L’Europa, dopo aver creato le istituzioni necessarie a gestire l’unione monetaria è ora confrontata con la necessità di dotarsi di adeguate istituzioni per gestire l’indispensabile aumento del bilancio, da alimentare in particolare con risorse proprie.

Vi sono però profonde differenze istituzionali tra i due processi, il “potere monetario” e il “potere fiscale”. Come strutturare il secondo nell’Unione Europea ha importanti implicazioni istituzionali, anche per la definizione del suo Quadro Finanziario Pluriennale (Multiannual Financial Framework).
 

Il potere monetario

La moneta, in un sistema federale, è una competenza esclusiva del livello centrale: un solo centro deve disporre del potere di emettere la moneta e regolarne la quantità.

Infatti nei sistemi federali come gli Stati Uniti e la Svizzera esiste una istituzione centrale che ha il monopolio dell’emissione di moneta, ma la cui composizione vede la presenza di rappresentanti del livello inferiore di governo: il Federal Reserve System e la Banca Nazionale Svizzera. Anche nella Repubblica Federale Tedesca, prima di entrare nell’Euro, esisteva una simile istituzione: la Bundesbank.

Caratteristica di queste istituzioni monetarie è, come detto, la composizione degli organi decisionali. Nel caso degli Stati Uniti il Board (di sette membri) è nominato dal Presidente (previo parere del Senato), ma il mandato dei suoi componenti è molto lungo in modo da assicurare, per tale via, la loro autonomia decisionale rispetto al presidente in carica, che solo in particolari circostanze riesce a nominarne la maggioranza. A rafforzare tale autonomia provvede inoltre la composizione dell’Open Market Committee, cui spetta l’approvazione delle operazioni di acquisto dei titoli sul mercato, determinando così il livello dei tassi di interesse. Sono membri del “Comitato”, oltre ai sette del Board federale, altri sei membri scelti a turno tra le 12 riserve interstatali (ma la Fed di New York, cui è delegata l’azione sul mercato dei cambi, è sempre presente). Rilevante è poi il rapporto della Fed con il Congresso, al quale deve riferire periodicamente sulle sue attività.

Anche la Banca Centrale Europea ha una struttura simile, nella quale accanto ai sette membri del Comitato Direttivo nominati dal Consiglio (previo parere del Parlamento Europeo) alle riunioni del Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC) partecipano i governatori delle banche centrali nazionali dei Paesi membri che adottano l’Euro.

In un sistema federale la moneta è competenza del livello centrale, ma l’organo deputato alla sua gestione ha carattere federale.
 

Il potere fiscale

In un sistema federale il potere fiscale è una competenza concorrente, almeno per i livelli aventi rilevanza costituzionale: nel caso degli Stati Uniti il livello federale e quello statale.

In un sistema nazionale il potere fiscale può essere devoluto ai livelli locali (regioni, comuni) ma su decisione dello stato centrale, che può sempre modificarne i criteri.

Nei sistemi federali ogni livello che ha rilevanza costituzionale deve disporre di poteri fiscali propri, non solo “devoluti” dal livello superiore.

L’Unione Europea si trova ad affrontare proprio questo difficile passaggio: il sistema attuale è, di fatto, una “devoluzione” alla rovescia dal livello statale a quello europeo, che avviene attraverso l’adozione del Quadro Finanziario Pluriennale (QFP), che prevede una decisione “unanime” degli Stati membri, che hanno quindi il potere di determinare l’ammontare delle risorse che possono affluire al comune bilancio europeo.

La definizione delle quota di risorse fiscali spettante al livello europeo può avvenire attraverso tre modalità:

  • quella attuale, che lascia alla decisione unanime degli Stati membri la fissazione della quota europea;
  • la previsione nella “legge fondamentale” (Trattato o Costituzione) della quota spettante al livello europeo;
  • la fissazione della quota da parte degli organi federali – Commissione, Parlamento, Consiglio – con decisioni a maggioranza qualificata.

La fissazione della “quota” nella “legge fondamentale” introduce un sistema rigido, non in grado di adeguarsi rapidamente (occorre una modifica costituzionale) all’evolversi della situazione economica e sociale, che può richiedere, nel tempo, di dare più risorse al bilancio federale – per l’emergere di esigenze comuni – o ai bilanci nazionali per particolari congiunture.
 

La procedura per la fissazione della quota da parte degli organi federali

Se non vi sono limiti al potere delle istituzioni federali di alzare la quota di loro competenza la spinta centralizzatrice tenderà ad essere sempre più forte, a scapito dei livelli inferiori, anche quando alcune spese sarebbero più efficacemente gestite dagli stati nazionali, nonché dalle regioni e dai comuni.

Negli Stati Uniti si è infatti affermata tale tendenza, che nel corso del secolo scorso ha portato l’incidenza del bilancio federale dal 2,5 a oltre il 20% del PIL, riducendo al 10% l’incidenza dei bilanci statali. Per alcuni aspetti, e in particolare per l’evoluzione del bilancio, si può dire che gli Stati Uniti siano oggi più uno stato centralizzato che un vero e proprio sistema federale.

In Europa occorre istituire un sistema in grado di evitare una “centralizzazione forzata”, senza però rimanere nel vigente sistema bloccato dalla unanimità degli Stati membri.

In occasione del dibattito intervenuto nel corso della prima legislatura elettiva del Parlamento Europeo – culminata con l’approvazione, nel 1984, del progetto Spinelli – Mario Albertini aveva indicato una procedura che consentisse di contemperare le due esigenze prima richiamate[1].

La decisione sulla quota di potere fiscale acquisibile dal livello europeo dovrebbe prevedere una modifica della procedura attualmente seguita per l’adozione del QFP che preveda:

  • una proposta, all’inizio di ogni “legislatura”, da parte della neo-eletta Commissione, che tenga conto del dibattito che ha preceduto l’elezione europea sulle priorità d’azione, nonché della discussione intervenuta in occasione del voto di investitura da parte del Parlamento Europeo;
  • la valutazione della proposta da parte di una “Convenzione Fiscale” composta da rappresentanti del Parlamento Europeo (1/3) e dei Parlamenti Nazionali (2/3), con voto a maggioranza qualificata;
  • l’approvazione finale da parte del Parlamento Europeo e del Consiglio dei Ministri, sempre a maggioranza qualificata.

La proposta della Commissione dovrebbe indicare le nuove politiche comuni che si ritiene opportuno finanziare, i risparmi ottenibili a livello nazionale grazie alle economie di scala conseguibili, le risorse acquisibili con imposte proprie e quelle cogestite con gli Stati membri.

Il sistema introdurrebbe, di fatto, una procedura costituzionale semplificata garantita dalla “Convenzione Fiscale”.

Una prima indicazione della validità della procedura proposta si può rintracciare nel Trattato sul Fiscal Compact che introduce, all’art. 13, proprio una convenzione parlamentare europea/nazionale.
 

Una fase di transizione per il “2021-2025”

Già a partire dall’approvazione del QFP che dovrebbe entrare in vigore dal 2021 è possibile introdurre modifiche che vadano nella direzione indicata.

In primo luogo la durata del QFP dovrebbe essere limitata a 5 anni – come già prevede il Trattato di Lisbona che indica un periodo da 5 a 7 anni –, in modo tale da farlo convergere con la durata della legislatura del Parlamento Europeo che inizierà con l’elezione del 2019.

Sarebbe inoltre positivo che nel corso della campagna elettorale europea si sviluppasse il dibattito sui nuovi compiti dell’Unione, sulle risorse necessarie, sul ricorso a nuove risorse proprie, mentre sarebbe opportuno che l’approvazione del QFP avvenisse da parte del nuovo Parlamento eletto nel 2019, come ha sottolineato lo stesso Presidente della Commissione Juncker.

È, infatti, impensabile che il nuovo QFP non sia oggetto della campagna elettorale e che le sue linee non siano coerenti con le proposte presentate in sede di campagna elettorale dalle forze politiche europee.

Dovendo il QFP entrare in vigore dal 2021 vi è tutto il tempo perché rispecchi le considerazioni espresse dai partiti europei nella campagna elettorale, sia pure a partire dalle proposte “provvisorie “ formulate dalla Commissione in scadenza.

Limitando a 5 anni la durata del QFP si assicura facilmente la sincronizzazione dello stesso con la durata della legislatura. Si può ricordare che una innovazione significativa fu proprio, a suo tempo, la sincronizzazione del mandato della Commissione con quello del Parlamento Europeo.
 

La Convenzione Fiscale

Anche il passaggio del progetto di QFP al vaglio della “Convenzione Fiscale” Parlamento Europeo/Parlamenti Nazionali sarebbe fattibile nel periodo successivo all’elezione europea del 2019, in tempo per affrontare i passaggi successivi della proposta finale della Commissione al voto del Parlamento Europeo ed alla adozione da parte del Consiglio dei Ministri.

Il passaggio alla “Convenzione Fiscale” consentirebbe di verificare l’esistenza, o meno, di una ampia maggioranza qualificata a favore del progetto di QFP, che renderebbe più facile la formazione del consenso nei tre passaggi istituzionali attualmente previsti.

Il voto del Consiglio dei Ministri non potrebbe non tener conto delle indicazioni della “Convenzione Fiscale” e superare così più agevolmente lo scoglio dell’unanimità.

Proprio l’esistenza della “Convenzione Fiscale” potrebbe poi essere istituzionalizzata in sede di recepimento – come proposto dalla Commissione – del Fiscal Compact nella normativa comunitaria, con il richiamo al citato art. 13.

La istituzionalizzazione della “Convenzione Fiscale” renderebbe inoltre accettabile il passaggio al voto a maggioranza qualificata sul QFP nel Consiglio dei Ministri. La sua formalizzazione potrebbe avvenire sia in sede della prima revisione del Trattato sia anticipatamente con il ricorso alla “clausola passerella” prevista dall’art. 48 del Trattato sull’Unione Europea.


[1] Il Federalista, XXIII, 1981, No 2, p. 115

  

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