Dall’elezione di Emmanuel Macron alla presidenza francese nel 2017 fino al termine del governo Conte 1 nell’agosto del 2019, le relazioni fra Italia e Francia hanno attraversato una vera e propria crisi, arrivando perfino al richiamo in patria dell’ambasciatore francese a Roma, un gesto che non si vedeva dal giugno 1940 quando l’Italia dichiarò guerra alla Francia. La situazione molto tesa era dovuta a un connubio di vari elementi : il cambio di rotta della presidenza Macron sull'acquisto della società di cantieristica navale STX da parte de gruppo Fincantieri, le incomprensioni di fronte all’emergenza migratoria, l’approccio decisionista maldestro della Francia sulla Libia considerata dagli italiani interna a una loro sfera di influenza e una politicizzazione del rapporto fra Emmanuel Macron da un lato e Matteo Salvini dall’altro che portava a contrappore i due paesi come nemici nell’arena politica europea.
Spesso questi dossier assumevano un’importanza forte in Italia, ripresi anche dai media e rilanciati nell'opinione pubblica con toni antifrancesi, mentre rimanevano abbastanza minori nella percezione francese, oscurati da altri temi nazionali, portando quindi a ulteriori incomprensioni. Questo clima di rapporti particolarmente negativi del biennio 2017-2019 in realtà trova le sue radici nel periodo precedente, in quell'inizio di ventunesimo secolo durante il quale alcuni dossier contribuirono a strutturare le incomprensioni fra Parigi e Roma. Dal punto di vista industriale si ricordano numerosi screzi come l’OPA di EDF sull’italiana Edison, ma anche la mancata OPA di ENEL su Suez Electrabel. Ci furono poi le acquisizioni da parte dei colossi francesi del lusso, Kering e Lvmh, di alcune società simbolo del lusso italiano, spesso percepite come una ferita per l’identità del made in Italy. Infine, ci fu l’intervento militare in Libia del 2011 sotto spinta della Francia, del Regno Unito e degli USA. Anche se l’Italia partecipò a questo intervento, fu poi analizzato come la madre di tutti problemi, in particolare man mano che crescevano gli sbarchi in Sicilia di migranti clandestini provenienti dalla Libia.
La crisi si è placata con il governo Conte 2 ma, soprattutto, con il rafforzamento della cooperazione europea, anche a vantaggio dell’Italia, avvenuto nell’ambito della gestione della crisi sanitaria del Covid-19.
Oggi i rapporti fra Francia e Italia appaiono come costruttivi e si torna a parlare della firma di un trattato bilaterale che permetterebbe di solidificare il rapporto, avendo in mente il modello del trattato franco-tedesco.
L’idea era stata ventilata da Macron nel summit bilaterale del settembre 2017, quando aveva evocato l’idea di un “Trattato del Quirinale”, ma venne poi ufficialmente lanciata nel gennaio del 2018 a margine di una visita a Roma di Macron. Furono nominati due gruppi di saggi incaricati di lavorare alla stesura di un trattato. Marco Piantini, Paola Severino e Franco Bassanini erano stati nominati dal governo italiano, mentre per il governo francese erano presenti Sylvie Goulard, Pascal Cagni e Gilles Pécout. Questa commissione si mise al lavoro già nel febbraio 2018, ma questo sforzo rimase vittima dell’inceppamento delle relazioni fra Parigi e Roma che già nel contesto della campagna per le politiche in Italia diventò un elemento discusso. Col passare dei mesi, il Trattato del Quirinale sembrò completamente insabbiato. La firma del rinnovo del trattato bilaterale franco-tedesco ad Aquisgrana nel gennaio 2019 riaccese brevemente l'attenzione mediatica, quando alcuni commentatori italiani si interrogano sui vantaggi di questo rapporto fra Parigi e Berlino e dei rischi di esclusione dell’Italia scoprendo poi che esisteva un progetto di trattato italo-francese rimasto seppellito dal governo Conte 1. Con il governo Conte 2, ci fu invece una normalizzazione dei rapporti fra la Francia e l’Italia, sancita poi nel vertice bilaterale di Napoli del febbraio 2020 in cui si apri la strada a un rilancio del trattato del Quirinale. Questa volta furono le diplomazie a riprendere in mano in modo classico la questione e la scrittura di un testo, la commissione di saggi essendo associata al governo passato. Sempre nel 2020, vi è stato un lavoro di definizione dei contenuti di un trattato bilaterale, anche da parte del MAECI, con il doppio intento di ispirarsi al modello franco-tedesco ma anche di definire un approccio diverso, adattato alle specificità della relazione franco italiana.
Facendo un passo indietro nel tempo, il trattato franco-tedesco firmato all’Eliseo nel 1963 e poi rinnovato ad Aquisgrana nel 2019, rappresenta un momento importante per la politica europea. La presidenza De Gaulle ruppe con l’europeismo federalista praticato dalla Francia sotto la quarta repubblica, per rivendicare il primato dell'Europa delle Nazioni, di fatto sancendo la priorità data dalla Francia al modello intergovernativo. Seguendo questo filone, la grande opera di De Gaulle fu la riconciliazione con la Germania del cancelliere Konrad Adenauer sancita dal trattato bilaterale dell’Eliseo. Questo trattato creò un ancoraggio istituzionale forte fra Francia e Germania mescolando aspetti simbolici e culturali importanti (come una politica specifica di apprendimento delle lingue tedesche e francesi) con una serie di meccanismi di consultazione governativa permanenti. Questi meccanismi instaurarono scambi e riunioni fra i governi francesi e tedeschi, che furono poi perfezionati con la creazione di comitati misti, la partecipazione di ministri francesi a consigli dei ministri tedeschi (e viceversa), nonché un utilissimo sistema di scambio di dirigenti della pubblica amministrazione che nell’ambito della loro carriera vengono premiati se passano un periodo integrati nelle amministrazioni dell’altro paese.
La Francia e la Germania rimangono due paesi fondamentalmente diversi, con sistemi politici spesso contrapposti fra la repubblica federale parlamentare tedesca e il presidenzialismo francese. Inoltre, la memoria del passato e dei conflitti che hanno violentemente contrapposto i due paesi dall’Ottocento in poi rimane vivissima e spesso la stampa parla della debolezza dei rapporti fra presidente francese e cancelliere tedesco. Bisogna però constatare la grande efficacia dell’istituzionalizzazione del rapporto franco-tedesco al tal punto che viene chiamato “coppia” o “motore” a Parigi e “tandem” a Berlino. Anche in questa semantica si nota la differenza di percezioni con l'Italia, che spesso qualifica il rapporto fra Parigi e Berlino come “asse”, una lettura con forti connotazioni storiche.
Il rapporto fra Parigi e Berlino, organizzato dal trattato bilaterale, si è quindi trasformato in una cinghia di trasmissione fondamentale per l’Europa, un luogo privilegiato per realizzare un compromesso fra due paesi così diversi e capace anche di trascinare a livello europeo gli Stati Membri che si riconoscono nell’uno o nell’altro. È paradossale constatare che l’intento intergovernativo di De Gaulle abbia da un latto azzoppato la costruzione federale dell’Europa, ma abbia dall’altro ancorato e vincolato la Francia a un rapporto con la Germania assolutamente funzionale all’integrazione europea. Il trattato franco-tedesco determina quindi un fondamentale meccanismo di convergenza nel cuore dell’Europa.
La firma di un trattato bilaterale fra Italia e Francia rappresenta un ulteriore tassello di rafforzamento europeo. Prima di tutto creerebbe un collegamento istituzionale permanente fra due Paesi che hanno spesso rapporti problematici, anche dovuti ai numerosi interessi in comune, svolgendo una necessaria funzione di bonifica dei rapporti. Vi è una necessità di alzare il livello di conoscenza e di comunicazione fra i ceti governativi e amministrativi italiani e francesi, anche per contrastare l’ignoranza delle posizioni e meccanismi altrui che abbiamo potuto costatare durante i recenti periodi di crisi. Permette di estendere la forza di un bilateralismo a vocazione europea anche all’Italia, creando anche la possibilità di replicare poi con altri paesi.
Il trattato bilaterale fra Francia e Italia riempie inoltre un angolo morto della politica estera italiana. L’Italia è tradizionalmente europeista, e questo europeismo l'ha spinta prima a sostenere il federalismo, poi favorire il modello comunitario dell’integrazione. L’idea che un rafforzamento delle relazioni bilaterali intra-europee, ad esempio con la Francia, possa anche contribuire ad aumentare le capacità italiane nel gioco bruxellese non ha mai portato a un progetto istituzionale come un trattato bilaterale. Nell’ambito di questa politica, spesso incarnata nel Consiglio europeo, si faceva affidamento alle capacità di leadership governative, ma anche ai giochi nei gruppi politici europei. La visione intergovernativa in Italia viene tra l'altro spesso interpretata da formazioni con tendenze nazionaliste e quindi tendenzialmente opposte al campo francese nel nome del nazionalismo.
Infine non bisogna sottovalutare il ruolo della Brexit, che rinforza il peso dell’Europa continentale e crea una potenziale accelerazione intorno a Francia e Germania alla quale sarebbe opportuno connettere maggiormente l’Italia.
La firma del trattato del Quirinale rappresenterebbe un salto di qualità non da poco, perché permetterebbe di rinnovare l’efficacia dell’europeismo italiano con l’istituzionalizzazione di un rapporto bilaterale con la Francia. Il che poi creerebbe un modello applicabile ad altri, Germania per prima.
Jean-Pierre Darnis, Professore associato, Université Côte d’Azur (Nizza), consigliere scientifico IAI, Roma