La lunga campagna elettorale europea è già iniziata, specialmente in Italia. I movimenti populisti e nazionalisti propongono, ovunque e da sempre, un’antica ricetta: saccheggiare le risorse pubbliche – accumulate nel passato e prese dal Mondo – a beneficio esclusivo degli abitanti del cortile di casa. L’esempio che viene dall’altra parte dell’Atlantico è illuminante e foriero di futuri disastri, in termini di comportamento sociale degli individui, prima ancora che sotto l’aspetto politico. Il modo più semplice per governare è, per i populisti, quello di distribuire carta (moneta) e vendere fumo (crescita economica) a danno, subito, dei vicini di casa (i Paesi con cui si condivide, ad esempio, la stessa moneta) e delle future generazioni  (i propri figli), che un giorno li malediranno. Ma a loro interessa solo il consenso che garantisce il mantenimento del potere, ora e subito.

Il terrorismo colpisce in modo particolare l’Europa perché qui c’è un vuoto di potere, dato dall’assenza di un governo politico nel campo della sicurezza (difesa, intelligence e politica estera). Il processo di unificazione europea è la rappresentazione di un percorso politico in cui i valori di libertà, democrazia, uguaglianza si affermano gradualmente al di là delle vecchie nazioni. E ciò grazie alla pace che le Istituzioni comunitarie garantiscono. Il terrorismo è contro il progetto europeo perché nega questi valori, nella folle ricerca di un’identità politico-religiosa esclusiva, base del proprio potere. Anche il nazionalismo alimenta la ricerca di un’identità esclusiva, basata però sul mito della nazione, da sempre fonte di consenso politico. Ed entrambi puntano, per vie diverse, ad arrestare il processo di unificazione del genere umano, nella democrazia e nello stato di diritto.

Di fronte a queste due negatività si ergono i cittadini europei. Sono coloro che intendono costruire il proprio futuro, perché hanno capito che questa è la condizione per poter stare al mondo assieme agli altri popoli della Terra. Non chiedono protezione e sussistenza. Non chiedono nulla ai governi nazionali e non si sentono rappresentati dai partiti nazionali. Cercano nuove vie professionali per le strade d’Europa e inventano servizi e strumentazioni per la società del futuro, basata sulla conoscenza (scientifica e umanistica), quella, appunto, che consentirà all’Europa di stare al mondo. Parlano tante lingue e se devono dialogare con le istituzioni, puntano direttamente a quelle europee (Parlamento e Commissione), le uniche cui porre domande e da cui attendere risposte circa il proprio futuro. E indicandole quale centro d’imputazione di bisogni e aspettative, conferiscono loro, con la propria azione, potere crescente, giorno dopo giorno.

Antonio Megalizzi e Bartek Pedro Orent-Niedzielski erano, appunto, cittadini europei in questo senso. Creare l’Europa era, per loro, raccontare l’Europa alla radio. Il loro progetto Europhonica è, infatti, un reale progetto politico, strategico nel senso tecnico del termine: serve a dare coscienza alla società europea della propria essenza, della propria esistenza, contro tutti i luoghi comuni e gli interessi dei media e dei politici nazionali che vorrebbero negarla, al fine di giustificare la perpetuazione del proprio potere e l’esclusività dell’identità nazionale. Per questo volevano interloquire con le Istituzioni europee, perché solo in quel quadro il loro progetto poteva trovare sbocco operativo e piena realizzazione, con la nascita di un’opinione pubblica per “la meglio gioventù europea”. Concreta, diretta, quotidiana, da Lisbona a Varsavia, da Helsinki a Palermo.  Una solida base per lo sviluppo della democrazia europea.

Per questo possiamo considerare Antonio e Bartek dei militanti dell’unità europea, anche se non avevano in tasca una tessera. Cittadini di un’Europa che, con la loro azione quotidiana, intendevano costruire, per dar corpo e peso ai valori del progetto europeo.

 

 

  

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