Il Consiglio europeo del 14-15 dicembre non si esprime sulla convocazione della Convenzione e conferma una volta ancora le inadeguatezze istituzionali dell’UE. La presidenza spagnola, tuttavia, batte un colpo e qualcosa sotto traccia si muove.
Pur coi compromessi al ribasso necessari per far passare in plenaria le proposte di modifica dei Trattati avanzate dalla Commissione affari costituzionali, il voto del Parlamento europeo del 22 novembre scorso ha segnato un punto di svolta e l'avvio di una seria discussione sul futuro dell'Unione europea. Le speranze ed anche le pressioni dei federalisti si sono subito concentrate sul Consiglio europeo di metà dicembre, ben sapendo che è al suo interno che si annidano i sostenitori dello status quo. Le scuse che il Presidente Michel e vari leader nazionali hanno portato per non mettere all'ordine del giorno la proposta del Parlamento erano talmente fasulle che il vertice stesso si è incaricato di sbugiardarle.
Quando si finisce per tollerare ed anzi per suggerire simili scappatoie, è inutile poi stracciarsi le vesti di fronte ai tanti che pretendono di usare l'UE come un bancomat.
Le grandi discussioni che avrebbero impedito a lorsignori di occuparsi delle riforme istituzionali hanno prodotto esiti così avvilenti che vien naturale chiedersi quale capricciosa divinità abbia spinto a definire come storici quei miseri mercanteggiamenti. Era lecito almeno sperare che qualche novello Cicerone avrebbe osato seguire l'esempio del celebre console romano nelle ovattate stanze di Palazzo Justus Lipsius: “Fino a quando abuserai della nostra pazienza, Victor Orbán? Fino a quando ci ricatterai coi tuoi veti?” Al contrario, si è trovato il meschino escamotage di far uscire dall'aula l'astuto autocrate di Budapest al momento del voto, contrabbandando il gesto come “astensione costruttiva”. Il breve giro in corridoio gli ha infatti fruttato l'incasso di 10 miliardi di fondi bloccati per il mancato rispetto dello stato di diritto e della divisione dei poteri. Mossa costruttiva per Orbán, mossa distruttiva per l'Europa. Tanto più che il nostro eroe non si è trattenuto dal proclamare ai quattro venti: “Ci saranno altre occasioni per esercitare il veto, fino a quando non ci verranno dati gli altri 23 miliardi che ci sono dovuti.” Quando si finisce per tollerare ed anzi per suggerire simili scappatoie, è inutile poi stracciarsi le vesti di fronte ai tanti che pretendono di usare l'UE come un bancomat.
Ciò detto, non resta meno vero che bisogna rompere il fronte dei governi e arrivare ad avere la maggioranza tra i Ventisette, se si vuole attivare la procedura di revisione prevista dall'art. 48 del Trattato di Lisbona. Vanno segnalati a tal proposito due fatti incoraggianti.
L'altro fatto che dimostra che anche tra i governi c'è chi ha compreso la portata della posta in gioco è l'accordo franco-tedesco inteso ad appoggiare alcune richieste del Parlamento europeo.
La presidenza spagnola del Consiglio dell'UE ha infatti trasmesso la richiesta del Parlamento al Consiglio europeo, vale a dire ai capi di Stato e di governo. Ecco il commento di Domènec Ruiz Devesa, Presidente dell'UEF, su questo importante passaggio: “"Naturalmente la strada da percorrere è ancora lunga. Innanzitutto, il Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, deve mettere la questione all'ordine del giorno della prossima riunione del Consiglio europeo, che si terrà a gennaio o al massimo a marzo 2024. In secondo luogo, si dovrà cercare una maggioranza [...]. Tutto questo prima delle elezioni europee di giugno. Quello che è certo è che il governo spagnolo, durante la sua presidenza di turno del Consiglio, ha fatto il suo lavoro in questo ambito, e con onore". L'altro fatto che dimostra che anche tra i governi c'è chi ha compreso la portata della posta in gioco è l'accordo franco-tedesco inteso ad appoggiare alcune richieste del Parlamento europeo, in particolare sulla forte limitazione se non sulla fine del voto all'unanimità.
Anche dal fronte della Commissione, infine, giungono buone notizie. Nel suo recente intervento al Parlamento di Strasburgo, a cui ha riconosciuto il merito “di aver avanzato idee coraggiose per la riforma dei nostri Trattati”, la Presidente Ursula von der Leyen si è impegnata a presentare un pacchetto di proposte per “preparare ad una Unione con più di 30 Stati membri.”
Fortuna vuole che in questo primo semestre del 2024 la presidenza del Consiglio dell'UE sia affidata al Belgio, un Paese che ha una lunga tradizione europeista ed anche una buona capacità di gestire importanti dossier europei. A inizio gennaio Charles Michel aveva però annunciato di volersi presentare alle elezioni europee, lasciando anzitempo la guida del Consiglio europeo. La scelta avrebbe potuto avere conseguenze nefaste nei delicati passaggi che ci aspettano. Nel secondo semestre la presidenza del Consiglio dell'UE spetterà infatti all'Ungheria e c'era quindi il rischio che fosse proprio Victor Orbán a condurre le danze, con gli esiti che è ben facile immaginare. Per fortuna Michel è tornato sui suoi passi, dimostrando un po' di responsabilità.
Il severo ammonimento rivolto dall'UEF al Consiglio europeo resta però più che opportuno: “La richiesta di modifica del Trattato deve essere presa in considerazione dal Consiglio europeo innanzitutto perché è urgente e necessaria. L'Unione europea non dispone degli strumenti indispensabili per agire di fronte alle sfide della sicurezza e della competizione economica che stiamo vivendo. La guerra della Russia contro l'Ucraina e le sue ingerenze, i flussi migratori, la transizione ecologica e digitale e l'allargamento ci costringono ad agire. Oggi più che mai abbiamo bisogno di riformare il nostro quadro istituzionale.