Nel secondo appuntamento con la Bussola federalista, ci occupiamo dello smascheramento del mito della nazione. Nelle illuminanti pagine de Lo Stato nazionale, Mario Albertini, dopo aver confutato l’idea che la nazione possa corrispondere a una razza, una lingua o altri elementi specifici, dopo aver decostruito l’idea della nazione come “organismo vivente” o come “plebiscito di tutti i giorni”, delinea il concetto di nazione come fedeltà suprema del cittadino a un’identità che si afferma solo dalla Rivoluzione francese in poi. Una fedeltà suprema che si accompagnò alla diffusione dello Stato burocratico e fu sfruttata dai nazionalismi. Uno sviamento che perdura ancora (“right or wrong, my Country”) e che solo una Federazione europea può superare.
 

Lo Stato nazionale

Mario Albertini
 

Premessa

La nazione non è soltanto un idolo sanguinoso, l’idolo che ha fatto più morti. Essa è anche un rompicapo per gli studiosi sul piano delle idee. [...]
Secondo Popper, «[il principio dell’autodeterminazione nazionale] equivale all’esigenza che ogni Stato sia uno Stato nazionale, che sia limitato da un confine naturale, e che questo coincida con la naturale dimora di un gruppo etnico, la “nazione”, a determinare e proteggere i confini naturali dello Stato. Ma degli Stati nazionali di questo genere non esistono» . Ciò che bisogna chiedersi, tuttavia, è come mai tutti gli uomini, o quasi, pensano che esistano, e credono che sia proprio questa la forma normale, o naturale, dello Stato. E bisogna anche chiedersi che senso ha, nel nostro tempo, capire che cosa è la nazione, cercare di definirla.

Per gli italiani della mia generazione ciò è stato – o avrebbe dovuto essere – una necessità. Per venire a capo del problema del fascismo, che resta insoluto sino a che non si stabilisca che cosa impedì alla democrazia di fermarlo prima che fosse giunto al potere, a noi non è bastato mettere in questione i partiti politici e le loro ideologie, dal liberalismo al comunismo. Noi abbiamo dovuto – o avremmo dovuto – mettere in questione il fatto stesso di essere italiani, la nostra stessa nazionalità; e non solo per motivi teorici, ma anche per motivi posti direttamente dalla vita, dal confronto con gli avvenimenti. […]
 

CAPITOLO I. Lo stato della questione

[…] La maggior parte degli uomini sa qualcosa della mescolanza delle stirpi umane nei territori oggi sede degli Stati nazionali, e conosce l’esistenza di nazioni plurilinguistiche come la Svizzera, o di nazioni formate dall’apporto trisecolare di diversi gruppi europei come l’America del Nord. Del resto questa idea, nella sua portata di schema concettuale, è facilmente comprensibile (le nazioni sarebbero gruppi composti da individui che avrebbero caratteristiche razziali comuni) e facilmente criticabile (i caratteri razziali effettivamente isolati dagli antropologi non stabiliscono divisioni corrispondenti alla divisione dell’umanità in nazioni). Questo fatto basta per escludere l’identificazione delle razze con le nazioni.

[…] Si può passare da certe conoscenze precise (la reazione di Caio offeso nel suo sentimento nazionale) a certe conoscenze generali imprecise (la nazione tedesca acquistò coscienza di sé stessa nel periodo napoleonico). [...] Abbiamo esperienza del fatto che «la nazione tedesca acquistò coscienza di sé durante il periodo napoleonico», ma non conosciamo con precisione il movente, il carattere e via dicendo delle azioni individuali implicate, né gli stessi individui implicati, e perciò siamo costretti a pensare come se esistesse un «organismo vivente». Naturalmente, presa alla lettera, l’idea dell’«organismo vivente» non ha senso, e induce a svolgere considerazioni fantastiche su un soggetto inesistente e ad attribuire certi predicati (desunti senza alcun criterio da fatti umani) alla «persona collettiva». […]

[Renan] negò che il fondamento della nazione stia nella lingua, nella razza, nello Stato e così via, e ridusse tale fondamento alla volontà degli individui di vivere insieme, al «plebiscito di tutti i giorni» . Ciò equivale a dire che le nazioni sarebbero dei gruppi composti da individui che avrebbero come unico movente di tale loro relazione di gruppo il desiderio di stare insieme: idea che configura una società ideale nella quale tutte le azioni simili o coordinate dei membri del gruppo nazionale dovrebbero risultare soltanto da decisioni unanimi di tutto il gruppo, o quanto meno allude a gruppi nazionali nei quali nessun membro del gruppo disubbidisca o ubbidisca di malavoglia a decisioni del gruppo dirigente. Evidentemente questa idea dei comportamenti nazionali è arbitraria e si traduce, quando la si usa per descrivere qualche fatto, in un predicato della nazione come «persona collettiva», del tipo che si riscontra nelle frasi del genere «la Francia ha voluto».

[...] Milioni e milioni di volte uomini sono morti cruentemente e sulle loro labbra c’era, o fu messa, la parola Francia, Germania, Italia e così via. Essa significava sempre qualche cosa di più del puro comando di un potere politico, però non sappiamo veramente che cosa significasse. Noi non sappiamo ancora con quale motivazione queste parole condannano gli uomini a far coincidere un atto di devozione suprema e di sacrificio totale con la negazione altrettanto totale dei valori umani implicati; in altri termini non sappiamo perché queste parole fanno del sacrificio della vita, del morire, un valore proprio quando questo sacrificio coincide con la negazione del valore della vita altrui, con l’uccidere.

[…] Per ogni nazionalismo vale la regola: «right or wrong, my country».
 

CAPITOLO II. Il problema dell'esame storico

[…] Kohn ha mostrato che [il nazionalismo] non dipende dalle tradizioni, dalla lingua, dallo Stato, ma dalla «stretta identificazione politica e culturale dell’individuo con la sua nazionalità, che si verificò alla fine del secolo decimottavo ed al principio del decimonono, e si estese al campo economico solo durante l’ultima parte del decimonono». Per tale identificazione «il periodo della storia moderna, che comincia con la rivoluzione francese, è caratterizzato dal fatto che in questo periodo e solo in questo periodo la nazione esige dall’uomo la suprema fedeltà, esige che tutti gli uomini, non solo alcuni individui e classi, siano trascinati in questa fedeltà comune». Prima della rivoluzione francese «la fedeltà dell’individuo era dovuta alla sua chiesa o alla sua religione: un eretico si poneva al di là delle frontiere della società come lo fa oggi un individuo traditore della sua nazione». […]
 

CAPITOLO III. Le origini del nazionalismo

[Nel corso dell'ottocento] «gli individui che non erano national minded dovettero divenirlo» . Ciò accadde sia per effetto dell’azione della classe politica, sia per evoluzione spontanea. Ormai, negli Stati dove l’unificazione della lingua, del territorio, e il rilievo «nazionale» della coscienza religiosa condizionavano la situazione di potere, «gli uomini nascevano in Stati nazionali, erano spesso educati in scuole nazionali, la loro cultura li condizionava già a pensare in termini nazionali, ed i loro leader usualmente insegnavano (o propagandavano) loro la venerazione degli idoli e degli ideali nazionali». […]
 

CONCLUSIONE

[…] Il sentimento nazionale diventa tanto più forte ed esclusivo quanto più questi legami aumentano in estensione (numero dei cittadini effettivamente coinvolti) e profondità (quantità di attività umane collegate allo Stato). Si può descrivere con maggiore precisione questa relazione nel modo seguente. Quando tutti i cittadini partecipano alla vita nazionale, ed un numero sufficiente di attività umane importanti cadono sotto la competenza dello Stato, l’interesse del gruppo considerato come bene supremo diventa per tutti il criterio per giudicare tali attività (che legano anche psicologicamente il cittadino alla nazione). In tal caso queste attività non vengono più giudicate soltanto per il loro valore specifico – ad esempio l’attività economica in termini esclusivamente economici – ma vengono valutate anche per i servizi che possono rendere alla nazione, ossia per il loro valore nazionale. E non basta. In caso di conflitto tra il valore specifico di una certa attività, ed il valore nazionale, il valore nazionale prevale (si manterranno ad esempio mediante il protezionismo aziende non competitive ma necessarie per la sicurezza o la gloria della nazione). Nella misura in cui lo Stato aumenta le sue competenze, cresce il numero delle attività umane cui si applica tale scala di valori. Naturalmente, se le competenze dello Stato finiscono col coprire gli aspetti più importanti della vita sociale, e riguardano anche la scuola, la cultura, la religione e così via, il nazionalismo, proprio per l’estensione della sua scala di valori a tutte queste attività, finisce col diventare esclusivo, livellatore, totalitario, e trasforma davvero, come afferma Namier, il gruppo nazionale in un’orda. […]

----

Sono qui riportati estratti del libro di Albertini. È possibile recuperare gratuitamente l’opera completa su https://fondazionealbertini.org/.

 

  

L'Unità Europea

Giornale del

MovimentoFederalista Europeo

Edizione a stampa
Codice internazionale: ISSN 1825-5299
Catalogazione e disponibilità: Catalogo ACNP

 

Edizione online
Codice internazionale: ISSN 2723-9322
Sito Internet: www.unitaeuropea.it

L'Unità Europea su Facebook

Iscriviti alla alla newsletter

 

Sito internet: www.mfe.it

Pagina Facebook del MFE L'MFE su Twitter L'MFE su YouTube

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). E' possibile scegliere se consentire o meno i cookie. In caso di rifiuto, alcune funzionalità potrebbero non essere utilizzabili. Maggiori informazioni