I risultati delle elezioni europee ci consegnano un quadro preoccupante, che mostra il divario crescente tra una larga parte dei cittadini e le istituzioni democratiche. Sono cresciuti nella maggior parte dei Paesi i consensi alla destra anti-europea e anti-sistema, nemica più o meno apertamente dello stato di diritto e del sostegno all’Ucraina. In particolare, preoccupa il crollo dei consensi per Macron in Francia e per il governo Scholz in Germania, ossia nei due maggiori Stati membri dell’UE, da sempre motore insostituibile (anche se ormai in affanno da quasi 25 anni) del processo di unificazione. Si tratta di un chiaro indicatore delle difficoltà dei governi nazionali che si collocano nel quadro delle scelte europee ad intercettare il consenso – e le esigenze – dei cittadini. Una tendenza confermata – per limitarsi ad alcuni esempi pesanti – anche dalla fragilità di molti altri governi.
Questo risultato non cade dal cielo. Con la svolta degli anni Duemila, l’Unione europea ha abbandonato l’obiettivo di far precedere l’allargamento dall’approfondimento. L’approfondimento significava costruire l’unità politica di un nucleo di Stati più coeso all’interno dell’Unione europea, allargandola al tempo stesso con il Mercato unico ai nuovi membri, con cui in questo modo diventava possibile anche condividere, oltre a l’acquis communautaire, un percorso graduale verso una maggiore integrazione politica. Era l’idea della Federazione nella Confederazione di cui si discuteva a metà degli anni Novanta, ripresa l’ultima volta da Fischer nel 2000 con il suo discorso alla Humboldt Universität; un’idea che avrebbe permesso all’Europa di avere una politica estera, una politica economica, una politica interna all’altezza delle nuove sfide che si aprivano dopo la fine del bipolarismo e l’avvio della globalizzazione e dell’era digitale.
Non aver capito che era venuto il momento di completare la costruzione dell’unione politica europea ha portato l’Europa a subire i contraccolpi di molteplici crisi rispetto alle quali non aveva gli strumenti adeguati per reagire e ancor meno per prevenirle. Il Next Generation EU è stato una boccata d’ossigeno, fondamentale, ma il fatto di mantenerlo come un atto straordinario in risposta ad un periodo eccezionale ha indebolito la sua carica positiva verso l’opinione pubblica. Il cammino dei nemici dell’Europa non si è dunque arrestato, anzi la loro retorica ha continuato a far breccia in un’opinione pubblica disorientata e priva di punti di riferimento forti. Le nostre società stanno attraversando una fase di cambiamento profonda e radicale che scuote le fondamenta del patto di cittadinanza e della percezione che le persone hanno della propria collocazione nella società e nel mondo. La politica nazionale con cui i cittadini si confrontano è sempre più misera e in crisi e l’Europa – che sarebbe la risposta, perché porterebbe una nuova cittadinanza, un nuovo progetto politico, una nuova comunità in cui costruire una nuova identità di cittadino – non arriva alle persone come dovrebbe nelle cose positive che fa, mentre i suoi limiti appaiono evidenti a tutti.
La lezione da trarre è quindi chiarissima. Il nodo cruciale è che questa Unione europea non può continuare a vivacchiare come tenta di fare da troppo tempo. C’è bisogno e urgenza di poter fare politiche efficaci internamente ed esternamente in quella lunga serie di ambiti economici e politici in cui le politiche nazionali sono assolutamente insufficienti. Serve per questo creare un livello di governo europeo autonomo (nelle competenze, nelle risorse, nella capacità di agire); e a questo si aggiunge che l’attuale situazione, mantenendo al centro della vita democratica e della dialettica politica il livello nazionale nonostante la sua palese inadeguatezza, crea l’impressione che il coordinamento che si cerca a livello europeo tra Stati membri su tutte le materie più cruciali sia un vincolo odioso, e non la risposta sbagliata alla necessità ineludibile di agire come Europei uniti nel mondo. Questo sistema crea l’impressione di uno svuotamento della democrazia stessa, e questa impressione sarà sempre più forte finché non sarà creata una sovranità europea democratica.
Questi, del resto, sono i punti fatti emergere dal processo della Conferenza sul futuro dell’Europa, con la richiesta di un’Europa più capace di agire e più democratica e vicina ai cittadini, che chiedono maggiori possibilità di partecipazione, sia diretta, sia attraverso un rafforzamento dell’organo istituzionale che li rappresenta, il Parlamento europeo. Questo è anche il senso e la ragione del lavoro fatto dal Parlamento uscente con la proposta di riforma dei Trattati trasmessa insieme alla richiesta di avviare una Convenzione (come previsto dai Trattati) tramite la presidenza spagnola del Consiglio dell’UE al Consiglio europeo a dicembre del 2023, e ora nelle mani del Consiglio europeo, ossia dei governi.
In questo quadro è una prima notizia importante che le forze della destra nazionalista non abbiano comunque raggiunto i numeri per una maggioranza alternativa e che rimangano molto divise al loro interno; così come è una notizia importante che il blocco del PPE, dei Socialisti e dei Liberali abbia tenuto e che quindi ancora una volta nel PE il criterio di aggregazione sia non quello tra forze di destra contro quelle di sinistra, ma forze-pro-europee contro quelle antieuropee. Come federalisti, caldeggiamo un accodo di legislatura tra le forze pro-europee che includa – avendo innanzitutto come discriminante il sostegno all’Ucraina – la volontà di mantenere fermo l’obiettivo della Convenzione promosso dal Parlamento uscente per avviare la riforma dei Trattati. A questo scopo crediamo che le forze che formeranno la nuova maggioranza dovranno cercare di ottenere il supporto della nuova Commissione europea in questa battaglia, quel supporto che invece non c’è stato al termine della passata legislatura.
L’altra notizia importante è che le forze pro-europee, tutte, si sono impegnate insieme nella scorsa legislatura per elaborare le proposte di riforma dei Trattati e che quindi tutte hanno incluso per la prima volta nel loro programma elettorale questo punto. Questa svolta non era scontata, come non lo è il fatto che il federalismo sia tornato ad essere il riferimento centrale nel pensare il futuro dell’Unione europea e sia nuovamente al centro del processo europeo. Sarà fondamentale lavorare – innanzitutto con il Gruppo Spinelli – perché questa svolta venga confermata anche nel nuovo Parlamento.
In questo quadro, dobbiamo essere consapevoli che i nostri nemici – i nemici dell’Europa – sono due: i nazionalisti da un lato e i “realisti” dall’altro, che qualcuno chiama efficacemente i neo-funzionalisti. Questi ultimi sono quelli che, visti i risultati delle elezioni, sostengono la necessità di abbandonare l’ipotesi della riforma dei Trattati per avanzare – dopo 15 anni di vita del Trattato di Lisbona – sfruttando le opportunità di riforma contenute nei Trattati esistenti, ossia la possibilità di un accordo intergovernativo unanime per sbloccare l’unanimità (sic!); tutto questo mentre nel Consiglio cresce il peso dei nazionalisti rispetto al passato, passato in cui non si è mai trovato un simile accordo. Per i realisti, dunque, è più facile che i governi si accordino all’unanimità di privarsi del controllo su materie fondamentali e del potere di veto, piuttosto che accettare a maggioranza semplice di avviare la Convenzione in cui i giochi sarebbero comunque aperti; è come dire che è meglio arrendersi per evitare la possibilità di essere sconfitti.
Dal canto loro, i nazionalisti, con la loro ideologia di smantellamento dell’UE mascherata dietro all’obiettivo dell’Europa delle nazioni, sono un enorme pericolo a causa del consenso che guadagnano nell’opinione pubblica e dello sconcerto che creano nella percezione dei cittadini; ma la loro ricetta per l’UE di per sé è impraticabile. La loro vera forza, perciò, viene proprio dal fatto di dare fiato a quei realisti che si nascondono dietro di loro per dire che non è il momento di affrontare il cambiamento di cui l’UE ha bisogno e che si deve temporeggiare ancora, e in questo modo alimentano la frana perché bloccano la possibilità di intervenire sulle sue cause.
In conclusione, in questa nuova legislatura la strada per la Convenzione è diventata sicuramente più stretta, ma è altrettanto vero che è ancora più importante e necessaria, e che, soprattutto, non ha alternative – perlomeno alternative positive. Per questo le forze pro-europee devono aumentare i loro sforzi ed essere più determinate che mai. Compito dei federalisti sarà sostenerle e aiutarle ad individuare i passaggi possibili, e lavorare per creare consenso intorno alla loro battaglia. Queste del 2024 dovrebbero essere le ultime elezioni europee in cui, invece di un confronto sul futuro dell’Europa, i cittadini si vedono coinvolti in elezioni in cui vanno a dare un giudizio (gratis) sui governi nazionali per la loro politica interna. Bisogna liberare le potenzialità dell’Europa e la sua carica innovativa rivoluzionaria. Come abbiamo detto tante volte, da questo dipende il nostro futuro, ma anche quello dell’intera umanità.