Dopo le convention dei partiti democratico e repubblicano che hanno decretato i due sfidanti all’Elezione Presidenziale, la campagna elettorale americana è entrata nel vivo. L’attentato a Trump del 14 luglio è solo uno dei sintomi del livello di polarizzazione, scontro e potenziale violenza raggiunto dalla situazione politica negli Stati Uniti. Le elezioni presidenziali statunitensi rappresentano non solo una contrapposizione tra due correnti politiche differenti, ma anche tra una forza politica che mira in larga parte a preservare il presente equilibrio di poteri nel paese ed una decisa a modificarlo profondamente.

L’Agenda 47, programma politico ufficiale presentato dal candidato Trump, rappresenta un significativo tentativo di espandere i poteri dell’esecutivo. Il programma, elaborato a partire dal 2022, si contraddistingue per uno stile fortemente personale e prevede la possibilità di applicare numerosi provvedimenti mediante ordine esecutivo, senza quindi necessità di approvazione da parte del Congresso. Una parte rilevante è costituita dall’espansione dei poteri della Presidenza. Nello specifico, il programma mira a istituire una nuova categoria di dipendenti federali di nomina politica e quindi soggetti a possibile licenziamento da parte del Presidente. Al contempo, l’Agenda 47 prevede di riorganizzare i Dipartimenti e le Agenzie Federali istituendo anche un meccanismo di controllo delle agenzie di intelligence e ponendo le agenzie di regolamentazione sotto il controllo presidenziale.

Sotto il profilo economico, il programma prevede tariffe di base di stampo protezionistico per la maggior parte dei prodotti stranieri. Nel settore energetico è prevista la rimozione delle normative sulle emissioni nel settore automobilistico adottate dal Presidente Biden e un aumento delle trivellazioni per incrementare la produzione di energia da fonti fossili, insieme alla soppressione dei fondi dedicati alla lotta contro il cambiamento climatico.

Si propone la fine della guerra in Ucraina entro 24 ore, senza indicare come.

In politica estera uno degli obiettivi è restringere la possibilità per la Cina di investire nelle infrastrutture americane. L’Agenda 47 prevede la revisione del ruolo della NATO, la ricostruzione delle forze armate e la realizzazione di un Iron Dome che funga da scudo per il territorio nazionale. Particolarmente critico risulta il punto relativo alla negoziazione per la fine della guerra in Ucraina entro 24 ore, per il quale non viene indicata alcuna modalità di realizzazione. Un altro punto riguarda l’aumento degli investimenti per la sicurezza interna introducendo anche la possibilità di impiegare risorse federali nelle città in caso di disordini.

Il settore dell’immigrazione rappresenta uno dei cavalli di battaglia di Trump, il quale sin dal 2016 ha fatto di un maggiore controllo di tale fenomeno uno dei suoi principali strumenti di propaganda. Tra le altre cose, è prevista la possibilità di privare gli immigrati clandestini dei benefici dell’edilizia popolare e il divieto di distribuzione a questi ultimi di sussidi sociali. Inoltre, Trump propone l’istituzione di sussidi alle nascite per incoraggiare un nuovo baby boom.

Le proposte dell’Agenda 47 hanno suscitato forti critiche: molti hanno fatto notare le analogie con il Project 2025, l’iniziativa politica portata avanti da diversi think tank (in particolare dalla Heritage Foundation), volta a riformare profondamente il governo federale. Numerosi esperti che hanno contribuito alla stesura del Project 2025 hanno infatti lavorato all’interno dell’Amministrazione Trump. Tuttavia, a partire dalla fine del 2023 il costante accostamento tra l’Agenda 47 e il Project 2025 ha provocato una profonda insofferenza nella campagna elettorale di Trump, che ha deciso di distaccarsi pubblicamente dalla Heritage Foundation.

In generale, la forte espansione dei poteri dell’esecutivo avrebbe come effetto il progressivo venir meno del meccanismo di pesi e contrappesi che caratterizza il sistema istituzionale statunitense. Ciò costituirebbe una premessa ad una possibile regressione democratica, processo che negli ultimi anni ha visto coinvolte diverse nazioni in tutto il mondo. Al contempo, ciò determinerebbe maggiori difficoltà nel perseguire comportamenti scorretti operati dalla Presidenza.

In secondo luogo, l’agenda del candidato repubblicano pare piuttosto contraddittoria, nonché costellata di numerose proposte di difficile realizzazione. Come la costruzione di un Iron Dome, i cui enormi costi risulterebbero pari alla sua dubbia utilità. Al contempo, la proposta di istituire tariffe di base universali sui beni importati determinerebbe quasi sicuramente un aumento dei prezzi dei beni negli Stati Uniti, con conseguente incremento dell’inflazione.

Le elezioni di novembre rappresenteranno anche lo scontro tra due differenti concezioni del sistema istituzionale americano.

Queste considerazioni fanno riflettere sulla fragilità e il potenziale pericolo che incombe sulla democrazia americana. Infatti, nel 2016 Trump ha rappresentato un forte cambiamento politico ma non risultava intenzionato ad adottare una massiccia riorganizzazione del governo federale. Le elezioni del 2016 hanno rappresentato l’estrema conseguenza di un processo di polarizzazione in corso dai primi anni Duemila, risultato di uno scontro tra due differenti concezioni degli Stati Uniti. Otto anni dopo, di fronte ad una persistente polarizzazione, le elezioni rappresenteranno anche lo scontro tra due differenti concezioni del sistema istituzionale americano. 

Anche se al momento i sondaggi danno un leggero vantaggio alla candidata democratica Harris, che è riuscita a compattare l’opinione del Partito democratico, la situazione resta in bilico. Gli Europei dovrebbero cogliere quest’occasione per riflettere sulla necessità di difendere e potenziare le istituzioni democratiche e liberali. Inoltre, dovrebbero porsi seri interrogativi sul futuro dell’Unione e del progetto politico europeo con particolare preoccupazione nel caso in cui Trump dovesse tornare ad essere il Presidente americano.

 

  

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