Molte sono state le trasformazioni che hanno interessato il Medio Oriente e che hanno influito sulla vita dei singoli attori internazionali, dentro e fuori la regione negli ultimi quindici anni. La Guerra in Siria, la Guerra in Libia, il perdurante conflitto tra israeliani e palestinesi, i cambiamenti politici seguiti alle cosiddette Primavere arabe, per citarne solo alcune.

Il caso dei rapporti tra Iran e Arabia Saudita ha attraversato, nel bene e nel male e con diverse stagioni, tutti questi sconvolgimenti politici e diplomatici.

Divisi nel sostegno a diverse fazioni durante la guerra civile in Siria, divisi nell'appoggio del cambio di regime in Egitto, a sostegno dei diversi gruppi in Yemen, i due attori regionali permangono in uno stato di competizione strategica che dura, in buona sostanza, dalla fine della rivoluzione del 1979 e che, negli ultimi anni, ha determinato la sussistenza di un conflitto indiretto, ma aperto, tra le due potenze in tutti i teatri della regione.

La svolta nelle relazioni tra i due paesi arriva nel settembre 2019, quando una squadriglia di jet iraniani mette fuori uso gli impianti petroliferi di Abqaiq e Khurais nell'Arabia Saudita orientale. Più del 5% della produzione saudita viene compromesso. Siamo nel quadro della tensione tra sauditi e iraniani in Yemen in cui i primi sostengono l'esercito regolare e i secondi le milizie Houthi, di confessione sciita. E' evidente, in questa fase del conflitto, che la capacità di difesa aerea dell'Arabia Saudita si dimostra non all'altezza nel prevenire gli attacchi iraniani che, attraverso le milizie yemenite, si erano fatti più intensi anche nel sud del Paese tra il 2017 e il 2019 determinando un crollo della produzione di greggio e un aumento delle quotazioni del Petrolio nelle principali piazze finanziarie internazionali.

Fino a quel momento, l'Arabia Saudita confida nella protezione degli Stati Uniti, un elemento strategico della propria sicurezza che è una costante, almeno dalla prima Guerra del Golfo.

E' dal 2018, infatti, dal ritiro unilaterale degli Stati Uniti dall'accordo sul nucleare (JPCOA) che Washington applica la dottrina della "Massima Pressione" contro Teheran che si concreta in diverse misure, dall'intensificazione della presenza militare americana nel Golfo, al sorvolo con bombardieri strategici, dalla lotta alle milizie sciite nella regione, al ripristino delle sanzioni contro la Repubblica islamica.

L'Arabia Saudita, pertanto, considerato il quadro della poltica americana dell'epoca, confida nella risposta statunitense, al fine di ripristinare il containment nei confronti dell'Iran.

Tuttavia, nonostante le ipotesi dell'Amministrazione Trump nell'immediatezza dell'attacco, decidono di non muoversi direttamente contro l'Iran.

Tale decisione spinge Riyadh a pensare in proprio alla propria sicurezza, cercando di associare, al containment nei confronti del rivale iraniano, l'apertura di un canale diplomatico con il fine di risolvere le principali controversie tra le due potenze regionali.

E' in questa fase che iniziano il confronto e il dialogo tra Iran e Arabia Saudita culminato, nel 2021, con l'inizio di colloqui bilaterali (con la benedizione degli Stati Uniti) ospitati dall'Iraq prima e dall'Oman in una seconda fase.

I sauditi chiedono agli iraniani un impegno nel diminuire il proprio appoggio ai gruppi sciiti in Yemen e in Iraq considerati il principale ostacolo alla sicurezza saudita e  promettono la normalizzazione delle relazioni, compresa la fine delle ostilità nei confronti del governo siriano di Bashar Al-Hassad, sostenuto da Teheran.

Già all'inizio del 2022, gli iraniani rifiutano, determinando l'interruzione del negoziato.

Nel frattempo, gli sconvolgimenti internazionali e interni determinano un ulteriore cambio di direzione della politica estera iraniana.

Nel febbraio del 2022, la Federazione Russa attacca l'Ucraina rendendo palese il sostegno della Repubblica islamica all'iniziativa militare russa.

Non si tratta di una novità: il sostegno, più o meno esplicito di Mosca alla Repubblica islamica (spesso in funzione antiamericana), è una costante almeno dal 1979, anno della rivoluzione khomeinista.

Tuttavia, sin dalla Guerra in Siria, i legami tra Russia e Iran si consolidano arrivando, durante la guerra d'invasione russa in Ucraina, al sostegno militare diretto con il trasferimento di teconologie e sistemi d'arma (tra cui droni) all'alleato russo.

Si tratta di una mossa che contribuisce all'isolamento della Repubblica islamica.

Infatti, se le sanzioni dell'amministrazione Trump (con la loro portata sistemica) hanno determinato un calo degli investimenti internazionali, sono le sanzioni europee alla Russia e ai suoi fiancheggiatori a colpire economicamente l'Iran e ad acuirne l'isolamento.

Ma il 2022 riserva altre sorprese al governo iraniano: le proteste seguite all'uccisione di Masa Amini mettono in seria difficoltà il governo iraniano, i suoi apparati di sicurezza e la sua stessa posizione nella comunità internazionale.

La reazione europea e americana è molto dura, ma note di condanna, di eguale tenore, vengono anche da potenze extraeuropee e dalle organizzazioni internazionali.

Si viene a determinare, dunque, un contesto diplomatico nel quale l'Iran è eccezionalmente debole.

Teheran dimostra di aver sottovalutato la reazione europea al sostegno russo nonché la reazione di una popolazione inferocita alle violazioni dei diritti fondamentali.

E' in questa temperie che riprendono i negoziati tra Teheran e Riyadh. I sauditi ripropongono l'accordo con le medesime condizioni già rifiutate dall'Iran nei mesi precedenti. Elemento di novità è l'iniziativa saudita volta al coinvolgimento, quale dealer indipendente, della Repubblica Popolare Cinese.

Perché includere anche la Cina?

La Cina è interessata alla stabilità del partner saudita. E' Riyadh, infatti, a soddisfare la fame di risorse petrolifere del gigante asiatico e a soffrire di più per le crisi di produzione.

Tuttavia, la Cina diventa, in questa fase, un attore importante anche per l'Iran perché è l'unica in grado, con i suoi capitali, di poter investire in un paese che vive una stagione di straordinario isolamento internazionale.

Si tratta di due elementi-chiave che, da entrambi i lati, rendono la Cina di Xi Jinping il facilitatore ideale di un accordo strategico per i due paesi e per l'intera regione.

A questo punto i sauditi sottopongono alla controparte il medesimo testo già censurato all'inizio del 2022.

Questa volta Teheran decide di firmare aprendo a tutti i punti proposti dagli omologhi sauditi con un garante eccezionale come la Repubblica Popolare Cinese.

Si tratta di una novità importante per le relazioni internazionali di tutto il Medio Oriente che porta la Cina all'interno di un contesto in cui, fino ad ora, era rimasta ai margini.

L'accordo, oltre a garantire il ristabilimento delle missioni diplomatiche, pone le basi per la fine del confronto tra le due potenze in Yemen e rassicura i sauditi rispetto alle preoccupazioni derivanti dal sostegno alle milizie sciite in Iraq, una delle ragioni di principale inquietudine per il governo saudita nella regione.

Dal lato iraniano, inoltre, si tratta di un segnale che, nonostante l'indebolimento dovuto a fattori endogeni ed esogeni, è ancora in grado di giocare un ruolo internazionale, nonostante le difficoltà interne ed internazionali.

In conclusione, vi sono almeno due elementi di interesse:

Il primo elemento è la capacità di concepire un sistema di sicurezza e di relazioni internazionali che, per la prima volta, fa a meno del balancer statunitense e che configura un'iniziativa diplomatica di almeno quattro attori regionali, i due principali (Iran e Arabia Saudita) e due mediatori (Iraq e Oman). Questo è certamente un segnale interessante.

L’iniziativa diplomatica crea i presupposti per una distensione funzionale allo sviluppo economico nella regione.

Il secondo elemento è il ruolo della Cina: si tratta di una novità sostanziale e di un successo diplomatico, seppure inaspettato, ma che viene non da un’iniziativa di politica estera propria ma scelte compiute in Medio Oriente.

E' difficile, al momento, percepire la reale portata di quest'accordo. Il suo successo dipenderà dagli obiettivi di lungo corso dei due paesi e da quale saranno le sue implicazioni sui conflitti in corso, in special modo nello Yemen, ma non va dimenticata la Siria.

Si tratta di una dimostrazione di vitalità diplomatica fornita dagli attori regionali sulla quale Stati Uniti ed Europa dovranno riflettere anche alla luce del ruolo cinese che, per quanto occasionale, costituisce un chiaro elemento di novità.

 

  

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