La distribuzione delle massime cariche dell'Unione Europea, dopo le elezioni del Parlamento Europeo di giugno 2024, ha rafforzato la logica democratica e parlamentare, e quindi anche federale. Il legame tra federalismo, democrazia e parlamentarismo è evidente, perché una federazione che non risponde a questi principi è inconcepibile. Ma anche la suddivisione delle responsabilità tra le forze politiche democratiche risponde alla filosofia federale, nella misura in cui il potere non è concentrato in un unico livello territoriale di governo o in un'unica persona o partito politico.

Così, tre partiti politici democratici ed europeisti, il Partito Popolare Europeo, il Partito dei Socialisti Europei e i Liberali, con la capacità di formare una maggioranza sia nel Parlamento Europeo sia nel Consiglio Europeo, hanno determinato le cariche di Presidente della Commissione Europea, Presidente del Consiglio Europeo e Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune. La formazione di questa coalizione pro-europea, che comprende anche i Verdi al Parlamento europeo e che è ideologicamente trasversale, ma non include l'estrema destra euroscettica o eurofoba, è un buon inizio.

La carica più importante, quella di Presidente della Commissione Europea, che è l’incarico più vicino a quello di Primo Ministro nelle democrazie nazionali, è andata a Ursula Von der Leyen, attuale Presidente e candidata del Partito Popolare Europeo (PPE). Entrambi i leader dei gruppi parlamentari pro-europei, nonché i principali primi ministri di queste famiglie politiche, hanno concluso che, in applicazione del processo di candidatura alla presidenza della Commissione (noto come spitzenkandidaten), il candidato presentato dalla forza politica più votata dai cittadini europei, in questo caso il PPE, dovrebbe essere proposto, almeno in prima istanza. Von der Leyen è stata quindi proposta dal Consiglio Europeo il 27 giugno e ha in seguito ricevuto l'appoggio del Parlamento Europeo durante la prima sessione plenaria della legislatura, il 18 luglio. La procedura è la stessa della maggior parte delle democrazie parlamentari: il Capo di Stato (Presidente della Repubblica o Re) propone alla Camera il candidato premier che ha maggiori probabilità di ottenere la sua fiducia. Nell’Unione Europea invece, il Consiglio europeo agisce come un “Capo di Stato collettivo”. Ciò significa che il governo tedesco ha rinunciato a proporre un commissario socialdemocratico, verde o liberale - espressione della coalizione di governo - a favore di Von der Leyen - espressione di un partito di opposizione. Sarebbe auspicabile che il governo lussemburghese di centro-destra facesse lo stesso con i socialisti a favore dello Spitzenkandidat alla presidenza della Commissione europea, l'attuale Commissario per l'occupazione Nicolas Schmitt.

La nomina di Von der Leyen da parte del Consiglio europeo come spitzenkandidatin significa un aumento del potere del Parlamento.

Il principio dello spitzenkandidat viene così ristabilito dopo l'esperienza negativa del 2019, quando il Consiglio europeo nominò la tedesca anche se non era la candidata del suo partito, e quindi in linea con quanto accaduto nel 2014, quando il Consiglio europeo nominò il candidato presidenziale del PPE, Jean Claude Juncker. Questo significa un aumento del potere dell'elettorato e del Parlamento europeo nei confronti del Consiglio europeo, che è perlomeno obbligato a proporre almeno un rappresentante del partito politico con il maggior numero di seggi.

È anche importante ricordare che il voto favorevole del Parlamento europeo era condizionato da una serie di priorità di programma negoziate dalla candidata e da quattro partiti politici europei: popolari, socialdemocratici, liberali e verdi. Questa pratica, iniziata nel 2014 e che sta diventando sempre più importante in ogni processo post-elettorale, significa che non vengono scelti solo i profili, ma anche un programma di lavoro, come fa qualsiasi coalizione di governo nelle democrazie parlamentari nazionali.

Per quanto riguarda la seconda carica più importante, quella di Presidente del Consiglio Europeo, questa è andata al socialista Antonio Costa, ex Primo Ministro portoghese, ossia a un esponente della seconda famiglia politica del Parlamento Europeo e della coalizione pro-europea. In passato, i socialdemocratici hanno preferito occupare il posto di Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune (nel 2014 con Mogherini e nel 2019 con Borrell), invece ora viene proposta la premier estone Kaja Kallas, proveniente dal gruppo dei Liberali, che però deve ancora superare l'esame davanti al Parlamento europeo.

Le tre famiglie politiche sono quindi rappresentate (equilibrio ideologico), ma c'è anche un equilibrio geografico (Nord, Sud, Est), demografico (Paesi grandi, medi e piccoli) e di genere (due donne e un uomo). L'accordo trasversale ha incluso anche la divisione della Presidenza del Parlamento europeo tra il PPE e S&D, rispettivamente il primo e il secondo incarico.

Meloni è stata esclusa dal processo negoziale non solo perché euroscettica, ma anche perché non aveva il mandato di ECR.

È importante notare che l’accordo complessivo per tutti i seggi è stato negoziato da sei leader: per i Popolari Tusk (Polonia) e Mitsotakis (Grecia), per i Socialisti Sánchez (Spagna) e Scholz (Germania), per i Liberali Macron (Francia) e Rutte (Paesi Bassi) per i Liberali. Detto ciò, non hanno negoziato proprio come Presidenti o Primi Ministri in rappresentanza dei loro Paesi, ma come rappresentanti delle famiglie politiche europee. Questo rafforza la democrazia europea e il suo sistema partitico e, in ultima analisi, spiega anche il fallimento della Premier italiana Meloni, che è stata esclusa dal processo negoziale non solo perché euroscettica, ma anche perché non aveva il mandato della sua famiglia politica, i Conservatori e Riformisti europei.

Quali aspetti di questo processo si potrebbero migliorare in futuro?

In primo luogo, i candidati alla presidenza della Commissione non dovrebbero essere eletti solo al Congresso della loro famiglia politica, ma si dovrebbero anche candidare per un seggio al Parlamento europeo.

In secondo luogo, l'accordo programmatico deve essere siglato da tutte le forze politiche che sostengono la Commissione, in modo che la maggioranza voti nella plenaria del Parlamento europeo in modo coerente (infatti nel 2019 e nel 2024 la negoziazione è avvenuta in modo bilaterale tra ciascun gruppo e il candidato alla presidenza della Commissione). Questo elemento può ancora essere incorporato concordando il programma di lavoro dell'esecutivo dell'UE, in quanto la Commissione nel suo complesso deve ancora essere eletta dopo il controllo parlamentare dei Commissari designati.

In terzo luogo, la negoziazione dell'accordo generale sui posti dovrebbe includere, oltre ai Primi Ministri designati come negoziatori dalle loro famiglie politiche, i Presidenti dei partiti politici europei e i leader dei gruppi parlamentari.

Quarto e ultimo punto, la proposta di una nuova legge elettorale europea per il Parlamento europeo deve essere approvata, in modo che nel 2029 i cittadini europei possano votare direttamente su liste transnazionali presentate dai partiti politici europei e guidate dai loro candidati alla presidenza della Commissione europea.

 

  

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