Il successo del nostro PNRR è la chiave per il successo di NGEU (di cui siamo i principali beneficiari). E questo successo è indispensabile per aprire la via a decisioni coraggiose su una “capacità fiscale permanente” dell’Unione.
Nel 2020 l’Unione europea in risposta alla pandemia aveva saputo attivare, con inattesa rapidità, una pluralità di interventi, culminati nel varo di Next Generation EU (NGEU) e nella decisione di finanziarlo con l’emissione di debito europeo (con scadenze fino al 2058). Non ancora un “momento hamiltoniano”, ma certo un passo ricco di prospettive per il futuro dell’Unione. Com’è noto, NGEU è uno strumento temporaneo, fino al giugno 2026, incentrato su riforme e investimenti. Le risorse mobilitate ammontano a 750 miliardi di euro, 390 sotto forma di sussidi e 360 di prestiti. La “Recovery and Resilience Facility” (RRF), con circa il 90% dei fondi complessivi, ne costituisce l’architrave.
NGEU da un lato ha segnato una profonda discontinuità rispetto a scelte passate di corto respiro, dall’altro si è posto in positiva continuità con le scelte lungimiranti della Commissione von der Leyen prima dell’esplosione della pandemia. La “doppia transizione”, ecologica e digitale, perno programmatico della Commissione per il quinquennio 2019-2024, è diventata il cuore anche di NGEU, con il vincolo per gli Stati membri di destinare alla transizione green almeno il 37% dei fondi a disposizione e almeno il 20% a quella digitale.
La gestazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) dell’Italia è stata notoriamente travagliata. L’ammontare di risorse della RRF destinato all’Italia (191,6 miliardi di euro – 69 di sussidi e 122,6 di prestiti) è stato un successo del secondo governo Conte, ma la stesura del Piano ha innescato forti divergenze politiche, sfociate nella nascita del governo presieduto da Mario Draghi. A quell’esecutivo si deve la versione finale del PNRR, trasmessa in extremis alla Commissione europea, il 30 aprile 2021, e approvata dal Consiglio (su proposta della Commissione) il successivo 13 luglio. La gestione del Piano è ora nelle mani del governo guidato da Giorgia Meloni, scaturito dalle elezioni del 25 settembre 2022.
Difficile sopravvalutare la complessità del nostro PNRR, a partire dal fatto che l’Italia è uno dei pochissimi Stati membri che ha chiesto fin dall’inizio l’intera quota di sussidi e di prestiti. Il Piano si articola su sei Missioni (in sintesi: Digitalizzazione; Transizione ecologica; Mobilità sostenibile; Istruzione e ricerca; Inclusione e coesione; Salute), con delle “priorità trasversali” (generazionali, di genere e territoriali), sedici Componenti e quattro riforme “di contesto” (Pubblica Amministrazione; Giustizia; Semplificazione; Concorrenza), per un insieme di 63 riforme e 132 investimenti. Le verifiche della Commissione, preliminari all’esborso delle risorse, si basano sul raggiungimento di traguardi qualitativi (milestone – 213 per l’Italia), che di norma si traducono in obiettivi quantitativi (target – 314 per l’Italia). Al PNRR è stato anche affiancato un Fondo di bilancio nazionale, di circa 31 miliardi di euro, per azioni a integrazione di quanto previsto dal Piano.
La governance del Piano è un fattore chiave per il suo successo. La Commissione europea ha doverosamente chiesto di avere un unico interlocutore in ciascun Paese per i rispettivi PNRR. Questo ha innescato prevedibili tensioni, in Italia, dato il potere e le responsabilità in gioco. Il governo Draghi aveva individuato nel Ministero dell’economia l’interlocutore del livello europeo, affiancato da una “Cabina di regia” di coordinamento. Il governo Meloni ha rivisto la governance, dopo vari mesi – il che non ha giovato alle tempistiche del Piano –, spostandola su un ministro “per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di coesione e il PNRR”, collegato alla Presidenza del Consiglio e individuato in Raffaele Fitto (all’epoca parlamentare europeo).
Come sottolineato dal Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nelle sue Considerazioni finali, il 31 maggio scorso, “Il Piano rappresenta un raro, e nel complesso valido, tentativo di definire una visione strategica per il Paese”. Il PNRR dovrebbe quindi essere considerato una sfida e un impegno nazionali, per superare alcune nostre debolezze strutturali, dentro una comune agenda europea orientata allo sviluppo sostenibile. Ma i tempi serrati per la definizione del Piano hanno reso più difficile – malgrado gli sforzi per coinvolgere enti territoriali e parti sociali – far maturare una solida consapevolezza collettiva sia sui suoi obiettivi riformatori sia sugli indispensabili vincoli “disciplinanti” che NGEU ci pone.
D’altro canto, la grande quantità di risorse a disposizione e il tempo relativamente limitato per utilizzarle ha indotto a includere nel Piano progetti già in essere (per 51,4 miliardi di euro), non sempre coerenti con i criteri di NGEU, e forse a sopravvalutare (malgrado le non positive esperienze passate con i fondi europei) le capacità di metterlo in atto della nostra Pubblica Amministrazione – anche se proprio il rafforzamento delle sue strutture e competenze è uno dei cardini del Piano. Se paiono fuori luogo i dubbi sull’avere chiesto “troppe risorse”, è invece legittima la preoccupazione sia per il debito aggiuntivo che l’Italia dovrà fronteggiare (tenuto conto anche del periodo in cui era sospeso il Patto di Stabilità e Crescita) sia per il rischio che alcuni investimenti possano dare luogo a future spese in conto corrente di difficile copertura. Ma la sfida più drammatica è arrivata dall’esterno, con l’aggressione della Russia all’Ucraina.
Sia NGEU sia i Piani nazionali hanno dovuto fare i conti con le conseguenze del ritorno della guerra in Europa: dalla crisi energetica alla ripresa dell’inflazione, dal rialzo dei tassi d’interesse ai rischi di recessione. La Commissione, già nel maggio del 2022, ha varato l’iniziativa REPowerEU, incentrata su diversificazione delle fonti (per uscire dalla dipendenza dal gas russo), risparmio energetico, impulso alle rinnovabili. La necessità di valutare l’impatto del nuovo scenario sui costi dei Piani nazionali e di innestare su di essi REPowerEU (che comprende 2,76 miliardi di euro di risorse aggiuntive per l’Italia) è andata di pari passo con una verifica – annunciata dal governo Meloni fin dal suo insediamento – sullo stato di avanzamento del Piano. Con l’intenzione di arrivare a una “richiesta motivata” di modifiche del Piano da sottoporre alla Commissione, che deve valutare se ne sussistono le “circostanze oggettive”, come previsto dal Regolamento della RRF.
L’Italia ha già ottenuto dalla Commissione un prefinanziamento, ad agosto 2021, pari a 24,9 miliardi di euro. Ad esso ha fatto seguito il versamento della prima tranche per 21 miliardi, ad aprile 2022, e della seconda tranche, di importo analogo, nel novembre 2022. La terza tranche (saranno dieci in totale), chiesta a dicembre 2022, è stata oggetto di sette mesi di trattative e sarà di 18,5 miliardi anziché 19, con il rinvio di un obiettivo sui 55 previsti, mentre la quarta ammonterà a 16,5 miliardi. Ma il passaggio più delicato e controverso (anche per i tempi lunghi che ha richiesto) sta nella proposta di revisione del PNRR e inserimento in esso del capitolo REPowerEU, trasmessa dal governo alla Commissione il 7 agosto scorso. Si propongono modifiche a 144 investimenti e riforme, variamente motivate: da semplici aggiustamenti formali, a riprogrammazioni a fronte di problemi sopravvenuti, alla esclusione di alcuni progetti dal PNRR, per quasi 15,9 miliardi di euro, con la (vaga) promessa di finanziarli con altre risorse. Fondi stornati che andranno in gran parte a rimpolpare gli investimenti del REPowerEU italiano, che assommerà a circa 19 miliardi di euro. Su tutto questo è avviata l’interlocuzione con la Commissione europea. Che difficilmente accoglierà con favore l’annacquamento di riforme strategiche come quelle legate ai tempi della giustizia, al codice degli appalti o al contrasto all’evasione fiscale.
Al di là della sarabanda di progetti e di cifre del PNRR, è importante che l’opinione pubblica italiana non perda mai di vista il quadro d’insieme. Ci sono scelte nazionali, nel Piano, che dipendono solo da noi, senza alibi ipocriti scaricati su “Bruxelles”. E ci sono scelte europee di cui siamo corresponsabili: il successo del nostro PNRR è la chiave per il successo di NGEU (di cui siamo i principali beneficiari). E questo successo è indispensabile per aprire la via a decisioni coraggiose su una “capacità fiscale permanente” dell’Unione, con un Bilancio pluriennale europeo rafforzato, alimentato da risorse proprie e focalizzato sulla produzione di beni pubblici europei. Queste scelte dovranno essere al centro dell’agenda su cui si confronteranno le forze politiche in vista delle elezioni europee del giugno 2024.