Presidio federalista davanti al Parlamento europeo, 9 maggio

Ecco perché è stata lanciata l'attuale campagna dei federalisti tesa a sostenere il Parlamento affinché costringa il Consiglio a dare seguito alle promesse fatte quando ha coinvolto i cittadini europei nella Conferenza sul futuro dell’Europa

In queste settimane si potrebbe giocare il futuro dell'Europa e dei suoi cittadini. Quello che rischia di essere un momento decisivo si prepara per ora sotto traccia, in un clima politico che risente, in Europa (e nel mondo), del protrarsi della guerra in Ucraina e delle difficoltà che i vari paesi affrontano in conseguenza di questa e delle altre questioni che sempre più riguardano la possibile costituzione di un nuovo ordine mondiale in cui i piccoli stati europei rischiano di non contare nulla se non riusciranno ad esprimersi con una voce sola.

Intanto si va verso un'endemizzazione delle tre “guerre” di questo nostro tempo: la guerra al Covid non è vinta, ma la pandemia sta assumendo ormai i caratteri di una endemia; l'emergenza climatica, pur non avendo perso il suo carattere di priorità per le scelte da fare sul pianeta, è in una fase in cui, complice anche la stagione dell'anno in cui ci troviamo, è più percepita come un “cambiamento climatico” (questione endemica quindi più che problema acuto) e appunto il proseguimento sine die della guerra in Ucraina fa sì che ci si stia abituando alla sua presenza nella nostra quotidianità (endemizzazione anche della guerra).

Da un lato dunque l'Unione europea appare essere riuscita ancora una volta a far fronte alle emergenze (si pensi, ad esempio,  non solo alla capacità di fronteggiare la pandemia, ma anche a quella di rendersi relativamente indipendente dal gas russo) e sembra quindi essersi nuovamente attenuata (per non dire esaurita) la spinta, per un certo periodo tornata prepotentemente d'attualità, verso il completamento del processo di unificazione europea, almeno sul fronte dei governi peraltro tutti alle prese anche con spinose questioni interne. Dall'altro lato però all'interno del Parlamento europeo si sta preparando, anche sulla spinta del mandato emerso dalla Conferenza sul futuro dell'Europa, un rapporto articolato per proporre una riforma dei trattati e chiedere che venga convocata dal Consiglio una Convenzione con questo obiettivo. La Commissione per parte sua, dopo aver appoggiato l'azione del Parlamento europeo a valle della conclusione della Conferenza sta adesso muovendosi in modo più cauto (di fatto depotenziando il mandato dei cittadini uscito dalla Conferenza sul futuro dell'Europa con l'attivazione di progetti come ad esempio quello del Forum dell'iniziativa dei cittadini europei).

Il Parlamento europeo dunque è l'istituzione che più sembra dimostrare di essere non solo conseguente al mandato scaturito dalla Conferenza sul futuro dell'Europa, ma anche adeguata alle necessità che i tempi impongono. E infatti, sia pure “a fari spenti” e senza grande evidenza l'AFCO sta appunto completando il lavoro sul rapporto che dovrebbe essere votato nelle prossime settimane con una serie di proposte da discutere poi in una Convenzione per la riforma dei trattati.

In questo contesto, volendo dare uno sguardo all'Italia, il nuovo governo italiano, sostenuto in prevalenza da forze apertamente nazionaliste, non assumerà certamente un ruolo propulsivo, ma tutto lascia pensare che non si metterà di traverso se passasse l'idea della convocazione di una Convenzione per riformare i trattati. D'altra parte il governo di destra oscilla tra la necessità oggettiva di restare nel solco tracciato dal precedente governo Draghi (sia sulle riforme interne che sull'atteggiamento da tenersi in Europa) per andare a costruire, anche in Italia, una destra europea, e l'inseguire invece posizioni più vicine alle proprie radici nazionaliste appartenenti certamente al suo partito più rappresentativo in termini di voti. Al momento attuale comunque l'Italia è molto indietro rispetto agli obiettivi del PNRR, non ha ancora ratificato il nuovo MES (ed è l'unico paese dell'eurozona a non averlo fatto) e propone all'attenzione europea alcune “priorità” con un atteggiamento di retroguardia (ad esempio sul tema dei migranti e sul Green Deal).

Esistono anche comprensibili dubbi rispetto alla possibilità che i membri dell'attuale governo siano all'altezza del compito – certamente arduo – che hanno davanti.

Non c'è dubbio invece rispetto a quale debba essere l'atteggiamento dei federalisti verso le forze politiche della maggioranza. Dobbiamo certamente favorire la crescita di atteggiamenti responsabili e lavorare per coinvolgere anche i parlamentari del centrodestra nell'azione per arrivare alla riforma dei trattati (anche cercando di costruire in Parlamento un gruppo parlamentare per l'Europa con rappresentanti di forze politiche di maggioranza ed opposizione). 

A parte le difficoltà dell'azione federalista in Italia è evidente la necessità di sostenere il Parlamento europeo perché non gli venga meno il coraggio che ha saputo mettere in campo fin qui dopo la conclusione della Conferenza sul futuro dell'Europa.

Ecco perché è stata lanciata l'attuale campagna dei federalisti tesa a sostenere il PE, a coinvolgere in particolare il Gruppo Spinelli e ad includere anche gli ambasciatori dei cittadini nella Conferenza sul futuro dell'Europa. Lo scopo di questa campagna, centrata sulla petizione al Consiglio dell'Unione europea (“Rispettate la volontà dei cittadini e della Conferenza sul futuro dell'Europa”) è quello di dare più forza possibile a quella parte del Parlamento europeo che si sente investita, come forse non capitava dai tempi di Spinelli, del mandato democratico dei cittadini europei e che intende onorarlo costringendo il Consiglio a dare seguito alle promesse fatte quando ha coinvolto i cittadini europei nel più grande esperimento di partecipazione democratica mai avvenuto fin qui.

Ecco perché a Strasburgo, nel mese di maggio, potrebbe giocarsi un'importante e forse decisiva opportunità per i cittadini europei. Se il Parlamento europeo riuscirà a passare il Rubicone senza timidezze, se cioè approverà un rapporto con un contenuto ambizioso (come è quello che si sta mettendo a punto in AFCO), se si batterà perché il Consiglio prenda la decisione di convocare la Convenzione, se avrà deciso con consapevolezza che “il dado è tratto” allora ci sarà la chance (forse una delle ultime) di far avanzare in modo decisivo il processo verso la Federazione europea anche sfruttando l'onda delle prossime elezioni europee del 2024. D'altra parte, in caso contrario, il rischio di una battuta d'arresto pericolosa diventerà concreto. Ed allora gli europei, invece di essere al tavolo del nuovo ordine mondiale che si va costituendo rischieranno di trovarsi nel menù (come viene suggerito, con una frase efficace in un altro articolo di questo numero del giornale). Se questo dovesse avvenire il danno non sarà solo per gli europei stessi, ma anche per il resto del mondo che avrebbe un grande bisogno di un'Europa unita e capace di indicare la via verso la Federazione mondiale e quindi verso l'unica salvezza possibile del genere umano.

 

  

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