionare con la EU Global Strategy, presentata nel giugno 2016 dall’allora Alta Rappresentante Federica Mogherini. Una impostazione che diventa un imperativo di fronte alla esplosione della pandemia e alla guerra scatenata da Putin. Cerchiamo di capire perché. In uno studio del Servizio Ricerca del Parlamento europeo, del settembre 2020, si definiva l’autonomia strategica “la capacità di agire autonomamente e di scegliere quando, in quale area e se farlo con partner affini”. Occorrono quindi sia la volontà politica di agire sia la credibilità operativa per farlo, dentro un quadro di valori e interessi condivisi. Solo così l’UE può provare a essere un soggetto attivo internazionale, in grado di non subire passivamente scelte unilaterali altrui.
La Commissione presieduta da Ursula von der Leyen non è arrivata impreparata alle nuove sfide. Nel suo programma 2019-2024 si era focalizzata su tre processi “trasformativi”: la transizione ecologica, quale risposta alla crisi climatica, verso la decarbonizzazione; la transizione digitale, per contrastare la debolezza dell’Europa in un ambito oggi vitale (e dominato da soggetti americani e cinesi); la volontà di essere una Commissione “geopolitica”, consapevole che ad essere in gioco sia il ruolo dell’UE nel mondo. Del resto, di fronte al graduale disimpegno americano dall’Europa, l’UE aveva finalmente compiuto alcuni passi rilevanti nella difesa, con l’avvio del Fondo europeo per la difesa e della Cooperazione strutturata permanente. Fino a quella “Bussola strategica per la sicurezza e la difesa” (Strategic Compass) che gli Stati membri hanno approvato poche settimane dopo l’invasione russa dell’Ucraina.
Con la pandemia e il Covid-19 tanto l’Europa quanto gli Stati Uniti hanno toccato con mano i nodi critici del processo di globalizzazione. L’allungamento delle “catene del valore” e il trasferimento in terre lontane – non di rado con regimi autoritari – di intere filiere produttive hanno evidenziato rischi a lungo sottovalutati. “Autonomia strategica” diventa quindi spinta a un graduale ricentraggio economico, industriale, tecnologico su scala “regionale”, almeno in alcune filiere strategiche per l’UE: pensiamo a quelle dei semiconduttori e delle batterie, all’impegno annunciato da von der Leyen sulle materie prime critiche, fino all’ambito critico dell’energia, su cui torneremo. Un disegno che ha come architrave il varo di Next Generation EU (NGEU), sostenuto da un’autonoma capacità d’indebitamento e da nuove risorse proprie europee.
L’aggressione all’Ucraina da parte della Russia, il 24 febbraio scorso, ha sconvolto un assetto alle prese con una faticosa ripresa. Ha messo in luce la miopia di parte delle classi dirigenti europee sulla natura e gli obiettivi del regime di Putin. Ha visto la richiesta d’ingresso nella NATO di paesi storicamente neutrali quali Svezia e Finlandia e la rinuncia della Danimarca all’opt out sulla difesa europea. Ha fatto esplodere l’ennesima “policrisi”: energetica, inflazionistica, alimentare. Sconcertante constatare come la dipendenza energetica europea dalla Russia fosse aumentata persino dopo l’invasione della Crimea nel 2014. Ma stavolta l’UE e gli Stati membri hanno saputo reagire con maggiore compattezza, dall’invio di armi agli ucraini, all’accoglienza di milioni di rifugiati, a sanzioni senza precedenti al regime russo. Ora i due cantieri fondamentali in cui occorre altrettanta compattezza riguardano – come nel secondo dopoguerra, con CECA e CED – la difesa e l’energia: come costruire un vero pilastro della difesa europea dentro il quadro imprescindibile della NATO; come assicurarsi, nei tempi più brevi possibili, una autonomia energetica europea senza affossare gli obiettivi della transizione ecologica.
Se allarghiamo lo sguardo, nel nuovo “disordine globale” sono all’opera potenti spinte alla frammentazione e nuove contrapposizioni: tra regimi democratici e regimi autocratici, tra fautori (almeno a parole) del multilateralismo e suoi avversari. È tempo di archiviare ingenuità e compiacenze passate e di difendere le nostre democrazie e lo Stato di diritto, di fronte a dittature in difficoltà e sempre più tentate dalla carta del nazionalismo. Allo stesso tempo, dobbiamo cercare di non cadere in uno scenario da “Occidente contro tutti”. L’UE può contribuire a quella che è stata definita una “riglobalizzazione selettiva” cercando di mantenere un ruolo centrale nella lotta contro l’emergenza climatica, di puntare su politiche commerciali con “partner che condividono i nostri principi” (per dirla con Ursula von der Leyen), di valorizzare gli investimenti infrastrutturali sostenibili previsti dal Global Gateway, di impegnarsi per un partenariato a lungo termine e a tutto campo (economico, energetico, sanitario, culturale) con l’Unione africana.
Abbiamo bisogno di un’Unione europea che sappia essere “produttrice di sicurezza” interna ed esterna per i propri cittadini, a partire – come detto – dai campi della difesa e dell’energia. Che però vanno inseriti in un contesto economico e istituzionale adeguato, che tenga insieme allargamento e approfondimento dell’Unione. Si tratta, sulla scia di NGEU, di contribuire a uno sviluppo ecosostenibile dell’economia europea, dotandosi di un più robusto bilancio dell’Unione, focalizzato sui “beni pubblici europei”. Per un’efficace capacità decisionale a livello europeo, sottratta ai defatiganti bilanciamenti intergovernativi, si deve tenere aperta anche la via della riforma dei Trattati, col sostegno anzitutto del Parlamento europeo. Per cercare di stabilizzare un’area allargata, basata su valori democratici condivisi, vanno incoraggiati i primi passi che sta muovendo il progetto per una “Comunità politica europea”, rivolta anzitutto a Balcani occidentali, Ucraina, Moldova, Georgia.
Sappiamo che su tutto questo continua a incombere una guerra ingiustificabile e devastante, di cui non si intravede un punto di arrivo ed esposta a rischi di escalation impensabili solo pochi mesi fa, mentre si avvicina uno degli inverni più difficili per l’Europa. Compito storico di noi tutti è quello di dimostrare che il progetto di unificazione europea è e sarà sempre più forte dell’oscurantismo criminale dei dittatori.