L’ouverture del celeberrimo Dottor Semmelweis (1952) corrisponde a un impetuoso volo attraverso il quale Louis-Ferdinand Céline (1894-1961) trascina il lettore tra gli sconvolgimenti della Rivoluzione francese, il dominio napoleonico e l’instaurazione della compagine romantica. Dalle ali di Céline è possibile ammirare con vigorosa partecipazione alcuni tra gli snodi più significativi del rutilante periodo posto in esame. Ebbene: di simili voli e di simili pregi, pur secondo prospettive e modalità radicalmente differenti, è legittimo discutere anche in relazione a Ombre d’Europa. Nazionalismi, memorie, usi politici della storia, saggio dello storico Guido Crainz pubblicato da Donzelli nella collana “Saggine” (2022, pp. 188).

Evocare la figura di Céline in relazione al saggio di Crainz consente di approssimarsi al tema posto dallo storico al centro delle indagini condotte: proprio in Céline, come rilevato da autori quali Guido Ceronetti (1927-2018), si annida quell’ambiguità tanto complessa quanto corrosiva che ha animato ed anima tuttora l’elaborazione delle tragedie del Novecento all’interno delle memorie europee – il singolare, in questo caso, pare alquanto arduo. Le ombre cui si riferisce il titolo del saggio, infatti, sono costituite dalle «sotterranee tensioni e incrinature che avevano preso corpo già prima del 1989 […] nella difficile transizione dei paesi ex comunisti» e dalle «ragioni di lungo periodo» legate ai «“sovranismi” illiberali e antieuropei che si sono affermati soprattutto (ma non solo) nell’Europa centro-orientale». Crainz, attraverso una disamina delle deformazioni di matrice politica che in certi paesi europei è stata applicata alla memoria storica, si propone di rivolgere lo sguardo laddove più oscuro si fa il panorama e più dolorosi risultano gli sforzi da compiere, sorretto dalla virtuosa convinzione che nella triade costituita da «insegnamento», «formazione» ed «educazione» risiedano i nutrienti in grado di alimentare «il futuro dell’Europa».

Il volo di Crainz, diversamente da quello di Céline, è contraddistinto dagli strumenti tipici della dimensione saggistica: alle abbacinanti impressioni stese su pagina dall’autore francese, dunque, Crainz contrappone il metodo solido e scientificamente rigoroso di uno storico di lungo corso, attualmente professore ordinario di Storia contemporanea presso l’Università di Teramo. Il volume in esame è quindi apprezzabile non soltanto per i contenuti che vi sono esposti, ma anche per la lectio metodologica di cui si fa latore: l’incedere di Crainz è caratterizzato da un vasto apparato bibliografico, il quale si muove con agile acribia tra fonti diverse – saggi, contributi in miscellanee, articoli di giornale, testimonianze materiali, manuali scolastici, tesi di laurea, dépliant illustrativi, etc. A suggello della qualità legata all’impianto metodologico adottato dallo storico, inoltre, è bene evidenziare come la trattazione strutturata nel testo proceda sempre con accessibile nitore, non tralasciando mai le criticità derivanti dalle contrapposizioni analizzate.

Il saggio è suddiviso in due parti: la prima, che si sviluppa a elevate altitudini, è costituita da un iter tra le problematiche più logoranti del progetto di allargamento europeo e tiene in considerazione gli usi politici della storia legati ai nazionalismi che già da decenni si oppongono all’integrazione richiesta dall’Unione europea; la seconda, in cui il grado di altitudine diminuisce e lo sguardo di Crainz diviene più analitico, si configura come l’autentico cuore del saggio: dopo un rilevante capitolo dedicato all’Europa delle memorie e alle soluzioni tramite le quali tentare un superamento dei nodi più intricati, lo storico offre al lettore una meticolosa rassegna all’interno della quale vengono esaminati alcuni tra i più emblematici casi di distorsione della memoria storica. Dalla Russia di Putin all’Ungheria di Orbàn, passando per casi complessi come quello polacco, lo storico intesse ricostruzioni che intrecciano il passato recente al presente, tra figure politiche determinanti, progetti dalle storie incidentate e vicende sottoposte a letture aspramente contrastanti.

L’abbrivo del saggio è costituito da un’opera di decostruzione legata ad alcune illusioni europee risalenti al secondo Novecento. Al presunto trionfo avvenuto con il crollo del Muro nel 1989 Crainz affianca una sequenza di eventi sui quali è necessario puntare lo sguardo per comprendere i nodi più problematici del presente: si pensi alla crisi petrolifera del 1973 e all’«ondata neoliberista degli anni Ottanta», al «declino dei partiti di massa del Novecento» e ai difficili ingressi di Regno Unito e Grecia nel cosmo europeo, accompagnati dagli «inquietanti scricchiolii» derivanti dalla bocciatura del progetto di Costituzione europea avvenuto in Francia e in Olanda nel 2005. Così, spiega Crainz in un affresco pregevole per sintesi e messa a fuoco, la «stagione dell’ottimismo» scandita da tappe come il Trattato di Maastricht del 1992 e la definizione dell’area Schengen risalente al 2007, non può essere svincolata dal «sotterraneo inizio di una crisi», legata all’insurrezione di «derive sovraniste e illiberali» e alla diffusione di «gravi processi involutivi» all’interno dei paesi ex comunisti.

All’interno del quadro descritto Crainz colloca un discorso avente il proprio centro nella constatazione seguente: oggi come allora, esistono Europe dai volti diversi, sulle quali il XX secolo si è depositato secondo modalità ed esiti visceralmente eterogenei. In particolare, sostiene lo storico, nei paesi dell’Europa centro-orientale si è verificata «una coincidenza temporale fra l’avvento della democrazia e la fase di maggior influenza del neoliberismo: l’esatto contrario di quel che era avvenuto nell’Occidente del dopoguerra, dove la democrazia si era coniugata con l’affermarsi del welfare». Di qui, l’intersecarsi di processi tanto pericolosi quanto nocivi: l’assenza di un’autentica forma di integrazione degli Stati ex comunisti nel consesso europeo, l’irruzione di liberalizzazioni prive di lungimiranza, l’innesco di immigrazioni di massa, le mutazioni legate ai modi di lavorare e di vivere propri dell’Europa centro-orientale, la diffusione di insicurezze sociali, il dilagare di populismi e nazionalismi, la diffusione di conflitti sempre più profondi in relazione alla memoria storica – tra nostalgia del paternalismo comunista e riscritture del passato nazista. Rispetto a tale plesso di mutamenti Crainz non evita di porre in luce alcuni dei maggiori peccati riconducibili all’Europa occidentale: da un lato, si pensi a fragilità come la questione delle immagini da apporre sulle banconote comuni; dall’altro lato, si considerino errori come quelli legati a una concezione eccessivamente economica e tecnocratica delle procedure di allargamento dell’Unione. Per determinare una positiva inversione di tendenza, argomenta lo storico, oggi più di ieri è «centrale la capacità di riflettere ‘insieme’ sulle ferite, i traumi, le lacerazioni della storia europea».

Posta la necessità culturale di sostenere una concezione di ricerca storica intesa come «processo continuo» che guardi all’Europa in termini di pluralistico «intreccio di influssi reciproci», risulta importante la galleria di casi proposta da Crainz nella seconda parte del saggio. Significative, in questo senso, le costanti individuate all’interno dei vari paesi dell’Europa centro-orientale: dalla Russia alla Romania, si presentano con regolarità deformazioni della memoria storica come la condanna netta del dominio comunista, la negazione del ruolo esercitato nella Shoah, singolari forme di tolleranza o esaltazione dei legami collaborazionistici con il nazismo, retoriche imposizioni rivolte ai programmi scolastici, declinazioni in senso nazionalistico di vicende plurisecolari, decisioni controverse rispetto a musei e iniziative volte a restituire la realtà storica. Spiccano, in particolare, ricostruzioni come quella relativa alle memorie contese, nella ex Jugoslavia, tra Croazia e Serbia o quella dedicata ai diversi esiti che l’elaborazione della Shoah e del Gulag hanno ricevuto negli Stati ex comunisti – si pensi, in particolare, alle riletture del passato riscontrate nei Paesi baltici. Di notevole valore, poi, è lo spazio in cui Crainz si occupa del Museo della Seconda Guerra Mondiale di Danzica: vicenda rappresentativa sia in relazione al contesto polacco sia in rapporto al macrocontesto esaminato.

Se si vuole realmente «dar corpo a un futuro comune», sostiene in definitiva lo storico, è fondamentale tenere a mente «l’importanza dell’insegnamento nella costruzione dell’Europa e il ruolo centrale che dovrebbe svolgere […] una rete culturale e civile transnazionale […]». Occorre rivisitare la storia e il suo insegnamento, tanto nell’occidente quanto nell’oriente europei: per superare i nazionalismi, infatti, serve una storia fatta di «civiltà», intesa come «frutto del contributo dei diversi popoli e della circolazione delle conquiste del sapere». L’Europa unita, dunque, sarà soltanto quando tale unità accoglierà autenticamente una dimensione culturale comune.

 

  

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