La generazione dei Millennials, cresciuta con i programmi Erasmus, scioccata dalla Brexit e dal rischio nazionalista, pensa che “sia venuto il momento di passare dalle parole all’azione”. Sui temi dell’impegno politico di questi giovani abbiamo intervistato Andrea Venzon, presidente di VOLT Europa, un’organizzazione paneuropea nata due anni fa e che ha deciso di presentarsi alle elezioni europee in almeno sette Paesi.
Abbiamo letto e sappiamo come è nato Volt, un movimento politico pan-europeo: come reazione alla Brexit da parte di una generazione di giovani che pensavano di vivere già in un’Europa “unita” e che improvvisamente scoprono che potevano perdere ciò che davano come acquisito: una società europea integrata ed inclusiva. È stato così?
Sembrerà strano, ma è stato proprio così. Sia io che Colombe e Damian eravamo impegnati in altro, e la politica non era nei nostri obiettivi a breve termine. Brexit è stata una doccia fredda che ha risvegliato qualcosa, non solo in noi, ma in tanti altri. Ancora oggi quando conosco i nuovi volontari di Volt e chiedo perché si sono interessati al nostro partito, Brexit è nella lista delle 5 principali ragioni. Il progetto di integrazione europea ha storicamente avuto molti stalli, ma Brexit per la prima volta ci ha mostrato che ciò che davano per acquisito poteva non esserlo più. Migliaia di ragazzi della mia età o più giovani sono ora costretti a riconsiderare i loro sogni e programmi. Battute o sentimenti xenofobi sono espressi con più facilità, e molte persone che vivono da tempo in Inghilterra si sentono ora non più a loro agio in una società più chiusa. Anche tanti inglesi non si sentono più a casa. Questa non è l’Europa in cui pensavo che mi sarei trovato in età adulta. Sicuramente non è l’Europa che i nostri nonni sognavano per noi, né l’Europa che i nostri genitori hanno cercato di costruire per noi.
Avete dunque puntato sul fatto che si dovesse difendere l’essere europeo della vostra condizione giovanile perché l’Europa può ancor più oggi prendere una strada sbagliata. Allora la prima domanda è: in questo lungo processo di unificazione che dura da settant’anni, è già nata una società che possa dirsi in un qualche modo “europea”? Esiste già un soggetto sociale – rappresentato dalle nuove generazioni – che possa definirsi ‘europeo’ per cultura, formazione, interessi lavorativi e via di seguito? Ciò è essenziale – credo – ai fini di una battaglia politica come la vostra.
Noi pensiamo di sì. E la pensano così anche i nostri 20.000 volontari. E non parlo solo della “generazione Erasmus”: parlo di tutte le persone, di tutte le età, che negli ultimi 70 anni hanno approfittato della condizione di pace del nostro continente per lavorare o studiare in un altro paese europeo. Queste persone hanno lingue e tradizioni diverse, ma aspirazioni ed ideali comuni, ed è questa caratteristica a renderli ugualmente cittadini europei. Non mi fraintendere: la questione di identità politica è spinosa, e non vogliamo banalizzarla o idealizzarla. A 150 anni dalla fondazione dell’Italia, nel 2011, il dibattito era ancora aperto sul se fossimo riusciti a creare una vera identità italiana. Sappiamo bene che l’Unione europea ha ancora una lunga strada da fare. Però crediamo che sia ancora possibile realizzare un’organizzazione politica che riesca a trovare un equilibrio tra locale e continentale. Pensare al locale con una visione continentale è uno dei principi fondamentali di Volt, ed è la nostra sfida.
Dunque, la società europea esiste già, pur articolandosi su vari livelli: locale, nazionale ed europeo. E le vostre proposte spaziano su tutti i livelli: dallo smart state al rinascimento economico, dall’uguaglianza sociale all’equilibrio globale, dalla partecipazione democratica alla riforma della UE. Vedo in questo un tentativo di trovare un metodo per coniugare le riforme nazionali con quelle europee. Un’impresa che non è riuscita, ad esempio, a Renzi e pare non stia riuscendo a Macron. In cosa si differenzia la proposta di Volt a questo riguardo?
Volt ha una caratteristica fondamentalmente diversa sia da En Marche che da altri nuovi movimenti: è nato come partito paneuropeo, e solo in un secondo momento si è declinato come partito negli Stati europei. Volt ha adottato un programma unico per tutti gli Stati che correranno alle elezioni europee di maggio 2019: la Dichiarazione di Amsterdam. Sembrerà uno slogan o una differenza di poco conto, ma non lo è. Vuol dire che ogni giorno i nostri volontari da tutta Europa si incontrano (virtualmente) per discutere su come arrivare ad una linea comune su temi difficili come tasse o politiche ambientali. Non è facile. Però questo ci permette di arrivare ad elaborare soluzioni molto specifiche, molto concrete, e già condivise a livello europeo. Riteniamo che questo approccio di “andare oltre i confini nazionali” già in fase di stesura del programma potrà portare ad una maggiore coerenza di azione una volta che arriveremo al Parlamento europeo.
Veniamo alla lotta politica. Mario Albertini diceva, a proposito della reversibilità o meno del processo di unificazione europea, che “Il punto di non ritorno non è né nelle competenze né nelle istituzioni: è il momento in cui la lotta politica diviene europea, in cui l’oggetto per cui lottano uomini e partiti sarà il potere europeo. Quello sarà il momento in cui la rivoluzione avrà finito il suo compito e gli ordini nuovi creatisi, verranno occupati dalle forze politiche ordinarie, che ne faranno il teatro della loro contesa. In una società politica civilizzata, il ferro e il sangue sono sostituiti dalla lotta elettorale, gli eserciti dalle formazioni politiche”. Queste elezioni del maggio 2019 si configurano già come delle vere elezioni politiche per decidere il futuro dell’Unione per due motivi essenziali: la Commissione Juncker si è mossa, sin dall’inizio, come un governo politico (pur con i suoi limiti) e questo è risultato positivo per la politicizzazione della vita dell’Unione; inoltre la quantità dei problemi sul tavolo (dall’immigrazione, allo sviluppo e alla sicurezza dell’Europa nel mondo) costringeranno tutte le forze politiche a misurarsi su scelte alternative assai concrete. In questa prospettiva, la presenza di un Movimento transnazionale come Volt accentuerà la spinta verso la nascita di una lotta politica europea per un potere europeo. Albertini aveva dunque ragione?
Più che lottare, noi stiamo creando la politica europea! Però, a parte questo, mi ritrovo nelle parole di Albertini: il vero cambiamento che vogliamo non è nelle istituzioni o nei Trattati, ma nel fatto che ci sia un movimento transnazionale di persone che condividano gli stessi valori, e che partecipino alle elezioni per affermare le stesse idee.
Ci sono tre punti centrali di questa lotta politica europea. Il primo è sullo sviluppo sostenibile, dal punto di vista sociale e ambientale, oltre che finanziario. C’è consapevolezza che la battaglia per le risorse proprie dell’Unione è strategica oppure è una delle tante cose da auspicare semplicemente? Il secondo è sul governo dei flussi migratori. Di fronte al fallimento di una gestione nazionale, non è venuto il momento di dire e battersi perché la futura Commissione abbia al riguardo concreti poteri esecutivi, nella gestione della frontiera esterna e nella collocazione dei migranti? Il terzo è sulla difesa e in generale sul ruolo dell’Europa nel mondo, dove siamo in presenza ancora del potere di veto degli Stati che paralizza l’azione. Non è venuto il momento di fare una battaglia seria per l’abolizione di questo feticcio nazionale, che non serve più a nulla, se non a rendere impotente l’Europa? Lanciare parole d’ordine chiare e forti su sviluppo, migrazioni e difesa crediamo sia essenziale, se si vuol presentarsi come ‘innovatori’, avrebbe detto Spinelli. Non ti pare?
Assolutamente sì. Le decisioni a maggioranza sono una delle riforme fondamentali che proponiamo nel capitolo ‘migliorare l’UE’ della Dichiarazione di Amsterdam. Un’altra riforma molto importante che portiamo avanti è dare iniziativa legislativa al Parlamento europeo, in quanto organo di rappresentanza democratica dei cittadini europei. Le parole chiave fondamentali, in questo senso, sono ‘cooperazione’ e ‘solidarietà’. Le sfide globali (tra cui sviluppo sostenibile, immigrazione e difesa) ci impongono soluzioni che necessariamente vadano al di là dei confini nazionali: le decisioni che prenderemo saranno migliori e più efficaci se le prenderemo insieme.