Martedì 20 marzo il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha tenuto un discorso sul futuro dell’Europa e sui valori europei all’Università tedesca di Heidelberg, una delle più antiche del continente.
Il primo elemento del discorso di Morawiecki è incentrato sulla richiesta di risarcimenti di guerra:
“Mentre la Germania occidentale ha potuto svilupparsi liberamente, la Polonia ha perso 50 anni del suo futuro a causa della Seconda Guerra Mondiale. … La Polonia non ha mai ricevuto dalla Germania un risarcimento per i crimini della Seconda Guerra Mondiale, per la distruzione, la sottrazione di beni e tesori della cultura nazionale. Dopotutto, la piena riconciliazione tra un colpevole e la sua vittima è possibile solo quando c’è un risarcimento. In questo momento cruciale della storia europea, abbiamo bisogno di questa riconciliazione più che mai, perché le sfide che abbiamo di fronte sono gravi. La storia dell’Europa – con la sua ferita più grande, la Seconda guerra mondiale – ha spinto il mio Paese, insieme a molti altri, dietro la “cortina di ferro” per quasi mezzo secolo.”
Il secondo elemento riguarda il ruolo della sovranità dello Stato nazionale nel mantenere la libertà delle nazioni.
“La lotta delle nazioni schiavizzate dell’Europa centrale era, fondamentalmente, una lotta per la sovranità nazionale. Questa questione ha unito i patrioti in tutto lo spettro politico, perché credevamo che i nostri diritti e le nostre libertà potessero essere salvaguardati solo nel contesto di Stati sovrani riconquistati. Avevamo ragione. Questo è stato particolarmente evidente durante i periodi di crisi sociale ed economica. Anche durante la recente crisi del Covid, abbiamo visto che Stati nazionali efficienti sono fondamentali per proteggere la salute dei cittadini.
In entrambi i casi, ci siamo trovati di fronte ai limiti della governance sovranazionale in Europa. In Europa niente potrà salvaguardare la libertà delle nazioni, la loro cultura, la loro sicurezza sociale, economica, politica e militare meglio degli Stati nazionali. Altri sistemi sono illusori o utopici. Possono essere rafforzati da organizzazioni intergovernative e anche parzialmente sovranazionali, come l’Unione europea, ma gli Stati nazionali in Europa non possono essere sostituiti.”
In realtà durante la crisi pandemica gli Stati nazionali hanno potuto usufruire di scelte condivise dalle istituzioni europee che, superando gli interessi nazionali di corto respiro, hanno consentito a tutti gli europei di affrontare i momenti più difficili grazie al rilancio dell’economia continentale sostenuta dal piano Next Generation EU, finanziato da un debito comune europeo. Uno strumento temporaneo che andrebbe reso permanente e che presuppone soluzioni federali e non intergovernative.
Morawiecki ritorna sull’imperfetto sistema decisionale europeo per affermare nuovamente la primazia nazionale e non il superamento del sistema intergovernativo, la vera causa dei limiti dell’UE:
“Vogliamo costruire un’Europa forte per affrontare le sfide globali del XXI secolo. È la dimensione dell’Unione europea che la rende una forza significativa nel mondo, non il suo sistema decisionale sempre più incomprensibile. Abbiamo bisogno di un’Europa forte grazie ai suoi Stati nazionali, non di un’Europa costruita sulle loro rovine. Un’Europa del genere non avrà mai forza, perché il potere politico, economico e culturale dell’Europa deriva dall’energia vitale fornita dagli Stati nazionali.
Le alternative sono un’utopia tecnocratica, che alcuni a Bruxelles sembrano immaginare, o un neo-imperialismo, già screditato dalla storia moderna. La lotta delle nazioni europee per la libertà non è finita nel 1989. Lo si vede meglio al nostro confine orientale.”
La democrazia – insiste Morawiecki - si ferma al livello nazionale:
“Gli ucraini oggi ci ricordano cosa dovrebbe essere l’Europa. Ogni europeo ha il diritto alla libertà personale e alla sicurezza. Ogni nazione ha il diritto di prendere decisioni fondamentali sul futuro del proprio territorio. La democrazia può essere attuata a livello comunale, regionale o nazionale, ovunque vi siano legami basati su un’identità comune.”
Cosiccome l’identità che rimane prettamente nazionale:
“Il generale de Gaulle era anche profondamente consapevole sia del grande patrimonio culturale europeo sia degli orrori della “guerra interna”. Lo cito: «Dante, Goethe, Chateaubriand appartengono tutti all’Europa nella misura in cui erano rispettivamente ed eminentemente italiani, tedeschi e francesi. Non sarebbero stati molto utili all’Europa se fossero stati apolidi e se avessero pensato, scritto in una specie di esperanto o di Volapük».
“La nostra identità di base è l’identità nazionale. Sono un europeo perché sono un polacco, un francese, un tedesco, non perché rinnego il mio essere polacco o tedesco. Il tentativo odierno in Europa di eliminare questa diversità, di creare un uomo nuovo, sradicato dalla sua identità nazionale, significa tagliare le radici e segare il ramo su cui siamo seduti. Attenzione possiamo cadere facilmente, e le culture forti e le dittature di altri angoli del pianeta non aspettano altro. Sarebbero sicuramente felici di vedere l’Europa cadere nell’insignificanza. Vorremmo che tutti gli europei dimenticassero le loro lingue e parlassero solo in Volapük? Io no.”
L’analogia forzata con le motivazioni di Putin per l’aggressione ucraina ovvero “il desiderio di eliminare ogni differenza, distruggere tutte le identità nazionali e fonderle nel grande impero russo” è del tutto fallace. In realtà l’identità europea non cancella né sradica quelle nazionali ma le rafforza come afferma il motto dell’Unione europea: l’unità nella diversità.
Siamo cittadini del nostro Paese e contemporaneamente cittadini europei. L’identità nazionale non è esclusiva ma si completa con quella europea a cui tutti (francesi, tedeschi, polacchi, italiani, ecc.) apparteniamo. L’identità di ciascuno di noi si esprime compiutamente a diversi livelli seguendo il modello dei cerchi concentrici: da quella locale (il più interno) a quella mondiale (il più esterno e inclusivo) passando per quella europea e quelle nazionali (intermedi).
In generale il discorso del primo ministro polacco ha evidenziato le giuste lacune del sistema decisionale europeo e ha usato questi limiti per giustificare un ruolo preponderante degli Stati nazionali a discapito di una soluzione federale che nulla a che fare con un modello centralizzato.
Il discorso iper nazionalista, sia dal punto di vista politico che culturale, di Morawiecki è stato oggetto di due interventi critici a Prima pagina di Radio Rai 3 di Nicola Vallinoto e Grazia Borgna rispettivamente il 22 e il 23 marzo. Le domande rivolte al vicedirettore del Corriere della sera Federico Fubini hanno sottolineato la pericolosità della posizione del governo polacco e le ambiguità di quello italiano. Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha infatti espresso la vicinanza del governo italiano in un incontro bilaterale a Varsavia, lo scorso 20 febbraio, affermando di avere “un’idea molto simile e compatibile su quello che debba essere l’Europa” e di “volere un gigante politico e non burocratico”. Da qui la forte contraddizione: se si vuole un’Europa forte non si può contemporaneamente abbracciare il modello confederale ispirato all’Europa delle nazioni di de Gaulle.
A questo proposito è intervenuto perentoriamente il Presidente della Repubblica Mattarella all’Università Jagellonica di Cracovia in occasione della recente visita (19 aprile) di Stato in Polonia:
“L’esigenza di fare dell’Europa una protagonista non trova adeguata risposta nella visione di un’Unione come somma temporanea e mutevole di umori e interessi nazionali, quindi, per definizione, perennemente instabile. Soccorre, a questo proposito, un’altra indicazione, questa volta di Robert Schuman, per la quale il percorso europeo “si farà attraverso realizzazioni concrete, creando prima di tutto una solidarietà di fatto”.... L’Unione europea è innanzitutto una comunità di valori che trova nel rifiuto della guerra come strumento di risoluzione delle controversie, nel rispetto dello Stato di diritto, nella democrazia e nel dialogo, nella coesione sociale, nelle prospettive di realizzazione dei giovani, i suoi principi cardine. Per tutto questo l’Europa è dei suoi cittadini. Un modello di successo perseguito come traguardo ideale in altri continenti. Essere parte di questo progetto significa condividerne, con spirito di solidarietà e responsabilità, i valori fondanti e impegnarsi quotidianamente a difendere i diritti sanciti dalla Carta dei valori dell’Unione europea.”