Più di trent’anni dopo, dobbiamo ammettere che a nulla è valso concedere il Nobel per la Pace al leader dell’Olp Arafat e a quelli israeliani Perez e Rabin, nel 1994.

Il 19 gennaio scorso una tregua ha frenato le ostilità a Gaza. Una vera pace, nei pieni interessi di israeliani e palestinesi, è però ben distante. Quali sono le ragioni?

Una striscia di terra dal Mar Mediterraneo al fiume Giordano che, dai tempi della scuola, ci viene indicata come il luogo in cui sono nate le grandi religioni monoteiste: la cristiana, l’ebraica e la musulmana. Una Terra di fede e di profeti dove le parole pace e tolleranza dovrebbero essere patrimonio dei popoli che vi abitano. Eppure, da oltre un secolo non vi è una sola generazione di ebrei e palestinesi che qui viva in pace. Guerra e terrorismo sono una regola che si fa beffa di qualsiasi proposta o risoluzione di condanna di ogni violenza. A nulla è valso nel 1994 concedere il Nobel per la Pace al leader dell’Olp Arafat e a quelli israeliani Perez e Rabin. A nulla sono valsi i più recenti Accordi di Abramo interrotti dall’attacco terroristico di Hamas il 7 ottobre 2023. A ogni possibile intesa tra i leader di Israele e Palestina hanno poi fatto seguito atti di terrorismo che hanno pregiudicato ipotesi di pace.

Con il barbaro attacco di Hamas e la cattura di più di duecento innocenti un nuovo inferno si è scatenato nella regione. La risposta di Israele al vile massacro è stata ed è tuttora su più fronti. Con il governo Netanyahu sostenuto dalla frangia più oltranzista, Israele ha reagito con una violenza inaudita. La striscia di Gaza è un cumulo di macerie con centinaia di migliaia di palestinesi in fuga a seguito dell’azione armata che ha l’obiettivo di sradicare Hamas. Mentre a Gaza si è raggiunta una tregua, Israele continua a colpire in Cisgiordania e Libano, senza dimenticare gli attacchi preventivi contro l’Iran e gli Houti, suoi acerrimi nemici.

“Tramontata la politica coloniale europea è subentrata, come altrove, la nuova logica delle superpotenze e dei loro alleati.”

La contrapposizione israelo-palestinese è peraltro da sempre alimentata da interessi esterni che utilizzano il conflitto per cercare di favorire la propria influenza nella regione. Iran, Turchia, Siria, Arabia Saudita, Russia e Stati Uniti soffiano o hanno soffiato sul fuoco appoggiando direttamente il contrasto più per interessi legati alla propria politica di potenza che per tutelare il diritto dei due popoli ad esistere e convivere. È la stessa logica che in passato, sino alla fine del secondo conflitto mondiale, ha qui mosso gli interessi di Francia e Gran Bretagna. Tramontata la politica coloniale europea è subentrata, come altrove, la nuova logica delle superpotenze e dei loro alleati. Sulla pelle di palestinesi e israeliani la pace è stata sistematicamente calpestata.

Sino al 1978, l’Egitto non riconosceva il diritto ad esistere di Israele, appoggiando la causa palestinese. Dal 1948, trent’anni di guerra avevano sempre visto prevalere Israele e hanno indotto infine l’Egitto ad accettare una pace che da allora resiste tra i due Paesi. Fu il Presidente statunitense Carter a favorire l’intesa tra l’Egitto di Sadat e l’Israele di Begin. In quegli accordi era previsto che il territorio di Gaza avrebbe goduto di un proprio autogoverno e che l’Egitto avrebbe riconosciuto lo Stato di Israele.

La ragione che sembrava prevalere in Medio Oriente è stata poi sistematicamente ignorata. La risoluzione ONU a favore della creazione di due Stati (uno israeliano e l’altro palestinese) e le risoluzioni di condanna di Israele contro la colonizzazione di territori ove vi sono insediamenti palestinesi vengono da sempre ignorate. Stati Uniti e Russia (in difficoltà con il crollo del regime di Assad in Siria) non riescono ad imporsi e gli altri Paesi interessati a garantirsi una presenza nell’area nulla possono contro la superiore capacità militare di Israele. La prima vittima di questa situazione è il popolo palestinese, diviso tra Gaza e Cisgiordania e che sopravvive da sempre solo grazie agli aiuti internazionali. La seconda vittima è il popolo israeliano, che vive in un perenne assetto di guerra, con la paura di possibili azioni terroristiche condotte da fazioni militari palestinesi sostenute e armate dall’esterno, in particolare oggi dall’Iran.

Resta pertanto la perenne domanda: che fare? Le proposte formulate di due popoli e due Stati o l’ipotesi di una federazione tra i due Stati non trovano ad oggi la possibilità di concretizzarsi. Il motivo va ricercato nel fatto che nodi prettamente politici e legati tra loro debbono venire sciolti affinché poi una delle due opzioni possa vedere la luce.

Il primo nodo riguarda i palestinesi che vivono separati tra Gaza e Cisgiordania e non hanno una leadership unica come accadeva ai tempi di Arafat e dell’Olp. A Gaza prevale da anni Hamas, mentre in Cisgiordania prevale l’Anp con una presidenza, quella di Abu Mazen, quanto mai debole. Senza una chiara leadership che sia riconosciuta come tale, il popolo palestinese resterà diviso e privo di una voce in grado di sedersi al tavolo di una qualsivoglia trattativa e resterà vittima delle pressioni di questa o quella forza straniera che ha interesse ad alimentare i contrasti. Quello che occorre ai palestinesi è una voce che sappia imporre la ragione: la ragione della unità del suo popolo e la ragione a sostegno della pace con il riconoscimento ad esistere del popolo ebraico.

Israele deve compiere lo stesso sforzo che si impone ai palestinesi. La politica israeliana deve accettare una volta per tutte che il popolo palestinese ha diritto ad esistere. Pensare di scacciarli con azioni di guerra o con continui insediamenti di coloni può solo alimentare nuovi conflitti che una tregua, come quella di Gaza siglata il gennaio scorso, può far dimenticare per poche settimane mentre altrove si continua a morire. E dopo la tregua la paura e il terrore torneranno di nuovo anche a Gaza.

È indispensabile questo passaggio: il reciproco riconoscimento ad esistere e solo dopo si potrà discutere con quale assetto istituzionale convivere. O la ragione prevarrà tra palestinesi e israeliani, oppure la guerra e l’odio continueranno a dividerli. È tempo che i due popoli abbiano il coraggio di urlare ai propri politici: BASTA! Si tratta di uno sforzo enorme, difficile, ma indispensabile.

Come è indispensabile che la UE si faccia carico di questo sforzo diplomatico che nessuna nazione della regione o superpotenza ha la credibilità di sostenere, perché i Paesi del Medio Oriente così come gli USA (specie dopo le ultime esternazioni del Presidente Trump che auspica l’esodo dei palestinesi) e la Russia sono compromessi e hanno svolto o stanno svolgendo un ruolo che alimenta lo scontro. La UE ha pertanto il dovere di dotarsi di una reale capacità di agire con una propria politica estera autonoma e mostrare come il suo processo di integrazione favorisca pace e sviluppo. Solo così è possibile superare odi antichi. La UE ha una missione da compiere: incoraggiare la parte maggioritaria e silenziosa di israeliani e palestinesi che certamente vuole la pace, affinché scenda nelle piazze per urlare: BASTA! Dire BASTA sarebbe il primo passo per avviare i due popoli e l’intera regione verso la pace.

 

  

L'Unità Europea

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