Due logiche sono oggi in competizione: quella imperiale e quella federale. Lo scontro si gioca soprattutto nei ventri molli segnati dalla divisione e oggetto delle mire delle grandi potenze. L' Europa potrebbe diventare la preda più ambita se non riuscirà a compiere passi decisivi verso la propria unificazione.

«Se non sei al tavolo, sei nel menu». Con questa frase ad effetto Joerg Wuttke, presidente della Camera di Commercio tedesca in Cina, qualche anno fa giustificava i crescenti scambi commerciali con la Cina. A ben vedere, è la logica che ha guidato l'Unione europea come campione del multilateralismo, di cui la Germania è stata la più solerte sostenitrice.

Lasciando perdere i tavoli minori, tre erano quelli a cui pensavamo di poterci sedere, se non a capotavola, almeno da protagonisti. Il primo è quello con l'alleato storico d'Oltreoceano. In tre quarti di secolo di alleanza politico-militare e di fruttuosi affari transatlantici non sono certo mancati gli screzi, le ripicche, anche le crisi, ma alla fine il matrimonio d'interesse ha finito sempre per ricomporsi. Per l'Europa poter contare sulla NATO è stata una necessità durante i lunghi decenni della guerra fredda, una gran comodità ed un sicuro risparmio di risorse dopo la fine dell'equilibrio bipolare. Anche la controparte ha avuto naturalmente cospicui vantaggi nel vedere assicurato per gli investimenti delle proprie imprese un mercato continentale ben regolamentato, degli alleati fedeli e quasi mai riottosi, un bastione difensivo verso aree e Stati nemici o instabili.

Il tavolo con la Federazione russa è quello che ha generato probabilmente più illusioni. Incorporati nel cosiddetto Occidente i suoi satelliti europei e le repubbliche baltiche, divenute indipendenti quelle caucasiche ed asiatiche, tenuta a freno la sua forza militare dalla dissuasione della NATO, la Russia è diventata la principale fornitrice di combustibili fossili per molti Stati europei, tanto affidabile da poter contare sul gas russo per la lunga transizione energetica.

Onestamente bisogna invece ammettere che la rincorsa al tavolo cinese non ci ha visti né primi né unici protagonisti, ma almeno a partire dall'entrata del gigante asiatico nella Organizzazione Mondiale del Commercio gli scambi economici tra UE e Cina sono aumentati in modo davvero impressionante. Ormai è difficile persino enumerare le tante missioni diplomatiche e commerciali che l'UE ed i suoi principali Stati hanno compiuto nella Repubblica Popolare.

Molti commentatori si affannano a dire che occorreva un fatto traumatico come l'aggressione russa all'Ucraina per svegliarci dal sogno di poter essere in grande quel che la Svizzera è stata per secoli in Europa: un'area di stabilità, pace e prosperità in un mondo devastato dai conflitti. Ebbene, se compiti primari della politica dovrebbero essere antivedere e provvedere, si può riconoscere che non erano certo mancati segnali che denunciavano la fallacia di quella illusione. Con la messa in discussione della NATO e con le ritorsioni commerciali durante i quattro anni della sua presidenza, Donald Trump avrebbe potuto suscitare qualche dubbio sull'eterna fedeltà del partner americano. Ancor meno si può rimproverare al Presidente Putin di aver occultato le sue mire: che si tratti degli interventi nel Caucaso, in Siria ed in Africa o del colpo di mano con cui si prese la Crimea nel 2014, il desiderio di ricostruire uno spazio imperiale era ben chiaro sia nelle intenzioni che nei fatti. Anche il Dragone cinese non si è fatto scrupolo di manifestare i suoi ambiziosi piani di espansione economica, influenza politica ed affermazione militare, per di più estesi a tutti i continenti. Purtroppo gli europei hanno meritato fino all'ultimo momento prima dell'aggressione russa l'amaro rimprovero di Giulio Cesare: «Gli uomini credono volentieri che ciò che desiderano sia vero.»

Bisogna invece riconoscere con onestà che l'offensiva scatenata da Putin il 24 febbraio 2022 ci ha fatto finalmente cogliere il pericolo di finire nel menu russo. Pur con qualche incertezza e divisione interna, l'UE si è in gran parte liberata dalla dipendenza dal gas russo, anche se restano ancora lontani gli obiettivi di creare un vero mercato unico dell'energia tra i Ventisette ed una integrazione delle reti. Gli intrecci con la Cina sono molto più complessi e coinvolgono gli investimenti, le catene di approvvigionamento, le tecnologie, le materie prime. Già la mancata ratifica da parte del Parlamento europeo dell'Accordo sugli investimenti, poi rimandata sine die, aveva denunciato la criticità del rapporto con una potenza che non si esita a riconoscere come rivale sistemico. In quest'ultimo anno si sono poi levati molti gridi d'allarme da parte del mondo produttivo europeo sui rischi di una dipendenza dalla Cina per la transizione ecologica e digitale. Se si tiene conto anche della concorrenza ben poco amichevole da parte degli USA grazie ai fondi messi a disposizione delle imprese con l'Inflation Reduction Act, non sembrano affatto esagerati i timori di finire nel menu cinese o in quello americano.

Non si devono certo sottovalutare i tentativi che le istituzioni europee, in particolare la Commissione, stanno mettendo in campo per ripondere a queste sfide epocali: dalla revisione della normativa sugli aiuti di Stato alla proposta di un fondo sovrano europeo; dallo European Chips Act al Critical Raw Materials Act; dalle gigafabbriche per le batterie al progetto Gaia-X e alla Bussola per il digitale 2030. Se paragoniamo però questi programmi con quelli messi in cantiere da USA e Cina, ci rendiamo subito conto dei limiti strutturali dell'approccio europeo.

Chi scrive ritiene che la guerra in Ucraina sia un episodio di una più generale guerra costituente per stabilire un nuovo ordine mondiale. Del resto, questo è l'obiettivo esplicito e conclamato tanto della Russia quanto della Cina. Anche altre potenze come l'India ed il Brasile, sebbene in maniera più defilata, hanno ambizioni non dissimili. L'elenco potrebbe continuare con la Turchia, l'Arabia Saudita, l'Indonesia, il Sudafrica. Le posizioni espresse da molti di questi Stati in occasione dei dibattiti all'ONU sull'aggressione russa, lette con gli occhi di chi è attento ai cambiamenti mondiali, vanno viste come un rifiuto a farsi intruppare in un blocco e come un desiderio invece di avere le mani libere per sfruttare tutte le opportunità offerte da un mondo in cui le vecchie gerarchie sono messe in discussione.

Ogni guerra costituente si combatte anche in nome di principi e valori. Due logiche sono oggi in competizione: quella imperiale e quella federale. Lo scontro si gioca soprattutto nei ventri molli segnati dalla divisione e oggetto delle mire delle grandi potenze: in Africa anzitutto, ma anche in America Latina, nel Medio Oriente, nel Sud – Est asiatico. Ed in Europa, che potrebbe diventare la preda più ambita se non riuscirà a compiere passi decisivi verso la propria unificazione.

Alla fine si dovrà arrivare ad un nuovo ordine, che non potrà essere che mondiale. Sarà inevitabile, insomma, che le principali potenze si siedano attorno ad un unico tavolo, magari mettendo mano ad una profonda ristrutturazione delle organizzazioni internazionali fondate ancora sugli equilibri della guerra fredda e dunque del tutto obsolete, a cominciare dall'ONU. Non è in corso quindi alcuna nuova guerra fredda tra USA e Cina o tra democrazie ed autocrazie, anche se è comodo farlo credere. Finalmente la Segretaria USA al Tesoro Janet Yellen, dopo mesi in cui si sono sbandierati programmi di reshoring e friendshoring, ha avuto l'onestà di riconoscere che una completa separazione tra l'economia americana e quella cinese «sarebbe disastrosa per entrambi i paesi e destabilizzante per il resto del mondo.» (discorso del 20 aprile alla John Hopkins University)

Al momento non sappiamo chi siederà a quel tavolo, perché lo scontro è in atto e le gerarchie non sono ancora stabilite, ma come europei possiamo contare su una certezza e formulare una scommessa. Sicuramente già oggi nessuno Stato europeo ha la forza per poter da solo pretendere di essere un protagonista dei nuovi equilibri mondiali. Come è stato ben detto, i paesi europei si dividono in due sole categorie: quelli che sanno di essere piccoli e quelli che devono ancora capire di esserlo. Per tutti dovrebbe valere allora la scommessa di condividere la sovranità in materie in cui divisi non contiamo più nulla, come la politica estera, la difesa, l'energia, la politica industriale. Prima che sia troppo tardi.

 

  

L'Unità Europea

Giornale del

MovimentoFederalista Europeo

Edizione a stampa
Codice internazionale: ISSN 1825-5299
Catalogazione e disponibilità: Catalogo ACNP

 

Edizione online
Codice internazionale: ISSN 2723-9322
Sito Internet: www.unitaeuropea.it

L'Unità Europea su Facebook

Iscriviti alla alla newsletter

 

Sito internet: www.mfe.it

Pagina Facebook del MFE L'MFE su Twitter L'MFE su YouTube

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). E' possibile scegliere se consentire o meno i cookie. In caso di rifiuto, alcune funzionalità potrebbero non essere utilizzabili. Maggiori informazioni