Come i giovani stanno influenzando il mondo del lavoro in tutto il globo.

Sono in aumento i fenomeni di protesta rivolti verso il mercato del lavoro, un mercato in evoluzione che risente degli effetti del COVID-19. La vita professionale tende ad essere rivalutata in tutto il mondo, e il tempo libero acquisisce sempre più valore per i lavoratori. Dove è possibile notare tali tendenze?

Vediamo alcuni casi. A Singapore il ministero del lavoro ha presentato delle linee guida per richiedere la settimana lavorativa di quattro giorni. Le imprese locali hanno infatti capito che per attrarre nuovi talenti, nel mercato iper-competitivo del lavoro a Singapore, si devono adeguare alle nuove esigenze dell’offerta, mutate dopo la pandemia. I giovani attribuiscono più importanza alla vita privata, scegliendo l’occupazione di conseguenza. L’ampia disponibilità di impiego favorisce il fenomeno, permettendo alle aziende con policy innovative di essere più competitive sul mercato del lavoro: gli elementi principali che influenzano la ricerca di impiego sono il numero di ore lavorate e la possibilità di smart working.   

Questa nuova sensibilità si diffonde in Asia. In Cina nel 2020 è nata sui social la rivoluzione dei tangping: gli “sdraiati” che rivendicano una vita più lenta e piena, criticando il “sogno cinese” basato su sacrificio, superlavoro e competizione. In Corea del Sud, invece, si sono svolte numerose manifestazioni a seguito della proposta del governo di aumentare il massimo di ore lavorative settimanali. Questi movimenti vogliono essere antitetici rispetto alla devastante cultura asiatica del lavoro, di cui l’OMS evidenzia i preoccupanti dati riguardo all’insorgere di patologie legate allo stress lavorativo (per le quali i lavoratori vengono poi stigmatizzati) e i suicidi.

“Rivendicare la settimana corta è una conquista sociale che beneficia tutti.”

Parlare di cultura lavorativa orientale, però, è riduttivo e inesatto. Generalmente il mondo del lavoro è un ambiente gerarchizzato e rigido, ma ogni paese ha peculiarità storiche, culturali e territoriali diverse, i valori cambiano poi a seconda delle generazioni. In Cina l’etica professionale si basa su impegno, dedizione e ambizione, incarnati nella pratica del 996, la quale suggerisce che, per ottenere un tenore di vita ideale, sia necessario lavorare dalle nove di mattina alle nove di sera, sei giorni a settimana.

Proprio per porre freno a questa cultura lavorativa logorante, rivendicare la settimana corta non è sintomo di pigrizia, è invece una conquista sociale che beneficia tutti.

La settimana corta è un modello che valuta i dipendenti sulla base di risultati raggiunti e performance, invece che sulle ore lavorate. Essa incrementa produttività, motivazione e concentrazione, bilanciando lavoro e tempo libero, migliorando il tenore di vita e aumentando la competitività dell’azienda sul mercato lavorativo, tutto ciò mantenendo profitti e salari invariati. A dimostrarlo esistono vari esperimenti, condotti in Nuova Zelanda, Spagna, Irlanda, Belgio, Svezia, USA, Giappone, Italia e Gran Bretagna, dove l’Università di Cambridge ha svolto una ricerca che ha ridotto l’orario lavorativo del 20%, evidenziando una diminuzione di stress, richieste di permessi e giorni di malattia, nonché meno dimissioni rispetto all’anno precedente. I ricavi delle aziende sono rimasti invariati o sono aumentati del 1,4%.

L’innovazione tecnologica e l’intelligenza artificiale ottimizzano tempo e risorse, permettendo di produrre di più nello stesso arco di tempo.

Lavorare per un minor numero di ore significa trovare un modo per mantenere il medesimo livello di produttività. Innovazione tecnologica, automazione, intelligenza artificiale e miglioramenti gestionali permettono di semplificare e velocizzare molti processi, ottimizzando l’uso di tempo e risorse e consentendo ai lavoratori di produrre una quantità maggiore in ciascuna unità di tempo. Questi elementi consentiranno ad ogni Stato di avere un mondo del lavoro all'avanguardia nello sviluppo e nell'utilizzo di tali tecnologie, nonché di garantire ai cittadini un sano equilibrio tra vita e lavoro. Mantenendosi competitivi sul mercato globale e fronteggiando la crescente competizione produttiva mondiale. Si apre dunque un punto di domanda riguardo all'UE: saprà essere uno dei motori dello sviluppo dell’AI, potendo al contempo ridurre l’orario di lavoro dei cittadini europei, o dovrà compensare una minore innovazione puntando su beni e servizi a bassa tecnologia e tenendo un elevato numero di ore lavorate?  

È interessante a ogni modo osservare la dimensione globale di questa nuova sensibilità: le giovani generazioni sono tra loro simili e interconnesse più che mai; lo scambio di idee e valori supera barriere linguistiche e culturali, creando una rete costruttiva che permette l’incontro di persone non così diverse, scardinando quel nazionalismo che spinge a guardare il diverso con diffidenza. A ripensare il mondo del lavoro, infatti, non sono solo gli orientali: Great resignations e Quiet quitting sono esempi occidentali, nati negli USA e diffusi in Europa.

La Great resignation è un fenomeno economico riconosciuto durante la pandemia, per il quale i dipendenti si dimettono in massa a causa di retribuzione, insoddisfazione, scarsa flessibilità, disallineamento tra valori personali e aziendali. Il Quiet quitting, invece, consiste nel rifiutare l’anteposizione del lavoro al benessere personale e gli straordinari non pagati, evitando sacrifici gratuiti per salvare aziende che non assumono abbastanza personale.

Questi fenomeni, come quelli orientali, sono giovanili ed hanno in comune le cause scatenanti. Mentre in Europa si “lavora per vivere”, anche se con differenze tra Paesi e nessuna linea guida dell’UE che renda l’esperienza lavorativa coerente ovunque, negli USA la situazione è diversa: la relazione tra lavoro e vita privata è sintetizzata in un approccio aggressivo che genera un’impressionante produttività, dovuta alle competenze dei lavoratori e l’uso della tecnologia. Il confine tra persona e impiego sbiadisce nella glorificazione dell'ascesa al successo, i sintomi di questa febbrile corsa al profitto si verificano con l'inutilizzo di giorni di malattia e pause per i pasti, la pratica di straordinari non pagati e reperibilità costante. Il sogno americano illude che diventare ricchi sia alla portata di tutti, quando la mobilità di classe è calcificata. Essere poveri è una colpa. La Hustle culture spinge a lavorare di più, guadagnare di più, aspirare a posizioni più prestigiose, danneggiando corpo e mente.

I movimenti di protesta, orientali e occidentali, intendono scardinare queste retoriche alienanti, e tra le cause c’è anche il contesto storico. In un mondo globalizzato e frenetico, risulta difficile accettare i modelli tradizionali; “si è sempre fatto così” non basta più. La pandemia ha accelerato tutto questo, il lockdown ha esaltato il valore della vita, modificando le condizioni in cui le persone avrebbero lavorato al suo termine, trasformate dallo smart working. Si è diffusa la consapevolezza della preziosità del tempo libero non “utile”, da usare anche solo per riposare, riscoprendo che il valore di una persona non è legato a ciò che produce, essere è abbastanza.

 

  

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